Belem do Parà città di frontiera di luce e di nostalgia
In Brasile ci sono molteplici posti incredibilmente belli da visitare, certamente Belem (Parà) è uno di questi.
Situata al nord del Brasile, prossima all’Amazzonia, Belem è nota come la Metropolis della Amazzonia o come la Città del Mango. Agli albori conosciuta come Capitanato di Gran Para, rappresentava la regione più grande del Brasile. Collocata nella parte inferiore del bacino amazonico, alla foce del rio degli Amazzoni, rappresenta il confine a Nord Est dell’intero Brasile.
La sua storia antichissima ed intrigante si perde nel tempo e rappresenta una tappa essenziale per chi vuole conoscere e comprendere veramente il Brasile.
La regione era abitata fin dagli albori dagli índios xucurus, popolo nativo molto evoluto che svolgeva l’attività della caccia della pesca e della agricoltura. I nativi hanno cominciato a sperimentare la coltivazione delle piante alimentari fino a renderle commestibili; coltivazioni native come il miglio, la patata dolce, l’ananas, le noccioline ((Arachis hypogaea)), la manioca, i fagioli facevano parte delle abitudini alimentari quotidiane.
Godevano di una civiltà sociale autoctona autentica e sorprendentemente moderna, oltre che una vita culturale ricca e complessa. Condividevano le risorse alimentari ed avevano un enorme rispetto, quasi religioso dell’ambiente, Si ritengono i primi ad utilizzare un vero letto per dormire con una rete sospesa ed intrecciata con foglie di palma, si distinguevano per un grande rispetto per la pulizia del corpo praticando un bagno al giorno.
Questa abitudine era e rimane così radicata nelle popolazioni native brasiliane e contrastava con quelle degli invasori: << questi ultimi pensavano che lavarsi debilitava o addirittura esponeva il corpo alle malattie, rovinava la vista ed i denti, mentre inoltre il clero vietava il bagno considerandolo un lusso peccaminoso >>, mentre i nativi evitavano di frequentare gli europei invasori e si inventavano qualsiasi scusa per non partecipare alle riunioni politiche private ed che ancora oggi i nativi chiamano i bianchi sujos; sporchi.
Questa antichissima cultura viene sconvolta dagli invasori, che oltre a sterminarli con le armi e le malattie, (da qualche decina di milioni a qualche decina di migliaia) ne distruggono i costumi perché li trovano così diversi dai loro e pertanto non capivano quindi i requisiti aristotelici della buona vita.
Non era il cristiano che si macchiava delle più atroci nefandezze con malefica innocenza, era il nativo che gli aveva forzato la mano, con la sua indomabilità e ottusità a mantenere la propria cultura. La coscienza di quest’ultimo andava colonizzata come si fa con le aree geografiche, snaturata come da indicazioni del Grande Fratello orwelliano: “Ti spremeremo fino a che tu non sia completamente svuotato e quindi ti riempiremo di noi stessi”.
Il comportamento dei nativi, che avrebbe potuto schiacciare facilmente i pochi invasori ma che invece accolsero gli stranieri con estrema mitezza senza evidente ostilità, è evidenziato come prova della codardia e inanità. Alcun aspetto della cultura nativa era davvero meritevole di attenzione: agricoltura, commercio, edifici, vita sociale espressione artistica erano solo necessità naturali, “conseguenze”, senza merito alcuno da parte di chi ne fa uso.
“Non sono orsi o scimmie e non sono completamente privi di ragione”. Inoltre non avevano leggi scritte ma solo usanze tramandate a voce; Non conoscevano la proprietà privata. Accettare questo sistema senza opporsi evidenziava lo spirito meschino e servile di questi barbari che andavano sottomessi per il loro bene. Le loro terre sarebbe state meglio gestite da chi se ne intendeva e non commetteva peccati così infamanti; il pontefice non avrebbe avuto nulla da ridire.
“Un governo autonomo e rispettoso dei suoi cittadini spettava esclusivamente ai popoli avanzati, quelli inferiori – privi di sangue cristiano e dominati dalle passioni e dai vizi – necessitavano di governi autoritari che li avviassero su un cammino di rettitudine, anche se ciò comportava il disprezzo dell’uomo per l’uomo.” (Sepúlveda)
Attualmente in Brasile sopravvivono circa 200 etnie native, circa un milione di sopravvissuti cui il governo ha destinato il 13% della superficie del paese.
La fondazione della Belem moderna avviene attorno al 1600 dai quasi portoghesi (Dinastia Filipina) quale roccaforte per difendersi dagli inglesi e olandesi alle foci del Rio delle Amazzoni, prendendo il nome di Feliz Lusitania. Da piccola città di confine Belem con la scoperta del Caucciù (borracha) diviene una città ricca prospera ed elegante come poche al mondo.
Sarà la prima città in America Latina ad avere la luce elettrica, si sviluppa all’inverosimile dopo la rivoluzione con il governatorato di Antonio Lemos (1897-1911) nel commercio e nell’industria, con la canna da zucchero (sec. XVII), allevamento del bestiame, piantagioni di riso, cotone e caffè. Si sviluppa così la Capitale Imperiale con una struttura urbanistica modernissima, con viali alberati, grandi piazze e bellissimi parchi.
Con sale cinematografiche spettacolari come il Cinema Olympia e teatri magnifici come il “ Teatro da Paz ”, inspirato al Teatro della scala di Milano. Di incredibile fattura coloniale è l’enorme mercato “ Ver O Peso ”. A supporto dei commerci ma anche del traffico turistico e dell’industria, la regione si dota di una efficientissima ferrovia che arrivava fino all’oceano. Inoltre la città si dotò di una architettura urbanistica fra le più eleganti e razionali dell’epoca, con la collaborazione di artisti Francesi ed Italiani, fino ad assumere il nome della “Ville Lumiere” per la spettacolare illuminazione realizzata in alcuni quartieri e le magnifiche opere architettoniche. (“Belle Époque Paraense”)
La decadenza comincia con un genocidio ambientale operato dagli inglesi che impiantarono in Malesia immense coltivazioni di “havex brasiliana” contrabbandata, sviluppando tecniche di coltivazione che portarono alla rovina il sistema dei “seringais” amazzonici nativi. Negli anni ‘20, il mercato della gomma era in decadenza e i prezzi calavano vertiginosamente per via della concorrenza asiatica decretando il declino della città felice.
Oggi Belem è una metropoli multietnica molto speciale, con una grossa presenza india di circa un milione di abitanti. Con ampi viali alberati, con una architettura coloniale pressoché ancora intatta, straordinari musei e con un’atmosfera vivace completata da una intensa sofisticata e colta vita notturna. La città vive ancora commerciando le produzioni agricole di provenienza amazzonica,di turismomantenendo una grande dignità politica e sociale. Recentemente conseguentemente alle auree aurifere scoperte agli albori del novecento
Si è trasformata in una vera e propria città di frontiera. Dai “docas” del grande fiume, partono ogni giorno innumerevoli imbarcazioni fluviali (Pôpôpô) che oltre a rifornire di merci l’enorme arcipelago, (2500 isole fra cui l’isola de Marajo grande quanto la svizzera), che ruota attorno a Belem, dove vivono diversi milioni di abitanti dediti per la maggior parte alla pesca agricoltura ma soprattutto all’arte ed alla produzione di ceramica di pregio.
Ma da questi moli fluviali sterminati partono anche i nuovi cercatori d’oro, i “garimperos” che si dirigono in massa verso le aree minerarie ricche d’oro, diamanti ed altri preziosi, inoltrandosi dal grande fiume alle aree interne della foresta amazzonica.
Trattasi quasi sempre di nuclei familiari che raggiunti da una “soffiata” della scoperta di un nuovo giacimento, lasciano le loro attività e la loro occupazione certa in città e corrono incontro alla speranza.
Ci sarebbe molto da scrivere sui garimperos. Partono, ammassati sulle banchine di partenza portandosi dietro gli alimenti e gli utensili per la ricerca e con i loro occhi pieni di una smisurata speranza. Quando tornano invece, pressoché da tutti, traspare una infinita tristezza, ma questa è un’altra storia.
Invece ritorniamo nel viali alberati dai maestosi mango intorno all’Avenida Vargas , elegante cuore commerciale della città, che unisce il centro ai vecchi porti. Una passeggiata piacevole con differenti luoghi da scoprire. Nei barzinhos o altri ristorantini è possibile, sia di giorno che la notte, assaporare le proposte gastronomiche locali con delicati aromi amazzonici ricchissimi di crostacei fluviali delicatissimi, con musica dal vivo e danze contemporanee e tradizionali mai dimenticate.
(To be continued Salvatore Bulgarella)
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