1) Uomo che parlava con le stelle 1-40

PROLOGO

ll racconto che ho in testa, vorrebbe essere una trasposizione dei miei neuroni profondi su un foglio di carta bianca. Macchiandola di tanto in tanto con immagini al presente, al futuro o a quando non si sa. Intrecciando momenti che nella mia testa sono coerenti ma di difficile rappresentazione nella progressione di una lettura “normale”.

 Non mi riesce facile intercalare i chiaroscuri di diverso spessore e renderle immediatamente comprensibili al lettore.  Però ho fatto questa scelta perché così me li rappresento io stesso. Comprendo che mi sono imbarcato in una navigazione tempestosa, quasi uno Tsunami. Inoltre tenendo presente che nella mia testa ho già scritto più 400 pagine e che questa che ti mando è appena la premessa strutturale delle situazioni.

Mentre solo molto più avanti, emergeranno situazioni e soluzioni che consentiranno di dare al costrutto una progressione più lineare e comprensibile.

Confesso non è un costrutto regolare o logico, Ma vorrei coinvolgere il lettore in una visione complessiva che supera la logica, per sconfinare nelle brume o nei bagliori accecanti che poi poco a poco ti conducono gioiosamente a viaggiare insieme alle stelle.

Scritta d’impulso, la presente stesura ha anche moltissime imperfezioni ortografiche evidenti, anche perché sono abituato a scrivere aggiungendo la punteggiatura alla fine tutta insieme:

Cosa in più cosa in meno — quindi ho già fatto uno sforzo di pazienza immane, ad usarla nelle interiezioni e nei fraseggi. Il racconto continua ancora in un intreccio di situazioni emotive, dove i personaggi presentati, cominciano ad assumere una significanza compiuta, ma mai definita o definitiva, avvolti in una rete virtuale che da un certo momento li avviluppa tutti come in un bioccolo primordiale. Lo sto scrivendo per me. Ed io sono così. Grazie

personaggi

RUGGERO,

1) Amico Francesco Parigi,

2) Angela Giornalista Freelance

3) FRANCESCO Parigi amico

4) Marcelo amico di sempre

5) Giuseppe Servizi Informativi

3) Gianni Bar porto pescherecci

4) Rene Moglie Francesco

5) NOTARO Politico locale

6) Avv. Perulli

8 ) Thomas Sankara Presidente Burkina

8 bis) Dashane Sorella Presidente

9) Gianfranco nipote commercialista Del Prete

10) Commercialista del prete

11) Claudia moglie del commercialista

12) Therese Figlia Renèe

14) Delphine

7) Zio Gianni

8) Manadou Console Mali

9) Moussa quadro operativo Mali

Pensiero diverso

La dimensione di quanto ci circonda è fatta prevalentemente di vuoti che noi tentiamo di colmare per avere un contenitore stabile dove poggiare le nostre fragili sensazioni.

A volte li chiamiamo ricordi; ma i ricordi non sono il passato, vivono sempre al presente ogni volta che li richiamiamo o all’occasione si presentano da soli. Apriamo il cassetto ed ecco appaiono, a volte quasi sfocati in una nebbia fittissima e facciamo quasi fatica a riconoscerli, A volte invece ci sono evidenti subito. Anche quando non vorremmo.

Fanno parte della nostra storia. No, i ricordi fanno parte della nostra vita sempre, anche quando tentiamo di ignorarli di riporli più in basso, di cancellarli, ci sono sempre e vivono con noi.

Ci sembrano episodi, senza un costrutto sciolti senza nesso non c’è un prima e un dopo, ma siamo sempre noi, anzi rendono la storia della nostra vita una evidenza attuale.

3 Verso i vicoli

Mi incamminavo in una giornata di scirocco nei vicoli di un paesino deserto dell’interno dell’agrigentino, il vento mi soffocava sommergendomi di polvere africana che si appiccicava addosso come talco di pomice. Cercavo un barbiere, ma in giro non c’era anima viva; finalmente da lontano scorsi una insegna slavata, dipinta a mano. “Varviere Salassi, Cavatore di denti”.

Non sapevo se sentirmi fortunato o no, però dovevo rasarmi; la porta riparata da una tenda di plastica sfrangiata a protezione delle zanzare, ma forse anche dei volatili, era socchiusa; con qualche esitazione entrai. L’ambiente era tetro illuminato da due lampadine ingiallite dal tempo. Fui avvolto subito da un odore olezzante di sudore antico e di muffa; la poltrona da barbiere era una sedia di legno e paglia bassa a fronte di uno specchio frantumato e arrugginito. Stavo per uscire quando una voce profonda e ferma mi disse, <Si accomodasse.> non era un invito, era un ordine.

Non lo vidi subito ma stava dietro di me e con le mani ferme sulle spalle mi spinse fermamente sulla sedia. Dallo specchio scorsi la figura di un uomo con baffi antichi e capelli impomatati, di età incerta sulla sessantina. Vestiva una divisa a righe lisa e sporca di grassi vegetali. Si rassicurò che stavo seduto alla sua altezza e dopo avermi bloccato con uno sguardo indagatore, profondo quasi assassino, immerse un pennello sfrangiato in un contenitore di rame da dove riemerse con una schiuma liquida grigiastra.

Con decisione lo spalmò sul mio viso con gesti veloci e sguaiati. L’impiastro appiccicoso tentava di rimanere incollato disperatamente sulla mia pelle, ma invece colava da tutti i lati lasciando righe umide fuligginose che gocciolavano giù fino al mio collo.

Si allontanò per un momento ma non ci fu il tempo per scapparmene, ritornò sciabolando un rasoio vintage molto vintage, con una lama simile ad una baionetta. Agguantò il mio viso con una mano e con l’altra con un movimento circolare fece transumare il rasoio da una basetta all’altra. Tutta la mia pelle tentava con uno sforzo immane di resistere, ed ogni pelo del mio volto strapazzato ed asportato uno ad uno, urlava con la voce stridula di un agnello al macello.

Poi si fermò un attimo, e con la lama che sfiorava quasi la mia gola mi chiese ” com’è faccio bene???” “”LEI FACISSI BONO A CANCIARE MESTIERE”” risposi alzandomi finalmente con uno strappo deciso, sfuggendo alla sua morsa e senza nemmeno pulirmi il volto dalla schiuma. M’incamminai di nuovo per i vicoli contorti del paesino. Ancora tremavo per lo scampato pericolo, quando una voce mi disse, Sal, svegliasti è ora di andare a scuola.

Le favole non sempre hanno un finale felice però questa contiene anche una morale da non dimenticare, giudicate voi. In Una Radura Verdissima Al Limitare Di Un Bosco Lussureggiante, Viveva Una Famiglia Di Maialini. Mamma Maialina (Candora) Papa Maialino (Sergio) Nonna Maialina Beatrice) Nonno Maialino (Saverio) E 5 Deliziosi Pargoli Maialini (Angelo, Eusebio, Antonio, Annamaria, Cristina) Vivevano tutti felici e contenti, tutti bellissimi tutti profumatissimi tutti felicissimi. Ogni mattina si alzavano rincorrendo l’alba. Gioioso bagno nel lago prospicente e poi via con I giochi nella radura, rincorrendosi dentro il bosco, giocando a mosca ceca. I pargoli maialini cantavano nelle pause strusciandosi e carezzando I genitori per esprimere la gioia del vivere insieme.

Però nella vita reale, la felicità non dura per sempre. Accadde quindi che, un giorno come gli altri, Eusebio specchiandosi nel lago, in una giornata assolata, notò qualcosa di strano nel suo viso, si guardò e si riguardò più volte sempre con più apprensione, fino a quando ebbe la certezza che sulla sa fronte stava crescendo qualcosa di strano. Un piccolo ciuffetto di peletti neri. Si allontanò di soppiatto dal gruppo (non lo faceva mai) per verificare in una pozza d’acqua più limpida la scoperta; e ne ebbe conferma.

Si, sulla fronte stava crescendo un ciuffetto di peletti neri. Guardò con attenzione I suoi fratelli, le sue sorelle, Niente. Non s’intravvedeva niente, la loro fronte come il viso erano perfettamente bianche. Erano diversi, No, era lui ad essere diverso. L’ansia si trasformò progressivamente in tristezza e melanconia, Era un Diverso. E come poi tutti scopriamo nel mondo reale, ogni diverso si sente solo, un solitario, un escluso.

 E così Eusebio, cominciò ogni giorno ad isolarsi sempre di più, sempre più triste sempre più isolato. Chiedendo al cielo, alle piante, ai fiori, alle api, agli scoiattoli, Ma perché Signore mi hai fatto diverso? La melanconia lo pervase e cominciò ad autoescludersi dai fratelli e poi dal contesto familiare, fino a quando si allontanò completamente dal gruppo familiare per vivere solo la sua disperazione. Non reggeva a tanta tristezza, ma un giorno mentre passeggiava mestamente nella brughiera udì un rumore strano che si appropinquava sempre più forte. Su un viottolo, inusuale fatto di un camminamento di ferro, si avvicinava un oggetto strano che sbuffava e fumava. Non seppe mai che si chiamava treno, e restò affascinato a guardarlo. Ritornava in quel luogo e percorreva quel percorso ferrato senza indugio, ogni giorno sempre alla stessa ora.

Dovete sapere, ma forse lo sapete già che I diversi in quanto tali hanno una intelligenza diversa, più immediata potremmo dire Superiore, e così Eusebio realizzò subito un piano che forse poteva risolvere la sua infinita tristezza.

Si approssimò al binario e provando e riprovando cento volte, misurò la posizione che doveva assumere la sua testa perché le ruote di quel mostro potessero tagliare di colpo il maledetto ciuffetto di peletti neri sulla fronte.

All’ora stabilita ascoltando il rumore del treno che si avvicinava si accostò alle traversine e poggiò il capo sul binario come aveva provato e riprovato più volte. Il rumore si faceva sempre più forte che quasi gli scoppiava il cuore ma non cedette;

il treno si avvicinava sempre di più facendo vibrare i binari come in un terremoto, chiuse gli occhi per un istante infinito ma maledettamente non aveva preso bene le misure e d’un colpo la ruota del treno tranciò il capo di Eusebio d’un colpo.

Una storia con un esito triste, ma con una morale profonda. ” Non perdete mai la testa per un ciuffetto di peletti neri. “

Pescare a Volte

Ruggero, per pescare sceglieva solo le notti quando il mare era più calmo ed il cielo limpido lasciava vedere le stelle in trasparenza. Dirigeva la piccola barca mettendo la prua nel viale di luce argentata tracciato dalla luna piena e quando era completamente abbagliato dalla luce, lasciava scivolare senza fretta le reti in mare per cominciare una pesca che forse poi non gli interessava così tanto.

Poi si sdraiava nella piccola area di poppa e socchiudendo gli occhi tentava di contare le stelle.

Una, due, tre, quattro, mille; continuava senza sosta restringendo gli occhi per trovare quelle più lontane, sempre più lontano fino a quando realizzava che non stava contando le stelle ma stava cercando una stella, una stella speciale con la quale in quelle notti aveva stabilito un rapporto singolare.

Non era la più scintillante, ma alla fine la trovava sempre per uno speciale bagliore dorato che lanciava e per la particolare attrazione che sentiva verso quella luce che accettando il suo sguardo, diveniva sempre più luminosa ed intrigante.

Immaginava che scivolando attraverso un filo di seta come un ascensore, un giorno potesse salire e scendere da quella stella, un desiderio che diveniva a volte una necessità impellente; come una nostalgia che lo invitava a ritornare in un luogo che riteneva familiare.

Si lasciava cullare dal ritmo lento delle onde che appena prima dell’alba divengono come una carezza fino a quanto sentiva il suo corpo come librarsi nel vuoto.

Leggerissimo oltrepassava lo spazio incuneandosi fra le stelle più lontane e dopo un tempo infinito giungeva in un luogo che riconosceva.

Non c’era niente di determinato tutto era come impalpabile, diffuso in una atmosfera che virava sul rosa cristallino fino a dove giungeva lo sguardo.

I suoi occhi si spostavano come per cercare qualcosa ricorrente nei suoi ricordi. Stava quasi per ricominciare quando una voce insistente come una sciabolata troncò di netto il suo viaggio <Ruggero svegliati è ora di andare a scuola, è tardissimo>.

Finalmente si svegliava intorpidito ma con gli occhi spalancati, pieni di riflessi argentati ed allo sguardo interrogativo della madre quasi arrossiva.

Quasi vergognandosi di essere stato scoperto a fare qualcosa di proibito.

Platone & COMPANY

Platone scriveva che l’umanità era divisa fra quelli che pensavano con il lato sinistro del cervello e quelli che pensavano con il lato destro. Il lato Sinistro interpreta i sensitivi razionali, il lato Destro i sensitivi percettivi.

Succede così che se ad una persona del primo tipo accade qualcosa di piacevole, magari gli piace immediatamente, però subito dopo prevale la ragione e quindi comincia a chiedersi, ma che significa? perché proprio a me? ma che senso ha? ma che cosa è? ma dove porta? Quelli che usano il lato sinistro, invece dicono mmm, che bello, che profumo, che bella sensazione.

Vivono cioè le emozioni quasi senza ragione, lasciandosi prendere da esse, incamerandole, emozionandosi; insomma si lasciano eccitare da quello che succede, ritenendosi privilegiati di potere vivere, sentire ed assaporare emozioni avulse da qualsiasi contesto; passato, presente e futuro.

I primi poi si distinguono per il <Prima, il Durante ed il Dopo> di una relazione anche occasionale. Durante il Prima sono forse anche molto avventurosi, nel durante tentano di vivere in maniera positiva l’altra persona.

Nel dopo, dopo qualche tempo, cominciano a lasciarsi prendere dalla ragione al punto magari, paradossalmente, che mentre stanno facendo l’amore, visivamente eccitati, pensano guadando la parete di fronte, <domani devo pagare il mutuo, non devo fare tardi in ufficio, come mi vesto per il compleanno di Francesca, che trucco uso per la cena di Gianni>.

E subito Dopo scivolano fuori dal letto magari dicendo, “lasciami andare devo preparare la colazione”. Con un sorriso ormai tiepido. Non bisogna mai giudicare né criticare questi atteggiamenti, perché dipendono esclusivamente dal modo di essere di ciascuno, da come sono stati programmati.

E certo una influenza determinante è data dal caso.

Pe esempio se sono nato per caso in un paese musulmano pregherò Allah, e riterrò normale che il mio sposo abbia altre mogli con cui condivide il talamo. Se sono invece nato per caso in una comunità Cristiana, adorerò Cristo, e riterrò normale la monogamia rigida.

Ognuno di noi è una molecola dell’universo, che come una foglia giunge portata dal vento in un contesto, senza averlo potuto scegliere e si comporta di conseguenza, ritenendosi con convinzione nel giusto.

E sarà fervente, Cristiano, Musulmano, Induista. A volte anche criticando gli altri, che solo per una casualità sono nati in altri contesti. Io credo che l’universo. Anzi non credo perché già sento i rumori della porta di quella che sta arrivando per dirmi che devo andare a scuola e che è tardi.

Come vedi le libertà sono limitate, pensava, e individuali. Scrutava con gli occhi, al limite della stanchezza, questo paesaggio familiare ma impenetrabile che lo sovrastava, quando un’onda lunga scosse l’imbarcazione svegliandolo di soprassalto.

to’to’to’

Era ormai l’alba, sul mare si spandeva una luce singolare dorata come distinta in frammenti di diamanti che senza violenza rischiarava i contorni delle isole la vicino e delle onde del mare che si increspavano con piccoli ricci biancheggianti.

Ancora in dormiveglia tirò con lentezza le reti ricolme di pesci ancora vivo, che si muovevano agili per liberarsi e come sempre aiutò le prede a fuggire, liberò anche una piccola aragostina sperduta, incagliata nelle maglie, che lo guardò spaventata ma quando fu libera si girò quasi per ringraziare. Soddisfatto osservò tutti i pesci ritornare a vivere nel mare che lo salutavano come sempre con piccoli tuffi di gioia nell’aria.

Osservò il cielo che albeggiava e cominciò a rientrare con calma dirigendo il suo piccolo vascello verso terra. Tò Tò Tò risuonava il piccolo motore che pulsava regolare nel silenzio. Tò Tò Tò faceva eco mentre le onde si aprivano dolcemente lasciando una piccola scia a poppa, Tò Tò Tò.

L’alba cominciò con dolcezza ad impadronirsi della notte; appropinquandosi alla costa; Si cominciavano a scorgere contorni discontinui di strutture irregolari, appiccicate maldestramente su quella che doveva essere un tempo una baia incantevole; Nel passato i visitatori dovevano godere di una vista straordinaria giungendo dal mare; da un altro mare o da un’altra terra.

Approdò nella parte più isolata del porticciolo peschereccio, ma come sempre ancora prima di scendere si avvicinavano uomini che con occhi rapaci cercavano sul ponte della barca qualche preda sfinita.

<Non è stata una buona pesca> diceva, fingendosi irritato e poi da pescatore antico si mostrava occupato a sistemare le cime o buttando qualche secchiata d’acqua distrattamente sulle reti distese a poppa. Gli avventori con fastidio se ne andavano volgendogli le spalle quasi con violenza.

Finalmente ormeggiò in mezzo ad altre due piccole barche locali.

Era certamente a terra quando una luce gioiosa lo avvolse, brillando dietro il campanile della chiesa madre, inviandogli messaggi di benvenuto, quasi ad indicargli la strada di casa.

Si incamminò verso il suo rifugio, con in testa ancora una visione soffusa della notte e la luce che si attorcigliava negli occhi intrigante e che lo accompagnò fino alla piazzetta lastricata del porto grande, quando si sentì chiamare per nome insistentemente.

Erano i suoi amici seduti al bar del porto, per la prima rimpatriata mattutina. Seduti come accampati attorno un tavolino già colmo di cornetti, caffè, birra a profusione, insieme ad altre specialità locali, che non mancavano mai. Gli fecero posto ordinandogli un caffè tanto per gradire.

Li osservava mentre degustava un caffè arabico ancora fumante, erano pressoché coetanei, con interessi e mestieri diversi. Discutevano di calcio e di politica insieme, come fa tutta la gente normalmente, ogni tanto lo interrogavano senza aspettarsi una risposta,

La schiuma del caffè nella tazza disegnava dei ghirigori, delle forme che gli ricordavano ancora, il viaggio della notte. Non era un’ossessione, era un desiderio.

Per uno che riteneva di avere tutto, questo bisogno lo assillava più che incuriosire.

Aveva letto parecchio, tentando di studiare qualcosa sulle stelle. Il moto, la distanza la velocità, ma il suo non era un interesse scientifico, voleva sapere, aveva bisogno di altre notizie più circostanziate.

Capire perché quel luogo così lontano potesse essergli cosi familiare. Parlavano ancora di calcio ed adesso di donne, mentre i suoi pensieri si scomponevano dietro la prima bruma del mattino.

Nelle discussioni fra uomini, le donne non devono mancare mai. Fanno scenario come le quinte di un teatro, <Miiii sto frequentando a unaaa, per ora un tu pozzu riri comè,, bianca biunna, un culu accussi ,,, marrooo. minni fazzu quattru ogni vota> Ognuno sciorina naturalmente i propri record e sono tutti soddisfatti.

Quando si alzano tutti insieme gli lasciano il conto da pagare e mestamente vanno al loro triste lavoro. Il cameriere gli portò il conto e con gli occhi lo interrogava; ma perché paga sempre lei voleva dirmi, poi velocemente gli dava il resto che lo lasciava come mancia, come sempre.

Dopo la doccia naturalmente la barba, un rito che ripeteva ogni volta con calma e destrezza, (un coppu cà un coppù dda e finiu) si lasciava una tonnellata di schiuma addosso, che quasi lo costringeva a rifare la doccia.

Si pettinava i capelli riccioluti, ancora umidi, senza guardarsi allo specchio, aveva paura di sentire l’età in maniera evidente. Le amiche dicevano “ma come stai bene”” ma erano proprio amiche, amiche, amiche buone e timorate da dio.

Ma lui era dentro, che non stava bene. In quella cittadina eternamente borghese, così lontana da tutto, da tutte le cose che aveva condiviso.

Un luogo piccolo, piccolo ma col pregio di essere vivibile, di avere il mare sotto casa, i profumi della campagna, un mangiare ancora buono, dove potevi scoprire degli alimenti naturali, ancora per poco forse. Però un luogo troppo minuscolo per un comandante di vascelli imperiali, che aveva visitato più volte gli universi.

E per questo che non amava frequentare molto gli amici e tantomeno gli estranei, sembrava un misogino, ma nessuno sapeva invece come era differente.

E per questo che si rifugiava nelle stelle, appena possibile, soffriva quando non poteva farlo e quel luogo aveva ancora un cielo terso la notte, che gli consentiva veramente di ritrovarle, dopo un poco le stelle che amava e cominciare un dialogo familiare.

Non usava tecnologie speciali per farlo, solo gli occhi anche perché lui parlava con le stelle in simbiosi empatica. Erano loro che lo venivano a trovare ogni volta, mentre quando lui le cercava ostinatamente e credeva di essere ormai di casa non le trovava mai.

Alla fine invece loro, le stelle, una ad una si presentavano vicino, per farsi osservare, ammirare, amare.

Però lui non si lasciava sempre distrarre da quell’incanto, da quella profferta generosa accecante, nella sua testa lui cercava una stella ed una sola.

Anche se solo qualche volta era riuscito a scorgerne i contorni, ancora non era riuscito veramente a possederla, non riusciva a percepirne le dimensioni, i colori e profumi, rimaneva là, lontana anche quando riusciva ad esserle molto prossimo.

Aveva un modo speciale per raggiungerla senza molta fatica, si rifugiava nei ricordi dell’infanzia, nelle favole, ad osservare quando, dopo una tempesta, il cielo ritornava la notte luminoso e sfolgorante di stelle.

La prima volta che la vide e sentì dentro che era quella, la riconobbe subito, non era la più splendente, ma aveva un riflesso speciale, che immediatamente ti abbagliava, ma poi come tutte le cose buone permetteva di farsi ammirare.

Il cuore quasi gli scoppiava, ogni volta che il tremolio della luce lasciava intravedere qualche particolare, così come ti succede con una donna, che ti appare nell’ombra e che poi si trasforma nella luce della luna.

Ma poi scompariva subito, Le altre stelle per qualche tempo la coprivano; a volte stava una notte intera ad aspettare di rivederla. E poi arrivava l’alba.

Aveva perso molto interesse per la vita “normale”, il quotidiano lo sfiorava ma non lo viveva. Piuttosto sperimentava come fare, anche di giorno, ad avere un rapporto visivo con le stelle, ma anche con strumenti professionali non era la stessa cosa. Era come mangiare un buon cannolo siciliano raccontato da altri.

Era per questo che, rientrato nella terra natia dopo molto tempo, si inventò il mestiere di pescatore, questo gli permetteva di rimanere solo nella notte, di spostarsi dalle luci della città verso un cielo più limpido e trasparente.

Usciva pressoché ogni notte anche d’inverno ma era d’estate che provava delle sensazioni più intense e percepiva la presenza di quello che stava cercando.

Naturalmente solo in mezzo al mare gli accadevano certe cose strane ma che non l’impaurivano.

Era quasi normale, che grossi cetacei gli veleggiassero vicino quasi per tenergli compagnia, non li vedeva subito, li avvertiva quando si immergevano giocando e rispuntavano quasi con un salto fra le onde argentate.

Non potevano mancare i delfini. Anzi i delfini erano la costante, i suoi nuovi amici. Lo aspettavano all’uscita del porto, minuto più minuto meno, e poi lo accompagnavano anzi lo guidavano dove lui aveva una visione migliore. Loro sapevano esattamente cosa stava cercando.

San Gianni CAMPANE

Le campane di S. Giovanni lo svegliarono presto come ogni mattina, un rintocco armonioso e prolungato, erano già le sette.

Da qualche tempo gli era giunto dalle persiane sgangherate il brusio acuto dei venditori sulla strada, si riaccucciava sotto le lenzuola tentando di riaddormentarsi, ma non c’era verso; il giovane campanaro amava esibirsi ogni mattina con concerti prolungati.

 Quindi, fece una veloce colazione con Yogurt greco e caffe, una doccia infinita regolarmente ghiacciata, da brivido. Indossò pantaloni e camiciola del giorno prima, si guardò allo specchio, apprezzò che era abbastanza trasandato e scese le scale velocemente sperando di non incontrare la signora Giovanna che gli chiedeva sempre di salutarle Zia Maria, che era morta da qualche secolo.

In strada si sentiva già meglio. Volti conosciuti, sempre gli stressi, un saluto veloce “ciao Cumpà”, altri che discutevano animatamente, i commercianti che aprivano le serrande metalliche con un rumore di ferraglie, che sembrava un treno merci arrugginito.

Salutò anche Peppino l’arrotino e si avviò come sempre in fondo alla piazzetta, verso la enorme insegna Federiciana all’angolo della vetrina. “Granite di gelso tutti i giorni “”, anche per natale pensava lui. A quell’ora il bar molto piccolo era sempre affollato. Gianni era al banco fra tazzine da lavare e caffè ristretti fumanti.

Non si fermava mai, agguantava i soldi con una mano e con l’altra già incartava un panino con le panelle.

 Quando ebbe un attimo di respiro si avvicinò con un caffè bollente super ristretto. La chiamava “tazza sporca”, un dolcino fatto in casa e dopo una pacca sulla spalla, da lottatore di Sumo, gli disse quasi per scusarsi “sono ancora molto impegnato, ne avrò per una mezzora; rimani qua sto preparando una leccornia con le mele e le fragole di mia nonna, poi usciamo”,

<Hai visto Angela ti voleva parlare?>, aggiunse come un avvertimento e si allontanò prima che Ruggero potesse rispondere. Angela, Angela, ma quanti Angeli aveva conosciuto in vita sua, dall’oratorio ai club ecologici, che ogni tanto frequentava per capire a che punto era la civiltà del benessere.

Ma sapeva bene a quale Angela si riferiva, aveva negli occhi lo sguardo furbo e determinato. Giornalista delle cronache locali. Denunciava tutto. Senza ritegno, dalla macchina posteggiata nel parcheggio degli invalidi, al vescovo con la villa al mare, a tutti i notabili locali che si atteggiavano a potenti. Infine i politici tutti, di destra, di sinistra di centro, erano sempre tutti sotto torchio, naturalmente lo stipendio non era sufficiente per pagare gli avvocati.

Tentò di ricordare l’ultima volta che l’aveva vista; era un convegno sulla mafia, dove intervenne, naturalmente, con foga estrema descrivendo con perizia i momenti e le opportunità che lasciavano praterie libere alla malavita di ogni tipo.

Qualche applauso di prammatica e via. Un giorno si fermò con lui che era molto agitata e gli disse <Ruggero stammi vicino, sto preparando una inchiesta pesante>.

Gli fece segno con le dita, per accentuarne la importanza dell’argomento, ma anche per raccomandarsi di non parlarne con nessuno. Gli atteggiamenti e il tono della voce gli fecero realizzare che era molto preoccupata.

Tentò di saperne di più, ma sempre lei lo stoppava, girando lo sguardo e spostandosi di lato, quasi per andarsene.  Si irrigidì quando dal marciapiede opposto, scortato dalla polizia se ne andava il politico locale di riferimento il “-NOTARO”.

Da sempre presente nelle competizioni politiche locali, da sempre vincitore, da sempre criticato di soppiatto da tutti, da sempre l’eroe della politica locale.

Si sussurravano molte storie nelle discussioni estive in spiaggia, Però quando ti avvicinavi al gruppetto sotto l’ombrellone, di colpo cambiavano discorso. Certamente c’era più che reverenza di paese, un diffuso timore fra la gente tutta.  Fra le altre cose si spettegolava anche di un rapporto speciale, che ancora teneva con una minorenne e che conoscevano tutti.  

Tutti ne parlavano ma nessuno con argomenti concreti per una denuncia pubblica; anzi. Il Notaro, come lo chiamavano, sembrava non curarsene, sorrideva sempre abbracciava tutti sulla strada, ma i più intimi dicevano che in privato era molto severo, molto diverso, un cane di mannara.

Ruggero rimase molto pensieroso per l’atteggiamento l’incontro di Angela; dietro la sua apparente determinazione, si celava una donna molto fragile, che a discapito della sua avvenenza viveva da sola, aiutando la madre ammalata. Avrebbe voluto assisterla di più, ma lei faceva del tutto per scansarlo. tutte le volte che affrontavano l’argomento.

Indugiò un attimo ancora a pensare, ma poi il brusio del viavai del locale lo riportò sulla terra.

Osservava tutti mentre il bar cominciava a svuotarsi. In particolare una signora cinquantenne che stava sorbendo il suo cappuccino al pistacchio, come ogni mattina, vestita decorosamente con scarpe di qualità occhiali a mezz’asta ed il giornale locale, che leggeva con attenzione. Aveva provato a parlarle, la incuriosiva.

Ma lei sempre gli dava picche con mezze frasi conclusive. Doveva essere vedova benestante, senza figli o con figli moderni.

Sicuramente avevano tentato di metterla in un ospizio, ma lei, di carattere forte, avrà risposto <andateci voi>. Di tanto in tanto dava un’occhiata in giro nel locale per rassicurarsi di non essere rimasta sola, poi ritornava ad immergersi nelle cronache rosa e di tutti i colori.

Gianni lo raggiunse poco dopo e gli regalò subito un sorriso per scusarsi, < ho finito finalmente, oggi c’è stato il cambio della guardia in capitaneria e c’era un sacco di gente nuova> <dove andiamo?> Come sempre voleva andare in giro per liberare la mente di tutte le comande e le camurrie dei clienti, “mi mette un po’ di cioccolata in più; è troppo freddo o è troppo caldo> lui sapeva sempre accontentare tutti senza mai essere servile.

Si avviarono lentamente verso la strada principale, il corso, come lo chiamavano i locali. Le vetrine erano già scintillanti delle proposte primaverili, e così ne visitarono parecchie, disordinando tutti gli scaffali, fino a quando Gianni non scelse una camicia semi firmata, a righe azzurre che si lascò addosso. 

Quando uscirono, Ruggero affrontò l’amico fermandosi d’un tratto sul marciapiede. <Per un poco non ci vedremo>, e subito dopo aggiunse in maniera seriosa, <ho deciso di prendermi una pausa>.

Quindi gli spiegò che voleva ritemprarsi dentro e fuori. Il mare lo aveva rifocillato e curato moltissimo; stava bene anche con la testa ma voleva vedere altre cose, altre persone altri profumi, aveva bisogno di buttarsi ancora dentro nelle cose.

Ed il suo pensiero si diresse subito all’Africa. Un continente che aveva percorso in lungo ed i largo per lavoro, e che ogni volta di più lo affascinava. Aveva il Mal d’Africa? Certamente si, un po’ di più che una saudade, un vero e proprio vuoto quando gli stava lontano per troppo tempo. Ed adesso era più di un anno che gli mancava.

Lasciava scivolare le parole quasi con sofferenza o forse con una speranza intima nascosta che non voleva fare intravedere: forse era superstizioso o forse molto realista. <Andrò a Parigi a trovare Francesco non lo vedo da quasi un anno, sto bene con lui e con la moglie è come un rifugio e poi decido>

Gianni lo lasciò parlare ancora delle cose che già sapeva, conoscendo qualsiasi recesso dentro il pensiero complesso del suo amico, lo lasciò parlare senza interromperlo.

Ruggero conosceva a memoria quello che aveva, quello che gli mancava, quello che cercava ed era cosciente che non c’erano molte soluzioni.

Sapeva anche che delle sue fughe ricorrenti, Francesco era sempre la prima tappa e faceva bene perché oltre essere una persona saggia era un amico all’antica, colto e di poche parole, mai un cuttigghiu.

Notaro Avvocato ANGELA

Tutto quello che gli mancava lo aveva rifiutato negli ultimi tempi con protervia, quasi con cattiveria un’autopunizione. Non sapeva quale senso di colpa fra i tanti che giravano nel suo DNA stava vincendo in questo momento, però certamente aveva bisogno di andare.

Ruggero fingeva guardare le scarpe esposte, ma invece attraverso il vetro stava osservando gli astanti seduti al circolo dei potenti di fronte e là incontrò lo sguardo del Notaro, l’onorevole stava discutendo animosamente con l’avvocato Perulli, entrambi con giacca e cravatta come per andare insieme al matrimonio. I potenti non li vedevi mai con un jeans sdrucito. Notò che il Notaro aveva stranamente un filo di barba crespa evidente, aveva fatto sicuramente una nottataccia, O una nottatina con la minorenne, ogni tanto anche Ruggero cuttigghiava nella sua testa.

Ma era dovuto succedere qualcosa di più importante, perché la discussione si faceva sempre più animata e continuò fino a quando il Notaro si alzò di colpo senza salutare e si diresse nella sua auto blu posteggiata in zona abusiva. L’avvocato rimase un poco come frastornato o impaurito e quindi poi riparò al circolo come in cerca di un rifugio.

Senza avere una ragione Ruggero collegò la discussione appena vista a qualcosa che gli aveva detto Angela. Ma non aveva alcun elemento per verificarlo, quindi chiese a Gianni se conoscesse bene l’avvocato Perulli.  

Gianni si arrestò di colpo e poi a voce bassa gli disse, <Ruggero qua in paese, tu lo sai, ci conosciamo tutti, però poi non conosciamo niente di nessuno> si aggiustò i pantaloni caduti e continuò <Quel circolo è dannato si decide tutto e non si decide niente, però se hai bisogno di qualcosa devi essere ben visto  la dentro, e se te li metti contro ti conviene cambiare paese subito>; <La dentro si decidono molte cose di qua, ma anche di fuori di qua>  e poi soggiunse quasi sottovoce, guardandolo negli occhi, <la dentro non c’è solo la politica, c’è molto di più; ci sono una massa di cornuti consapevoli, ci sono compari, ci sono gente indebitata fino all’ultimo capello, c’è la nobiltà decaduta, c’è la mafia>. < L’avvocato Perulli è il mestolo sporco per rimestare tutte queste salse>

Ma non solo. <Ruggero lo sai, che c’è più potente della mafia da noi?> Lo stava ascoltando con attenzione estrema, fingendo stupore ma invece voleva avere conferma da un altro punto di vista, di quello che già lui aveva conosceva profondamente.

Lasciò ancora una volta che Gianni si ricomponesse del tutto e poi cambiò completamente discorso, chiedendogli quando si sposava<sto mettendo insieme i soldi per arredare la casa, ma credo che a maggio finalmente ci sposiamo, Naturalmente tu sarai il testimone di nozze, Ovunque tu sia devi esserci> Ed il problema era proprio esserci pensava Ruggero, lui che non amava programmare mai nulla, doveva proprio esserci.

Si separarono all’angolo della Piazza e Ruggero approfittò per richiamare Angela. Lo aveva preso come un senso di irrequietezza e quindi la chiamò subito. Non rispose e gli lasciò un messaggio in segreteria di richiamarla.

Non aveva capito ciò che la turbava ma certamente doveva esserci attinenza col Notaro ed il Circolo Sociale. Continuò a cercarla chiedendo anche agli amici comuni tutto il pomeriggio ma senza successo.

Capitava spesso che divenisse irreperibile dalla famiglia, ma soprattutto dal lavoro, presa dallo studio voleva a tutti i costi prendere un Master in giornalismo, era vorticosa specialmente col lavoro. Quando aveva un pensiero fisso per la testa doveva risolverlo.

Sicuramente era ancora in redazione della Tv locale, scavando negli archivi per recuperare altre informazioni sul Notaro ed i suoi amici. La rivide l’indomani era seduta nel bar di Gianni, e si rasserenò occupava un tavolo appartato pieno di scartoffie come sempre sorbendo un Martini.

Gli fece cenno di avvicinarsi e notò che era ancora inquieta. < So che mi hai cercata disse, scusa che non ti ho chiamato ma sono stata presa da mille cose> diceva sempre così quando era in confusione, quasi con un senso di colpa.

< Ti cercavo anch’io stamattina e sapevo che prima o poi saresti venuto da Gianni> Ruggero rimase in silenzio assorto e poi lei dopo avere assaporato un’altra goccia di Martini lei continuò

<Sta succedendo qualcosa in città di grosso ma non ho tutti i dati per lavorarci sopra, un’altra pausa e riprese <Conosci l’avvocato Perulli il cognato del Notaro? Ci vorrei parlare ma presto. > si fermò ancora spettando una conferma da Ruggero che non arrivò. <Angela ti devi calmare un pochino non puoi fare la guerra ai mulini a vento e da sola>.

<Don Chisciotte aveva il Palafreniere Sancho; tu non hai nessuno> <nemmeno io posso aiutarti, non ci sto con la testa> lei lo guardò quasi sorridendo, sapeva perfettamente che avrebbe detto qualcosa del genere <Ruggero tu non puoi aiutarmi nessuno può aiutarmi, nemmeno io posso aiutarmi, almeno fino a quando non ho risolto quello che ho per la testa, ma stammi vicino anche senza parlare>

Si girò dall’altra parte, fingendo di guardare qualcosa, ma era solo per non mostrare tutta la sua rabbia e forse disperazione. <Perché stai così sotto al Notaro? Lo sanno tutti che è un poco di buono ma poi tutto finisce nel nulla e viene sempre eletto a pieni voti; ha il rispetto di tutti i notabili della società, e nessuno osa metterlo con le spalle al muro>.

Guardava la gente entrare ed uscire senza fretta dal locale, ed un poverello che chiedeva la questua davanti alla porta, porgeva la mano che veniva scansata sgarbatamente dagli astanti, mentre il ragioniere Ristuccia che era sempre la a quell’ora a fare da anfitrione, tentando di nascondere la panza e la dentiera che gli ballava in bocca, alzando la voce per darsi importanza riempiva il locale con i suoi latrati.

<Filippo che piacere incontrarti qui, posso offrirti un caffè però ti prego prendi anche un cornetto alla crema qua sono buonissimi>, ed al giungere di un altro gruppetto sfaccendato, ricominciava con impeto <siete tutti miei ospiti stamattina. Ma che ci siamo dati appuntamento, a favorire>. <Gianni fa delle cose buonissime> mostrando con le mani la mercanzia per accentuarne la qualità.

Tutti accettavano l’invito e poi il ragioniere velocemente, per non farsi anticipare (ma nessuno ci pensava), si spostava alla casa.  <Diciotto euro ok ecco qua, ce ne sono 20, mancia per i ragazzi, non prendo resto.> ripeteva in maniera plateale riponendo nella tasca una mazzetta di banconote che sembrava avesse ritirato poco prima da un bancomat.

Il poverello stava ancora la quando il ragioniere usciva soddisfatto ma nemmeno lo guardava.

Si accorsero che stavano guardando la stessa scena ma non commentarono, Angela doveva andare via per un appuntamento col suo redattore e si alzò velocemente salutandolo. Come sempre si lasciavano dandosi appuntamento a chissà quando, senza mai portare a conclusione nessun argomento.

Quando tornò a casa era già tardi, non aveva comprato niente per pranzo e non aveva voglia di cucinare, scoprì sullo scaffale un barattolo aperto di tonno di tonnara, lo distese abbondante su una fetta di pane integrale abbrustolito, un pomodorino un po’ d’olio di nocellara, spolverò con pepe che aveva portato dall’ultima escursione in India ed infine soddisfatto della composizione lo assaggiò per sentirne il profumo.

Poi disteso sul divano con un calice di bianco locale continuò a piccoli bocconi a mangiare, mentre tonnellate di molliche disegnavano ghirigori scarlatti sulla sua camicia.

Non seguiva quasi mai i programmi televisivi, ma per farsi compagnia accese la vecchia Tv, cambiando canale fino a quando giunse sulla cronaca locale. Solite cose.

SUICIDIO

Sembrava copia incolla, ormai il Web ed i Social avevano reso le cronache televisive obsolete già digerite, ma lo colpi l’immagine ferma di un volto in primo piano, il commentatore e la sua voce agitata, descrivevano la scoperta del corpo di un noto commercialista del capoluogo. Dott. Del Prete, cugino di un Noto Politico del luogo Dott. Cestelli, Notaio.

Nome e cognome e poi un accenno alla causa del decesso. Il rinvenimento è avvenuto alle nove di stamattina, mentre la donna di servizio come ogni mattina è arrivata per le pulizie.

<Gli inquirenti ritengono che le modalità del ritrovamento potrebbero far pensare ad un suicidio>. La moglie Claudia ed i figli che erano in vacanza sarebbero rientrati nel pomeriggio; il commentatore continuò con una breve descrizione del CV del professionista, mentre sullo schermo scorreva un altro ritratto a colori che lo ritraeva al mare spensierato con la famiglia, Infine precisò che il caso sarebbe stato seguito dalla troupe televisiva passo a passo. Quindi invitò gli ascoltatori a non perdere le successive edizioni del TG.

La notizia, per il profilo del personaggio, era certamente più che un fatto di cronaca, nemmeno lui pensava al suicidio, aveva conosciuto il commercialista personalmente, molto arrogante facendosi forte del rapporto parentale col Notaro. Professionalmente molto quotato con attività che spaziavano dagli incarichi pubblici alla finanza internazionale, con studio a Londra nella City.

Stava cambiando canale collegandosi su un’altra rete locale quando giunse la chiamata di Angela. <<hai sentito> attaccò con voce agitata, <del cugino del Notaro, ne parlavamo stamattina, mi ci gioco tutto che non è un suicidio o una morte accidentale>.

Poi proseguì più calma.  <Il gioco che sospettavo è cominciato anche prima di quanto immaginavo, sto passando a prenderti fatti trovare giù> e riattaccò.

Ruggero trovò a fatica le scarpe cadute sotto il divano, si riassettò un pochino e scese velocemente per la scala senza nemmeno salutare la signora che già si era affacciata per commentare. <u sintiu chi successe>

Angela non lo fece aspettare molto, arrivò con la sua mini bicolore, bloccò le ruote con un piccolo stridore di gomme, quindi aprì velocemente lo sportelo e quando Ruggero fu dentro ripartì veloce.

<Adesso mi spieghi cosa sta succedendo> attaccò Ruggero, lei non rispose dirigendosi in periferia fino a parcheggiare in un angolo deserto di un campeggio. <non ho niente da spiegare, non so nulla di certo, solo supposizioni.> <bene, cominciamo dalle supposizioni> disse Ruggero palesemente infastidito.

Si ricompose distendendosi sul sedile come per rilassarsi sistemando la gonna. E cominciò con una voce accorata. <Tu sai che sto indagando su quelli del circolo da tempo, ho scoperto cose che vanno al di là delle dicerie.

Intrecci strani finanziari fra diversi personaggi del circolo: intrecci di donne e di uomini, di donne e donne, di uomini ed uomini, e minorenni; non solo le solite amanti, ma molto più. Non ti posso dire altro perché mi mancano le prove. >

<Però sono vicina, solo che è una matassa ingarbugliatissima è per questo che mi devi aiutare, dobbiamo dipanare la matassa insieme

<Tu cominci dalla parte di fuori ed io lavoro nello sporco dentro.>

Ed infine quasi sconsolata < Non posso pubblicare supposizioni: tienitelo per te ma mi sta aiutando un giovane poliziotto dei servizi, che sta indagando professionalmente all’insaputa dei superiori. >

Guardava ogni tanto fuori dal finestrino come impaurita <Non si fida di nessuno e nemmeno io mi fido di nessuno> <Questo suicidio ce lo aspettavamo e non finisce, qui è solo la punta dell’Iceberg di cose molto più complesse e pericolose, ci sono in ballo molti soldi, molte situazioni, molti misteri>.

Fece una pausa quasi conclusiva e poi aggiunse <non volevo parlartene per non metterti a rischio, il gioco si fa sempre più pericoloso e tu sei molto imprudente> aggiustò di nuovo la gonna e tacque in maniera conclusiva.

Ruggero si girò a guardare verso la strada dal finestrino umido e appannato. Stavano lì già da qualche tempo e adesso nella piazzola si scorgevano solo ombre; ebbe come un tremito nella schiena, mentre rifletteva su quanto appena riferito da Angela.

Da giorni immaginava che nel suo comportamento ci fosse qualcosa di strano, si aspettava qualcosa di velato, le assenze, le pause, i sotterfugi. Però non pensava che ci fosse dentro fino a questo punto.

Certamente dentro il circolo succedeva qualcosa ambigua e non solo da ora; qualcosa di complesso, equivoca per essere benpensanti, ma anche per quelli che sono dentro agli intrallazzi che proliferavano sotto gli occhi di tutti.

Sembrava che in quella cittadina poggiata sul mediterraneo di tanto in tanto calasse come una foschia, una nebbia umida e densa che sommergeva tutto; Gli abitanti si muovevano senza forma ed a volte senza tempo, quasi fantasmi, ed in quello stadio sembrava possibile, ammissibile che qualsiasi cosa fosse giustificata. Qualsiasi comportamento.

I fantasmi si incontravano quasi danzando d’improvviso, come se facessero parte di un rituale comune deciso dal caso, comunicavano a gesti e con gli occhi scintillanti di riflessi; indicavano la vittima senza mai profferire parola e decidevano la condanna definitiva. La vittima poteva essere un uomo o una donna, un giovane ma anche un anziano, un estraneo ma anche un congiunto.

Non era scelta a caso, dietro ci stava sempre una ragione. Una logica perversa a volte o utilitaristica, che sempre suscitava in cadauno come una intima soddisfazione. Il rituale si concludeva di colpo, ma sempre accadeva qualcosa di cruento: poi la nebbia d’un tratto svaniva e ritornava la luce che lasciava intravedere i contorni netti e accoglienti di un luogo normale.

Da quando succedeva tutto questo? Come non aveva capito che l’amica si era inserita in questo gioco a rischio fino a quel punto? Pericoloso, molto pericoloso. Inoltre l’arrivo in scena dell’investigatore non prometteva niente di buono. Perché un poliziotto faceva una indagine privata insieme a lei? Per Simpatia, per innamoramento, perché condivideva.?

Certamente il commercialista non era stata una persona trasparente, ma perché arrivare fino al suicidio?

Non disse nulla. Chiese di accompagnarla a casa. Lei ingranò la retromarcia e si inserì nel traffico di periferia, ogni tanto guardava nel retrovisore come per rassicurarsi di non essere seguita; nell’aria c’era una tensione palpabile. Infine Ruggero dopo un lungo respiro disse con voce calma <Stasera ho deciso di uscire a pescare>.

<È il periodo delle lampughe, tieni il telefono sempre sottomano, fermati all’angolo per favore, faccio due passi>. Si salutarono con lo sguardo e si allontanò a passo svelto verso la bottega del pescatore.

Camminava lentamente sul marciapiede, fingendo guardare le vetrine ma si accorse che non gli interessavano, stava invece guardando se qualcuno lo seguisse in quell’area del porticciolo dove ormai le strade erano deserte. Ma poi perché qualcuno lo doveva seguire? Quindi continuando a passo serrato, srotolò la pellicola e rivide tutto quanto riferitogli da Angela davanti gli occhi. Il Circolo, il Notaro e le comparse erano certamente gli angoli di un poligono che non mostrava bene tutti gli altri angoli e come sempre tutto rimaneva nell’ombra in una cittadina che invece risplendeva per la sua luce.

Giunse nella “bottega del pescatore” posta all’angolo del porto con una piccola luce fioca che la segnalava; adesso era quasi ora di chiusura, ma con Piero il proprietario non c’erano problemi; erano amici dall’infanzia; si salutarono battendo vigorosamente una mano sull’altra e poi senza parlare Piero si recò nel magazzinetto frigo della bottega, ritornando con una cassettina di cefalopodi: calamari e seppioline miste molto piccole.

<Sono già decongelate puoi usarle subito> lo informò consegnandoli le esche. Faceva sempre così ogni volta, sapeva sempre cosa gli serviva e forse gliele aveva anche conservate aspettando la sua venuta. <Immagino che esci solo come sempre, mi piacerebbe qualche notte uscire con te, non tanto per pescare ma per rinfrescare qualche ricordo. Ma Ruggero fingeva controllare le esche.

Ho sempre molto piacere di vederti Ruggero; lo guardò affettuosamente ricambiando la stima in silenzio e poi si salutarono.

 Davanti la porta si voltò di colpo e gli chiese, <ma l’avvocato ce l’ha sempre il gommone quello grosso blu notte>. Piero non gli chiese nemmeno a quale avvocato si riferisse, gli disse che si e che l’avvocato Perilli lo usava stranamente anche d’inverno, ma si meravigliò evidentemente della domanda.

Quando tornò a casa predispose tutto quanto per la pesca, indumenti pesanti ed impermeabili e il suo berretto di compagnia; anche se ancora la temperatura era estiva la notte era lunga.

LAMPUGHE intriganti

Al porticciolo, quando mollò la gli ormeggi si accorse che già tutti erano fuori a pesca. La stagione prometteva bene, si pescava di tutto in quantità, ma soprattutto il pesce di Traina. Accese il suo tò tò tò che si avviò al primo colpo e rispettando i segnali uscì prudentemente dal porto, dirigendosi verso occidente, come d’abitudine.

Il cielo non era ancora completamente buio, ma si vedeva una luce in fondo più luminosa che certamente doveva essere Venere per quanto gli avevano detto; al largo, nelle secche di pesca scorse i pescherecci locali ed altri forestieri già al lavoro; più in disparte nelle secche più vicine scorse anche un nugolo di piccole barche che sfidavano il mare.

Piccoli pescatori, amatori sempre presenti più dei pescatori, la pesca da quelle parti, la chiamavano pesca ma era come la caccia, forse più selvaggia e con pochi controlli.

Come d’abitudine non è che avesse tanta voglia di pescare, di catturare, di cacciare, era in mare solamente per allontanarsi da terra, per rimanere solo, per potere pensare in maniera più tranquilla senza inseguire un ragionamento preciso.

Ci riusciva sempre sia per la serenità che ti dava il lento blandire delle onde sia per il silenzio rotto solo da qualche motore di barche lontane

Quando fu nella zona di pesca, si tenne in disparte delle altre barche e rallentò per innescare le striscioline di seppioline agli ami che lasciò andare senza cura fuori bordo.

I professionisti gli raccomandavano di marciare a 2 o 3 nodi per la traina alla lampuga, niente di più niente di meno, ma Ruggero era quasi fermo lasciandosi portare dalla corrente. Gli ultimi giorni l’avevano turbato non poco per causa di tutto quello che girava attorno al circolo. Il suicidio fu poi totalmente inaspettato, in quella cittadina non succedeva spesso anzi quasi mai, la gente morisse per malattia o per cause d’onore.

Non conosceva bene il commercialista suicida, ma non capiva perché avesse compiuto un atto così estremo. Sembrava più che benestante, a detta della gente, la moglie l’aveva vista qualche volta bella in maniera vistosa ed elegante, non solo per quello che indossava ma per come lo indossava. I figli giovani studenti a Roma e Milano e lui un professionista ben accreditato. Quanto meno supportato da una rete di amicizie importanti che comunque lo inserivano in giochi grossi.

Aveva acquistato una cabriolet firmata da poco e si diceva che avesse in trattativa una villa d’epoca sul mare. Non sapeva quanto potesse essere merito suo e quanto invece del supporto evidente del Notaro che lui faceva entrare in gioco abilmente quando necessario.

 Solitamente non si interessava degli altri, ma adesso c’era di mezzo Angela. L’aveva vista veramente preoccupata. Ed adesso capiva che c’erano delle valide ragioni. Si stava infilando o si era già infilata in un gioco molto più grande di lei. Da sempre aveva avuto verso Angela come un moto di protezione. Praticamente reggeva lei la famiglia ed era così testarda che non chiedeva niente a nessuno

Era molto brava professionalmente, coriacea e determinata con una logica stringente. Però era molto giovane e soprattutto sola. Non sapeva come aiutarla; nel passato le era stato molto vicino quando poteva o quando lei in qualche modo lo richiedeva. Ma adesso il gioco era molto sporco.

 Sentì qualche pesce che mordicchiava l’esca, ma tutto qui e non faceva nemmeno alcuno sforzo per verificare o riarmare l’amo. Il silenzio era rotto dai motori delle grosse barche da pesca ed il vento portava qualche brontolio marinaresco.

 A qualche miglio, ma ancora a vista, verso occidente scorse una grossa barca da pesca non locale, che non gli sembrava di aver visto prima; aveva le reti tirate e procedeva molto lentamente quasi alla deriva. Faceva Traina o Paranza?

Quasi mai le grosse barche si lasciavano andare alla deriva per la traina, ma lui non era un esperto. Mentre tentava di rimettere in moto il tò tò tò intravide nella notte una scia bianca veloce che si avvicinava al peschereccio notato prima.

Navigava senza luce di posizioni, doveva essere un motoscafo o un gommone d’altura per come si muoveva veloce e per i solchi spumeggianti che si lasciava dietro nel chiarore della luna.

 Lo vide accostare a dritta del peschereccio e percepì che sul ponte della barca c’era un certo movimento inusuale, dopo qualche minuto il fuoribordo riprese di nuovo mare con l’eco di due motori che echeggiavano nella notte. A qualche miglia notò un battello della guardia costiera o della finanza, si lasciava trasportare dalla corrente ma stranamente aveva le luci di posizione spente.

Inconsueto pensò. Fu tentato di avvicinarsi caso mai avessero bisogno di qualcosa, ma desistette subito, magari stavano facendo un servizio di controllo particolare e poi i giovani della capitaneria se ti fermavano ti trattenevano per un’ora e non era il caso.

Rimase un po’ a riflettere, ma fu ancora distratto dalle altre luci in fondo quasi ammassate, impegnate in una ricca azione di pesca. Niente, qualcosa lo aveva completamente portato fuori dalla sua solita quiete e dal piacere di stare in mare.

Tirò velocemente le traine e l’ancora che si era slegata e fece rotta verso casa. Seguiva il faro principale dell’entrata del porto e poi le luci della cittadina vecchia, quella dei pescatori, che intanto che si avvicinava lasciavano intravedere i contorni dei terrazzi.

pag 40-100

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