civilizzatori
Ingioiellata da tre profonde baie miste di scogli e sabbia, Punta Maestrale come una piccola penisola mostrava le sue grazie, una sinuosità quasi sensuale, insidiosa per chi non conosceva bene i suoi fondali.
Nel passato, quando le barche navigavano in armonia del vento, doveva essere uno spettacolo per chi arrivava con i velieri in mezzo a queste meravigliose insenature.
Punta Maestrale era anche un rifugio sicuro, esposta ai due mari con due golfi importanti consentiva, anche durante il maltempo formato, di trovare un ridosso.
Non era raro, ma ancora oggi d’inverno, quando il maestrale faceva battere i pennoni delle barche, scorgere nella notte i fari di imbarcazioni, anche di grosse dimensioni, che cercavano rifugio sotto costa al riparo del vento. Sembravano delle piccole città galleggianti, barche forestiere che rimanevano sottovento fino a quando non arrivava il bel tempo.
Nel passato più antico, si dice, che in queste anse arrivassero i Turchi a rubare e razziare. Nella leggenda del paese si narravano episodi di violenza e di ruberie che venivano concentrate alla fine nell’imprecazione “Mamma Li turchi”.
I turchi erano tutti quelli che arrivavano dal mare di Ponente e Libeccio; bastava sentire il vento e già venivano etichettati. Ma da li erano arrivati anche gli Elimi, i Siculi, i Greci. i Fenici i Romani, Arabi, Normanni e Spagnoli.
Tanti e da tutte le parti del mediterraneo. Sarà per questo che qui su questa terra è così difficile ritrovare una identità unitaria omogenea.
A volte parlando con un tuo concittadino, uno della tua terra ti sembra di parlare con un forestiero, non solo per i tratti fisici ma anche per le “fisime”, abitudini così diverse nello stesso luogo o colorazioni dialettali a volte incomprensibili.
Un perfetto melting pot direbbero gli americani. Melting pot senz’altro, ma perfetto forse non proprio. Perché alla fine dei giochi i visitatori, in ogni caso, anche ai nostri giorni, erano tutti Turchi, tentavano non solo di razziare ma, in qualche modo anche violento, di modificare la tua indole antica.
Oggi si direbbe che tutti questi visitatori venissero a Civilizzare o a Democratizzare, ma sempre imponevano un modo di essere, culture e costumi che non ti appartenevano. È successo sempre dagli albori del mondo, succederà sempre. I popoli più organizzati o più evoluti o comunque più potenti, ad un certo punto decidono che hanno bisogno di più spazi.
Cominciavano a spostarsi nelle terre più vicine e poi nei mari. Era una soluzione naturale. Non importava se gli abitanti dei luoghi, dove penetravano, fossero d’accordo. Erano sempre spinti da un motivo “civilizzatore” e supportati dalla religione del momento.
E a seconda del tipo di civilizzazione che intendevano esportare, requisivano terre o abitazioni, o eliminavano i nativi del luogo per rimanere più liberi; i rimanenti quelli in buona salute li assoggettavano civilmente alla schiavitù. Non ti ammazzo, ti insegno un mestiere, ti do da mangiare, ti fornisco una religione più efficace, ma cosa hai da lamentarti se ti chiamo schiavo.
Anche più recentemente succedeva tutto questo, allo stesso modo. i civilizzatori erano gli Imperi di qualsiasi meridiano. Arrivavano, cambiavano velocemente il tuo stile di vita la tua religione, perché non era più adeguata ai tempi. Ai tempi dei civilizzatori per intenderci.
E quando ti andava bene ti inquadravano in sistemi amministrativi o giuridici, che non sempre erano adeguati alle esigenze dei Nativi. I locali abbozzavano, avevano visto arrivare e poi partire tante navi da Ponente, che sapevano che prima o poi sarebbero arrivati altri Turchi, magari con costumi diversi.
Arrivavano gli altri e ti dicevano che invece loro erano i veri civilizzatori. Che le regole erano completamente diverse, che era tutto sbagliato quello che stavano facendo o a cosa avevano creduto.
Una successione infinita di insegnamenti “civili”, un rimescolamento continuo a cui i locali infine si abituavano. E la dà loro era avvenuto per millenni. Ed allora perché “catamiarsi”, perché accettare e credere totalmente nelle verità che gli altri tentavano di inculcare, perché opporsi violentemente? Si realizzava che alla fine era un assoggettamento temporaneo, poi arriveranno gli altri e poi altri ancora
“Calati iuncu chi passa la china” dicevano, resisti fino alla nuova piena poi ti rialzerai. Tutto questo però evidentemente impediva la costruzione di una etnia omogenea e coesa – Quindi perché meravigliarsi degli isolani. Come fai ad opporti a qualcosa che è strutturalmente più grande di te. Con quali mezzi?
Ed invece poi, molto dopo studiosi e storici si “sciarriavanu” per individuare il come ed il perché della fragilità degli isolani. Una mancanza di dignità antropologica, affermavano con toni cattedratici, guardando con biasimo la platea dei nativi quasi con disprezzo. Come dire noi ce l’abbiamo messa tutta per civilizzarvi, ma voi non avete la struttura antropologica per apprezzarlo. Quindi non avete futuro per colpa vostra. Come si dice da noi “curnuti e vastuniati”,
Quando cominciò ad ormeggiare in banchina era quasi l’alba ed al pontile c’erano solamente le barche amatoriali, quelle da pesca d’altura erano ancora in mare, il tempo prometteva bene. Anche il bar di Gianni era chiuso, decise perciò di andare direttamente a casa.
Dopo un poco si accorse però che non aveva preso la solita strada per tornare, ma stava percorrendo un cammino più lungo attorno ai moli; aggirando tutta la banchina grande ed introducendosi anche nei piccoli bracci di ormeggio.
Non lo faceva spesso se non per curiosità, ma adesso sperava di incontrare il grande fuoribordo che aveva visto poco prima abbordare quel grande peschereccio forestiero. Girò anche per tutti gli attracchi degli aliscafi, ma la barca che cercava si era come volatilizzata.
Era già arrivato vicino casa ed in strada cominciava il traffico dei mattinieri, fruttivendoli, operai che lavoravano fuori città i baristi naturalmente. E chi rientrava, dal lavoro, qualsiasi lavoro.
Conosceva tutti, li vedeva quotidianamente e sempre con una battuta affettuosa o feroce si scambiavano un saluto e si auguravano una serena giornata.
Avvertì un languorino che lo stuzzicava, già da un poco e decise quindi di accelerare; salì le scale velocemente, sperando di non incontrare nessuno e finalmente dentro casa addentò con voracità un panino di segale che farcì come sempre con interiora di tonno e limone.
Poi tentò di accendere il televisore senza successo. Si infilò dentro la doccia per pulirsi dalla salsedine e dopo asciugato si infilò fra le lenzuola dove si addormentò immediatamente.
Funerali
I Funerali del commercialista Del Prete si celebrarono in maniera molto privata nella Basilica maggiore. Con la sola presenza dei parenti più stretti, gli amici d’infanzia e naturalmente il Notaro con la moglie a fargli da suppellettile. Fuori, comunque la piazzetta era colma di altra gente; conoscenti, ma soprattutto di curiosi per l’ultimo chiacchiericcio. <Io lo sapevo che prima o poi doveva succedere, diceva il postino al fiorista> e poi si rinchiudeva in un mistico silenzio con l’approvazione dell’amico.
La moglie Claudia totalmente di nero, con appena qualche gioiello era come sempre molto elegante, avvolta in una sciarpa di seta da dove trasparivano i capelli biondissimi e degli occhi stanchi e penetranti.
Non sembrava molto addolorata, <sembra più afflitto Gianfranco il nipote> diceva qualcuno, Ma tutto finì lì perché velocemente la bara fu posta sull’auto funeraria che si avviò subito verso il camposanto. L’accompagnamento era composto da un corteo di pochissime macchine. Tutto cominciò e si concluse nella prima mattinata.
Angela che era stata presente dietro le quinte, non poteva mancare. Stava semisdraiata nella sua Cooper impolverata col cellulare sempre sparato e di tanto in tanto lanciava uno sguardo sulla gente con fare indagatore, come per registrare l’avvenimento. Poi si accodò al corteo funebre.
Gli raccontò, che dopo il funerale quasi tutte le auto che aveva visto, dietro al feretro, si erano dirette nella villa del Notaro e non della vedova. Aggiunse poi, che lo stesso Notaro non si era recato a casa della vedova, come era uso dalle nostre parti. Si aspettava qualche commento da Ruggero che non arrivò.
I giorni successivi trascorsero in apparente normalità. La gente continuava a “sfrugualiare”, gli raccontava Gianni. <Al bar sento di tutto>. In particolare fra le cose più concrete era emersa una certa tensione fra la vedova ed il nipote Gianfranco; l’unico nipote di Del Prete che era cresciuto nello studio dello Zio. Lo avevano visto veramente addolorato. Un nipote che conosceva pressoché tutto delle attività dello zio, a cui venivano affidati le incombenze più delicate.
Gianfranco aveva avuto una sana educazione salesiana e si mostrava molto diverso negli atteggiamenti dello defunto, ma anche della corte che lo contornava, compreso i frequentatori del circolo. Morigerato, malgrado il ruolo che teneva, sembrava esattamente l’opposto dello parente viveur e festaiolo.
Si diceva che non c’erano buoni rapporti con la zia Claudia che aveva osteggiato sempre l’ingresso in quota nello studio del commercialista. Ma si diceva anche che lo zio lo avesse voluto socio per il patrimonio di relazioni nazionali ed internazionali di cui godeva Gianfranco Dellera e che in tale veste gli avesse delegato molti dei lavori che esulavano il tran tran delle attività locali.
Un rapporto solidale che si era rafforzato nel tempo proprio per la suddivisione dei compiti che i due professionisti erano riusciti ad instaurare.
25 aprile
ll 25 aprile in Italia è la festa della liberazione, ma al Circolo Sociale si festeggiava come sempre l’anniversario della fondazione con una festa in grande stile, musiche e danze d’altri tempi, con gli ospiti rigorosamente abbigliati in stile ostentatamente classico, con preziosissimi gioielli a tutta vista.
Malgrado il lutto recente di un socio, la ricorrenza veniva festeggiata con grande sfarzo come se non fosse successo nulla. Dopo le condoglianze ed i convenevoli Anche il Notaro sembrava rilassato e pimpante come sempre.
La moglie del Notaro sfoggiava regolarmente l’ultima parure in corallo rosso, realizzata da artigiani locali, soverchiando in eleganza e splendore tutte le altre dame. Gli uomini erano quasi tutti in abito monacale scuro, molti a righe con cravatte quasi a lutto. Il Notaro ostentava un doppio petto con gilet che lasciava intravedere una pancia sovrabbondante, indice manifesto di libagioni politiche sterminate.
Dopo i discorsi di benvenuto e la presentazione dei nuovi soci con applausi di prammatica, si formavano gruppuscoli omogenei per professione o specifici interessi.
I medici stavano sempre nell’angolo sinistro cappeggiati da un chirurgo anziano u Zu Mario, come lo chiamavano affettuosamente, che descriveva ad alta voce l’ultima tecnica di sutura a gaffe, importata dalla Francia. I più giovani fingendo di ascoltare discutevano sulla possibilità di carriera.
Nell’angolo opposto, si incrociavano gli amministrativi ed i legali, fra i più numerosi nell’ambito del circolo; avvocati e direttori di qualsiasi ente locale si scambiavano opinioni sulla sana amministrazione e sulle modalità di innovazione, che però non venivano mai applicate.
I legali stavano invece vicino, quasi in adorazione ad un folto numero di magistrati, invitati eccezionalmente per l’occasione, ascoltando religiosamente tutte le eccezioni ed i dettagli paranoici di applicazione delle nuove leggi civili o penali; qualche giornalista della stampa locale, circuiva tutto il gruppo annuendo positivamente e vistosamente ad ogni pausa intermedia o si mettevano in mostra con osservazioni di rito. Angela non era stata invitata.
<Comprendiamo che gli organici sono molto ristretti però si dovrebbe fare qualcosa di più per accelerare i processi> <abbiamo apprezzato molto le assoluzioni dei presunti corrotti, l’imputato è innocente fino a prova contraria>.
Il Notaro saltellava da un gruppo all’altro, prendendo la scena con argomenti sconclusionati ad alta voce e tutti annuivano. <Stiamo lavorando per risolvere il problema, non si può continuare così> diceva con convinzione e dopo una serie infinita di Dovremmo, si Dovrebbe, Faremo, la serata si concluse con i saluti di rito e sorrisi cordiali sbandierati senza ritegno.
Quando tutti andarono via In un angolo appartato rimase un gruppetto sparuto ed indistinto di soci capeggiato dal Notaro; assicuratosi che tutti gli astanti ed anche gli inservienti fossero andati via li guidò in una saletta privata interna, lontana anche dalle vetrine sulla strada.
Non erano più di dieci ogni volta gli invitati a queste riunioni ristrette. Quasi sempre ai soci canonici si aggiungevano altri personaggi arrivati in sordina che trovavano posto nella parte più in ombra della sala. Si conoscevano tutti molto bene ed i convenevoli furono veloci e senza scene, ma si baciarono tutti.
Più che una riunione ristretta di amici sembrava una confraternita che anche se di origini sociali ed ambiti culturali diversi condividevano alcune cose in maniera intima ed esclusiva.
Prese la parola il Notaro, attaccò subito con voce dura e tagliente, <Bene amici miei anzi male malissimo, stiamo attraversando tempi durissimi e disordinati, nelle ultime settimane sono successe cose pesanti da tutte le parti, toccando i ns interessi, le nostre persone, ma non mi pare che abbiamo fatto niente per frenare tutto questo> Non fece nessun accenno alla disgrazia capitata al cugino.
Approfittò di una pausa molto lunga per guardare tutti roteando lo sguardo per tutta la sala. Sembrava un interrogatorio, come volesse trovare subito una vittima sacrificale dove le vittime erano tutti i presenti, nessuno escluso.
<Ingegnere> riprese quasi con sarcasmo, rivolto al capo dei lavori pubblici provinciali nessuno dei lavori concordati è andato in appalto> <il piatto piange ma voi ve ne fregate, come non fossero affari vostri, non voglio sapere niente non voglio capire niente> aggiunse smorzando un tentativo di risposta <voglio vedere i fatti, vogliamo vedere i fatti, gli interessi sono di tutti qua presenti ma anche di altri che voi sapete e devo dare delle risposte>.
<Perché alla fine sono io il responsabile del circo equestre>; ed il circo equestre costa. Costa moltissimo e non solo quattrini, ma tempo dedicato ed anche rischi> quindi si rivolse senza pausa al direttore sanitario del territorio <dutturi tu sai perfettamente che non hai nessun titolo per stare a questo posto, ti abbiamo messo la solo per fare le cose che interessano a noi> ancora un’altra pausa e dopo un altro sguardo circolare esplicativo <quannu accumincianu le assunzioni, sono sei mesi che ci prendi in giro con – oggi o domani è tutto pronto- ancora non abbiamo visto niente, subisco pressioni di ogni tipo, a genti si lamenta, hanno uscito già i soldi per avere un posto ed ancora aspettano:
Dio non voglia che si “scazzanu” e succede un quarantotto. Infine dopo avere bevuto un poco d’acqua, con fare più calmo si rivolse al Giudice.
<Signor giudice esimio, noi siamo sempre onorati di averlo fra noi, Lei sa che prima di lei c’era la buon’anima del dottore De Bonis, pace all’anima sua, che era un orologio svizzero. Lei è arrivato da poco e le persone che l’hanno raccomandato sono di tutto rispetto, però voglio essere onesto, ancora non abbiamo visto niente di quello che ci aspettavamo. Nella riunione precedente subito dopo il suo insediamento avevamo concordato le cose da fare e le priorità. Una agenda che lei si era impegnato a portare avanti puntualmente>
<Per non sbagliare gliela leggo>. Prese un taccuino dalla borsa indossò gli occhiali con le stanghette dorate e continuò.
A) <Signor giudice doveva accelerare tutte le pratiche ipotecarie e di fallimento per mettere all’asta gli immobili, ed ancora non abbiamo visto niente ed i nostri amici che aspettano, pagano un sacco di interessi in banca >
B) <doveva provvedere agli affidamenti delle proprietà confiscate ai mafiosi, e idem;
c) doveva farci avere i documenti segretati della famiglia Tribona, ed ancora aspettiamo e quelli sono ancora “ncarcere”>
Noi signor giudice siamo onorati di averla con noi, anche se ne abbiamo di amici dentro il tribunale importanti e lei lo sa. Ma ccà i cosi sunnu due anzi una, namu allestiri. Ci sono interessi grossissimi in gioco.
<E poi glielo dico con tutta riservatezza> continuò abbassando la voce e lo sguardo< il paese è piccolo e a genti parla e lei lo sa a cosa mi riferisco. Quindi tutti, qua dentro, che abbiamo fatto molto per parargli il culo le suggeriamo “si ci piacinu i balletti li facissi a natra banna, picchi a genti palla”> gli sputò quasi in faccia confinandolo come in un angolo di appestati.
<E poi diventa facilmente ricattabile, ed a noi tutto questo non sta bene. “Ci lu staiu dicennu” amichevolmente senza alcuna minaccia, naturalmente> Infine si rivolse a quelli seduti in seconda fila, <Picciotti stiamo realizzando alcune cose buone, che non vi posso anticipare al momento>.
Però parliamo di tantissimi “picciuli”, sia nell’area delle costruzioni, sia nei lavori pubblici. “Stamu parlannu di picciuli assai”, quindi un poco di pazienza, “dicitici all’amicu meu” che io sono stato sempre di parola, e che con me non ha perso mai niente, anzi.
Pertanto finitela di fare tutti sti casini “mezzu a strada unnè chiu tempu di fari sti cosi”. “Ora i sordi si varagnanu stannu assittati, no stannu pi strada a sfugualiari i cristiani chi travagghianu”.> Concluse.
Quindi sorseggiò ancora un poco d’acqua soddisfatto e poi con un sorriso a 36 denti disse <bene picciotti ora brindiamo al 25 Aprile> non ci fu nessun altro commento. Il gruppo si sciolse discretamente per le strade vicine dove gli autisti aspettavano.
CIRCOLO socio
Poi la nube che lo aveva avvolto nell’ultima mezz’ora si sciolse e Ruggero si distese più comodo mentre dalla serranda si intravedevano già i colori lievi dell’alba, Voleva fare un bilancio di quegli ultimi giorni.
Davanti agli occhi si presentava sempre Angela indaffarata e preoccupata. Gli rintonavano sempre più forte le sue parole “è peggio di quanto tu immagini>; quanto peggio, pensava; ed era come se le sue parole si incrociassero e definissero a colori i dettagli ed i contorni delle facce che aveva intravisto poco prima, e ne accentuassero la significanza. Era certo adesso che Angela conoscesse a fondo molti degli intrighi dei frequentatori del Circolo.
Esisteva da sempre, una volta si chiamava anche Circolo Mazzini, anche suo padre ne fece parte per qualche tempo, ma poi si dimise e non gli spiegò mai perché.
Farne parte era come un riconoscimento, più che del Rotary o Lyons; si viveva un’atmosfera diversa, fra pari che si proteggevano ricucendo le pezze sdrucite di una coperta composta da mille colori. Un puzzle dove comunque navigavano bene, e non c’erano buchi che non si potessero rammendare. Divenivi socio per successione familiare o per chiamata unanime dei soci anziani. Tutti agognavano un giorno di ricevere la chiamata. E tutti facevano qualcosa per mostrare di meritarsi la chiamata.
Più volte alcuni rappresentanti anziani avevano tentato anche di adescarlo <Ruggero avremmo bisogno di uno come te fra di noi>, ma rifiutò amabilmente. <Sono onorato, ma sono sempre in viaggio non ho mai tempo, sarei come una zavorra per il circolo>; insistette anche Zio Gianni come lo chiamavano, il veterinario un lontano parente.
Si fece trovare sotto casa un giorno d’autunno come per caso, <quanto tempo che non prendiamo un caffè insieme, c’è un nuovo bar a piazza dei martiri,> insisteva standogli incollato quasi a spingerlo dalle terga <leccornie da urlo> Sapeva già dove voleva andare a parare e comunque si fece guidare fino al nuovo locale dove sedettero sotto una tettoia con i colori del mare. <Dunque Ruggero al circolo stiamo diventando tutti vecchi, abbiamo bisogno di carne nuova> -spero che non sia carne da macello pensava Ruggero-
<Ti vorremmo come socio per ravvivare la nostra attività nel sociale che sta languendo, lì dentro sono tutti d’accordo che potresti essere la persona giusta.
Puoi farne parte senza pagare la quota d’’ingresso> -che era una cifra pensava-. <Mi hanno chiesto di contattarti, visto i rapporti, dacci una risposta al più presto>, concluse alzandosi velocemente pagando il conto, si accorse che non aveva consumato nemmeno il caffè.
Non accettò mai, e nemmeno diede spazio ad altre circuizioni. Dopo, quando il rifiuto divenne palese, quasi un oltraggio, subito dopo percepì un atteggiamento evidentemente ostile da parte dei soci tutti.
Non lo invitavano più alle conviviali, e per strada lo salutavano freddamente o lo scansavano, anche le signore mogli dei soci mostravano un atteggiamento scostante. Il Circolo Sociale era molto coeso pensò.
Francesco lo aveva chiamato più volte, come gli aveva ricordato la commessa del bar all’angolo, ma lui non l’aveva richiamato, faceva così con tutti gli amici che avevano il suo numero, sperava che lo dimenticavano e così di dimenticarli tutti.
Ma Francesco era diverso era il suo migliore amico già dall’infanzia. L’amico che lo consigliava quando lo sentiva in difficoltà e lo sorreggeva quando lo sentiva debole, Peccato che vivessero così lontano. Comunque non lo richiamò. Sapeva già che gli avrebbe proposto di vedersi alla prima data utile ed era molto abile a proporgli un evento “unico” che sapeva lo istigava < fine settimana si esibiscono i Queens> o <ci sarà la presentazione delle ultime scoperte fatte dagli archeologi francesi a Mossul, ho già prenotato> Ci pensò un poco sorridendo tentato ma resistette e non lo richiamò.
Francesco compleanno marcello
Da qualche tempo non voleva parlare più con nessuno che gli ricordasse il passato, li aveva rinchiusi in un baule di pelle lavorata e riposti nel sottotetto, immaginando che la polvere poco a poco ne cancellasse il ricordo, però sempre un refolo di vento che passava dalla finestra rispolverava tutto con una carezza e tutto tornava limpido ai suoi occhi, ma soprattutto nei suoi neuroni che qualche volta erano troppo intasati del presente.
In Francesco anche se era fra i migliori amici d’infanzia, di scuola e poi anche compagno in molte faccende della vita belle e meno belle, riconosceva una speciale saggezza data dal suo carattere sereno ma anche dalla sua cultura profonda, non solo nell’area professionale, e poi supportava le sue scelte senza giudicarlo mai.
Viveva ormai da sempre a Parigi dove aveva conseguito una specializzazione in chirurgia e dove dopo poco era divenuto apprezzato primario “Aux invalides”.
Faceva parte del suo cerchio magico, una cerchia ristrettissima, quasi una congregazione, che se pure di temperamento e cultura differenti condividevano in concreto alcuni valori essenziali della vita. Non si incontravano spesso e l’ultima volta fu qualche anno prima, in occasione di un compleanno di Ruggero. Una data che Ruggero dimenticava sempre
Organizzò tutto lui Francesco rientrando appositamente da Parigi, Una sorpresa inaspettata che lo commosse, anche se faceva finta di niente, minimizzando tutto con qualche battuta. <Picciotti ma vinistu pi mangiari a gratis>;
Erano presenti quasi tutti, in particolare la presenza di Marcello l’esperto di missioni umanitarie gli metteva molta gioia. Non si muoveva mai per niente e come ogni anno veniva appositamente per condividere la gioia con gli amici. Filippo, Buyer per una catena alimentare, veniva da Milano ma lui era sempre presente. Gianni, Tommaso, Luigi ed Antonio erano delle province vicine ed avevano più occasioni per vedersi con Ruggero. Insieme avevano vissute molte esperienze belle altre meno belle, però sempre erano rimasti uniti e solidali. Rappresentavano un gruppo che per motivi diversi aveva avuto un ruolo importante nella sua vita, un cerchio da dove non erano più usciti.
Francesco aveva organizzato in un piccolo baglio di una contrada vicina con tutto l’inimmaginabile: candeline, botti, piatti succulenti tutti a base di pesce e naturalmente cannoli graffe a tonnellate; quando arrivò guidato da Angela, Ruggero rimase visibilmente stordito e questa volta lo mostrava senza vergogna, Lo incitarono per un discorso di prammatica e lui guardando in cielo disse semplicemente. <Grazie. >
Si mescolavano a gruppetti che si componevano e ricomponevano in continuazione. Approfittando dell’occasione di ritrovarsi dopo tempo, si raccontavano le ultime storie della loro vita, sottolineandole con fragorose risate o controbattendo ad alta voce, battute salaci, ricordi d’infanzia, in un angolo a parte c’era Marcello.
Ruggero gli si fece dappresso e ad alta voce gli chiese< anche tu con questi pazzi scatenati” <da dove arrivi Africa, Asia, Sudamerica> Marcelo lavorava in una Ong umanitaria che lo inviava come chirurgo volontario in aree depresse del mondo e spesso in zone di guerra.
Marcello, Aveva normalmente un profilo basso, consono al suo carattere semplice e sereno, non si alterava mai ed evitava di entrare in discussioni di principio anche con gli amici.
Pur avendo molte cose da raccontare evitava sempre di parlare del suo lavoro o dei luoghi che aveva visitato. Ti guardava negli occhi con calore ma senza invadenza, come dire ci siamo in questo mondo e dobbiamo fare qualcosa per riconoscerci umani.
<sono in Sudan da qualche mese, mentre prima ero in Burkina. In Sudan stanno arrivando le prime avvisaglie salafite e nel prossimo futuro sarà dura> disse guardando il fuoco, che scintillava ardente, del barbecue<in Burkina invece sta succedendo qualcosa di veramente straordinario> si girò verso di lui per guardarlo meglio <Come avrai letto questo giovane presidente Sankara, da quando ha preso le redini in mano sta rivoltando il paese e non solo>.
<Ha un seguito enorme in molte aree africane e naturalmente è malvisto dai Poteri; specialmente la Francia, come potrai capire. Vediamo che succede> soggiunse guardando il cielo <Ma non la vedo bene>. Ruggero ascoltava attentamente tentando di raccordare le sue informazioni recenti con quelle di Marcello, e che in parte coincidevano con le sue ed entrambi le versioni lasciavano pensare che a breve sarebbe scoppiata qualcosa di spiacevole in Burkina.
Parlarono ancora di altri paesi anche se Marcello lo riportava su Burkina e Sankara incuriosendolo oltremodo, quasi a pensare che lo stava provocando. La narrazione lo riportava come un eroe, un uomo integro volto al raggiungimento concreto della felicità del popolo. “Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo” asseriva, “Non possiamo essere la classe dirigente ricca in un paese povero” ripeteva in tutti gli ambiti politici e non. Ma soprattutto quello che disturbava l’ambito internazionale del tempo. Era il suo Panarabismo. Alla conferenza di Addis Abeba del 1987 Sankara affermò che <il debito dei paesi africani non era altro che una manipolazione del futuro e della crescita dei popoli che sarebbero stati finanziariamente schiavi.> Certamente un grande carisma lo intrigava non poco. Più volte si era ripromesso di incontrarlo, ma erano mancate sempre le circostanze favorevoli.
Alla fine Ruggero chiese <quanto è complicato visitare Burkina?> <oggi non è difficilissimo, tu hai abbastanza relazioni nell’aria africana, ma se vuoi io posso cloinvolgere gli amici che sono rimasti in loco>. Però Ruggero se decidi di andare, avvisami in tempo è un luogo estremamente complicato ed a rischio. Conoscendo Ruggero la raccomandazione era obbligata.
Furono interrotti da Filippo che porse due calici di bollicine e poi Ruggero esortò tutti a brindare alla rimpatriata.
Tranne Marcello, avevano tutti famiglia, alcuni al secondo figlio, da tempo impegnati in attività professionali di prestigio, sempre disponibili a condividere col gruppo nuove opportunità di lavoro o di amicizie funzionali.
Da sposati, ma soprattutto con le prime paternità, frequentarsi era sempre più complicato; ci provavano dandosi un appuntamento al più presto ma sempre accadeva qualcosa che si doveva rimandare. Comunque ripetersi ad ogni incontro casuale, <dobbiamo vederci presto, organizziamoci> consci che non sarebbe stato possibile, ma era già un piacevole complice auspicio.
Angela gli si fece vicino e con un traboccante affetto che traspariva dagli occhi disse<bello stare in mezzo le persone che ti vogliono bene, io ti auguro tutto il bene che cerchi> accostò il bicchiere e lo baciò nella guancia.
In un angolo vicino al barbecue come sempre stava Francesco si incontrarono con gli occhi mentre lui era preso da una discussione animata can Angela.
Si Francesco faceva parte veramente dei suoi amici storici ma anche della sua vita più recente, avevano frequentato le stesse scuole fino a 18 anni poi la separazione per motivi professionali, però era stata una separazione consenziente perché poi si sentivano e curtigghiavano 100 volte al giorno anche per motivi banali.
Prima, molto tempo prima avevano molte più opportunità per vedersi, Ruggero per il suo lavoro viaggiava più frequentemente, e faceva sempre una sosta a Parigi specialmente di ritorno dei suoi viaggi oltre oceano.
Arrivava in aeroporto a Parigi di notte senza preavviso e lo chiamava ciao <Francesco sono qua>. Dall’altra parte una voce assonnata ma non infastidita <bene dammi il tempo di arrivare prendi un caffè nel bar degli arrivi vicino l’ingresso sud> e dopo una mezzoretta arrivava.
PARIGI da FranCESCO
Una pacca sulla spalla e guidando veloce senza parlare fra le strade vuote di Val D’Oise lo conduceva nella sua dimora.
Una villetta liberty nel quartiere Bobigny. Lasciavano i bagagli in garage e poi tentando di non far rumore, <Reneè ha il sonno leggero, lo sai> camminavano a piedi scalzi andando nella cucina del seminterrato a preparare un altro caffè, regolarmente imbevibile, che Ruggero allungava con cioccolata e qualsiasi cosa che lo rendesse orrendo.
Poi lo conduceva nella camera degli ospiti e lo lasciava spiegandogli ogni volta come accendere il televisore e come regolare l’aria condizionata. Poi se ne andava augurandole con gli occhi un sereno soggiorno.
Da loro Ruggero si sentiva tranquillo come a casa sua. Si distendeva su un letto alla francese, spegneva tutte le luci e tentava di dormire. Nel suo intimo ringraziava l’amico di non avergli chiesto “come mai sei qua? “che è successo”, “hai bisogno di qualcosa”.
Si stava quasi addormentando ma uno spiffero di luce si insinuava prepotente dal lucernario, anche ad occhi chiusi riusciva a penetrare le sue palpebre inondandogli gli occhi di luce, una cosa ricorrente che non lo turbava anzi lo rasserenava, si distese meglio sul letto osservando i bagliori della luce che si facevano più intensi fino a sommergerlo completamente. Già si sentiva a casa, con i battiti del cuore che aumentavano il ritmo progressivamente rimase in attesa.
Questa volta non fu necessario aspettare molto; di colpo si raffigurò e si fece presente, intenza forse più che le altre volte e sola. Era la sua stella senza dubbio. I contorni erano più netti ed anche le trasparenze che disegnavano come dei percorsi invitanti. Muoveva lentamente gli occhi tentando di percepirne i contorni, immaginandosi qualsiasi cosa conosciuta e riconoscibile.
Ma niente era riconducibile alle cose che già aveva conosciuto. Rimase così fino a quando ascoltò un ticchettio nella porta e la voce di Renèe che sommessamente diceva “Ruggero sei sveglio, è pomeriggio” Si svegliò di colpo realizzando che si era coricato vestito, <si rispose, buongiorno Renèe un secondo e sono da te> Si sciacquò appena ed uscì avvolto dalla luce del giorno, Renèe era nel soggiorno aveva preparato dei bisquit all vaniglia profumatissimi.
Abbronzatissima come sempre e con il suo sorriso avvolgente. La salutò con lo sguardo. <Francesco è ancora in ospedale ha un caso complicato, quindi se hai voglia mangiamo qualcosa>, Arianne come una fata vestita di candido bianco si avvicinò di soppiatto e come sempre gli saltò addosso avvolgendolo in un grande abbraccio.
Avevano una unica figlia. Un tesoro. <Zio Ruggero che bello che sei qui, avevamo tutti voglia di vederti, lo abbracciava sempre più intrigantemente quasi a fargli sentire i battiti del cuore>. Le carezzo i capelli di biondo come le messi la guardò negli occhi e disse <ti ho portato un regalino è nella borsa vallo a prendere>.
Renèè come di consueto si lamentava dalla cucina che non c’era bisogno, <la vizi troppo>, e tutte quelle cose che le madri dicono per compiacere affettuosamente qualcuno che si vuole bene. Era una splendida famigliola.
Molto coesa compreso la bambina che era il fulcro ed il legante di quel rapporto. Però la regina evidentemente era lei Renèe, psicologa da sempre impegnata socialmente. Semplice senza grilli ma determinata a conseguire i suoi obbiettivi. In primis l’Unione familiare.
Si erano conosciuti sul lavoro in un ospedale di Marsiglia dove Francesco era andato per specializzarsi e da allora erano vissuti sempre insieme. Forse invidiava un poco questo rapporto uno stare insieme che lui non aveva mai vissuto ma molto di più era la gioia era di vederli così serenamente uniti. Renèe insistette ancora per uno spuntino ma non mangiò nulla voleva restare digiuno per gustare le prelibatezze che sapeva Francesco gli avrebbe preparato al suo ritorno.
Non ci volle molto e quando tornò Francesco trafelato, lo guardò preparare il grill, disossare il coniglio in maniera chirurgica, pronto per preparare il piatto preferito dell’amico; un coniglio grigliato alla Parigina.
Poi Francesco dandogli le spalle lo approcciò sornione con un tono che usava quando voleva “sfiguliare”, <ed allora amico mio, di questi tempi che ruolo interpreti> percepì l’irrigidimento di Ruggero e proseguì <chi sei adesso, ItalianoAdoravel, Roberto, il Paraense, o Ruggero, fammi capire in modo che se è il caso cambio registro>
Ruggero si prese una lunghissima pausa prima di rispondere, sapeva dove voleva andare a parare, succedeva sempre così quando si incontravano; ad un certo punto diventava incalzante voleva capire, oltre l’apparenza, come veramente stava il suo amico. Lo metteva davanti allo specchio, con garbo ma determinato, e sapeva che lo rendeva vulnerabile.
Lo specchio di colpo sembrava rifulgere, con una serie di lampi e con pause di buio oscuro assoluto; rivide in un istante la scena della sua vita fino a quel momento, i colori viravano dal giallo al verde intenso al bianco assoluto a seconda dei momenti e delle situazioni, delle emozioni che aveva vissuto tentando di comunicargli qualcosa che non riusciva a decifrare per intero.
Rimase assorto a guardare e riflettere tentando di specchiarsi egli stesso nelle trasparenze per decifrare il suo sguardo in quel momento per capire dove i riflessi lo stavano conducendo, quando realizzò che Francesco lo stava osservando assorto e perplesso; si ricompose ed abbassò gli occhi prima di rispondere, voleva approfittare per continuare a rileggere tutta la sua vita in un istante, trovare delle motivazioni, una logica, delle risposte; ma la luce si affievolì diventando muta ed imperscrutabile.
Si volse verso Francesco e con una voce strana che non riusciva a riconoscere, quasi flebilmente disse <Gli esseri viventi tutti hanno come un involucro, alcuni fragile e trasparente, altri di cartone rigido; durante l’arco di una intera vita tentano di aggiustarlo di adattarselo a sé ed agli altri. >
<Forse quella maschera qualche volta è riuscita a proteggerti da quello che sei stato, ma difficilmente ti potrà proteggere per quello che sarai> si carezzò i capelli fingendo di volerli sistemare, ma forse era un modo per sentirsi presente la in quel luogo nella casa dell’amico e continuò. <Ho provato a cambiare maschera continuamente scegliendo quelle eleganti e più costose negli atelier più famosi, e poi nei mercatini di Dheli, ma non è servito molto; Io te lo giuro ci ho provato anch’io Francesco, ma non sono stato bravo, ho sbagliato sempre genere o misura ed alla fine ci rinuncio>.
Quando tacque con un sospiro lunghissimo notò che una margherita stava appassendo nell’angolo del salotto, i petali erano sparsi dappertutto e la corolla non proteggeva più a sufficienza gli stami.
Si doveva fare qualcosa subito per salvarla magari recidendola alla base, magari carezzandola chissà.
<Tutti a tavola> urlò Renèe, distogliendoli dalle loro riflessioni; le si sedette al suo fianco e dall’altro sistemò Arianne, il vino era già nel Pichet di cristallo, uno château d’Yquem. un Cru molto delicato che Francesco versò con delicatezza nel calice di Ruggero; Renèe era pressoché astemia.
Sceglieva sempre qualcosa di speciale perché aveva buon gusto ed una particolare predilezione per la Gascogne dove aveva lavorato. Amava naturalmente anche moltissimo i vini siciliani di cui era un esperto, ma alcuni vini francesi specialmente quelli prodotti sulle vigne prospicenti l’oceano li preferiva, specialmente con gli arrosti.
Brindarono come sempre prima di cominciare, con una nota di amicizia gioviale ed affettuosa, Ruggero si sentiva veramente a casa molto protetto e molto libero. Sapeva che le rughe gli stavano quasi scomparendo, con loro non aveva bisogno di fingere o di difendersi, e si rilassava velocemente.
Addentò con voracità il coniglio cotto al punto giusto, <Ho aggiunto un poco di menta di bosco> riprese Francesco <mi pare che ci sta al meglio>. Ruggero non si lasciò distrarre e solo dopo che fini il piattò riprese < una preparazione eccellente ed anche la menta si sposa bene, ma la cosa < che più apprezzo è l’amore che ci hai messo per prepararlo>.
Continuò a rimpinzarsi intanto che Renèe provvedeva con gioia ad aggiungere altre parti prelibate e Francesco degustava professionalmente poco a poco ogni singola parte della carne. Ruggero nelle pause faceva ripetere ad Arianne qualche parola siciliana che gli aveva insegnato, che lei attentissima ripeteva con accento pressoché nativo.
Dopo la frutta Renèe li guidò in un salottino appartato dicendo “se fate i bravi vi faccio assaggiare il dolce>. Come sempre arrivò una Saint Honore preparata da lei ed un rum bianco che Ruggero adorava.
Infine si sedette anche lei. <Come va il mondo gli chiese> avvicinandosi per brindare con un Cremant d’Alsace, lo guardava sottecchi aspettandosi sempre la stessa risposta che non poteva mancare.
Ruggero sollevò il calice per ricambiare e quasi con tristezza soggiunse- <Il mondo è di chi lo ha concepito, cara, appartiene ai suoi scopi, o ai suoi interessi, e noi siamo una variabile indipendente>. Renèe recepiva con lo sguardo e Ruggero sapeva che aveva compreso tutto al di là di quello che mostrava.
Parlarono del più e meno ancora per qualche tempo. Poi Francesco con fare più serioso disse, <Ho incontrato il console del Mali ieri l’altro, non è stato un incontro occasionale, voleva sapere di te, mi ha parlato di quello che stava succedendo in molti paesi dell’Africa ed in specie nelle aree francofone.
<Sembra che ci sia un risveglio dentro le nazioni africane, come un fuoco nazionalistico sommesso che comincia ad ardere e che forse ha bisogno di buon carbone per diventare un fuoco permanente, voleva incontrarti ma io sono rimasto vago e lui ha capito bene che non volevo parlare di te; comunque siamo rimasti che ci risentiamo presto quando possibile, dipende da te >. Concluse.
Ruggero, finse di non aver capito annusando le bollicine, ci fu un’altra pausa lunghissima interrotta ogni tanto da Arianna che ripeteva la lezione di inglese.
Tutto in quella casa sapeva di serenità, sembrava l’esempio imperituro della famiglia. Ed ogni volta che li visitava non voleva fare nulla per modificare quella pace.
Poi con un lungo sospiro prendendo fiato disse, Francesco. <L’Africa è un continente martire. > ci fu una lingua pausa prima che Francesco aggiungesse come per caso, <Ana Paula anche con parole diverse diceva le stesse identiche cose dell’America del Sud>. La pausa divenne infinita e Ruggero non sapeva più dove guardare si soffermò sul vaso di begonie, che sembravano schiudersi e poi risbocciare virando però al giallo paglierino.
Era questo uno dei motivi perché per mesi aveva evitato di rivedere Francesco. Per tutto l’affetto che aveva e che era ricambiato abbondantemente, Ana Paula nei loro discorsi era ricorrente, in qualsiasi modo cercasse di ricacciarla negli anfratti più reconditi, riappariva in qualche maniera come la luce dell’alba piccolissima che poi riempiva il cielo di gioia. E adesso poggiata di spalle alla vetrata del balcone c’era già.
L’osservava con una espressione indefinita facendo scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo per poi spostarsi dietro di lui, costringendolo comunque a Fissarla come ogni volta che si rincontravano, non diceva mai come stai, ma lo accarezzava con gli occhi sommergendolo della sua presenza. Era un bagno d’amore infinito quasi insopportabile.
Quando si riprese dopo un poco già era andata via. Percepì che Francesco lo scrutava strano, conosceva tutto di quei momenti. Era stato protagonista del primo incontro nella sua residenza a Covenas. Francesco aveva un debole per il sud America ma soprattutto per la Colombia che aveva visitato in lungo e in largo.
Dopo qualche tempo Francesco in una serata di autunno a Parigi accennò dell’incontro Colombiano quasi per caso a Ruggero, che era venuto la notte prima dall’Italia per il Musical Waters al castello di Versailles, tentò di suscitare attenzione ma non ebbe molto successo.
In quel tempo Ruggero era preso da un reportage che stava organizzando per una rivista tedesca in Zanzibar. <Voglio fare delle foto estreme per rappresentare la bellezza di questo popolo ancor più che i paesaggi>.
Anche se sembrava agli occhi di chi non lo conosceva distratto o superficiale, sul lavoro Ruggero era intransigente e severissimo con sé stesso, Pianificava tutto al millimetro, al secondo.
Non era un fotografo professionale, era certamente un Free Lance. Indipendente quando non lavorava su progetti definiti, gli piaceva liberarsi di tutte le paranoie ed esplorare, le persone le situazioni, gli ambienti, si riempiva gli occhi di immagini che rimanevano sue per sempre, poi qualcuno gli chiedeva un report, che lui chiamava Trip Notes. Con la foto riusciva a descrivere le situazioni in maniera autentica tirandone fuori le emozioni fino all’anima.
Ufficialmente era un metamanager despecializzato come gli piaceva farsi chiamare dai colleghi. Spaziava dal marketing allo sviluppo dei territori, alla geopolitica che lo affascinava. La fotografia lo prese più tardi, ma rimaneva sempre un hobby. Usava la sua Nikon quando aveva bisogno di immagini non stereotipate per qualche progetto di marketing su cui stava lavorando e non era contento dei lavori commerciali che gli sottoponevano.
Col passar del tempo si attrezzò per farle egli stesso, nei primi tempi con poco successo, poi con sempre più entusiasmo. Riusciva a realizzare anche dei reportage fotografici di grande effetto. Ma non si lasciava mai coinvolgere da mostre gallerie o similari. Riteneva la foto un fatto molto personale una emozione da vivere in intimità.
Conversò ancora con Francesco sulle problematiche africane, si accorse che era adesso l’argomento che più lo coinvolgeva. I suoi neuroni ormai in fibrillazione, prendevano nota di ogni più piccolo dettaglio e nella sua testa già si disegnava un percorso da seguire. Un filo sottile che poco a poco diveniva come una tela dove Ruggero inseriva riferimenti, ricordi, sguardi e soprattutto Marcelo l’altro suo grande amico; Il suo riferimento certo quando doveva muoversi per luoghi impervi, La spalla fedele e la garanzia certa per tutte le stagioni.
Sorseggiò per finire l’ambrato che renèe le porse con attenzione e poi un saluto. Ogni volta come un addio
Le tende adesso erano completamente chiuse nel lucernario, Francesco le aveva bloccate con un fermo di rame; un bagliore piccolissimo, sull’angolo in trasparenza, riusciva però a trapelare inondandogli gli occhi, guidandolo nelle atmosfere brumate della notte. Le nuvole correvano veloci, non riusciva a mettere a fuoco oltre le ombre, solo un puntino luminoso più intenso emergeva ad occidente della sagoma dissolta della luna che lo stava fissando dall’inizio. Come sempre tentava di andare oltre ma poi la stanchezza lo prese e ci rinunciò. Si addormentò con le ultime immagini del Notaro che celebrava il 25 Aprile al circolo Mazzini
Verso Africa
Ruggero, Si trovava già da un mese in Nord Africa. Aveva trascorso le ultime settimane in attesa nei paesi confinanti vicino all’area critica, aspettando il Pass definitivo per entrare a Burkina Faso. Marcello aveva fatto un lavoro magistrale con le sue relazioni. Si era mosso come sempre
Ruggero, alla sua maniera senza alcuna preparazione, aveva deciso di intervistare Thomas Sankara, il giovanissimo Presidente, che in poco tempo stava rivoluzionando il paese. Marcello lo aveva provocato troppo e Francesco aveva aggiunto altre chicche che lo istigarono a prendere una decisione repentina. alla fine aveva deciso di incontrare Il che Guevara d’africa, come lo chiamavano. Tentò di chiamare Angela per avvertirla. Ma senza successo alla fine le inviò una mail abbastanza circostanziata, spiegandole che per qualche tempo sarebbe stato fuori per impegni imprevisti, raccomandandole di essere comunque prudente.
Ormai era concentrato solo su questo giovane presidente eroe, se lo era studiato sulle news internazionali e lo intricava sempre di più.
Subito appena nominato, Sankara cominciava ad apparire su tutte le cronache geopolitiche del mondo, ma soprattutto si muoveva per costituire una forza panafricana finalmente indipendente
Giovane colto intraprendente determinato. Carismatico. era arrivato al potere con un colpo di stato nel 1983 all’età di 33 anni, come capitano dell’esercito e con un programma socialista con cui intendeva sradicare la povertà dal suo paese e sfidare l’ordine mondiale “imperialista e coloniale”. Inspirato dal ghanese Jerry Rawlings,
Sankara, adorato subito da tutto il continente con poche eccezioni, quelli cioè che ormai al potere in maniera radicata, non potevano permettersi sorprese, ma Sankara non era una sorpresa era una certezza. In anticipo sui tempi, “Il compagno presidente del Burkina” voleva migliorare il sistema sanitario e l’istruzione, in un paese che era uno dei più poveri al mondo, vivendo lui stesso uno stile di vita modesto. L’emancipazione delle donne era un altro degli obbiettivi prioritari. istituì la campagna “i mariti al mercato” per far comprendere agli uomini le difficoltà delle donne nella gestione della casa e nella cura della famiglia, soprattutto laddove gli uomini sperperavano i soldi spettanti al benessere del nucleo famigliare in alcol o prostitute.
Promuoveva prodotti realizzati in Burkina Faso, aumentando la produzione e il consumo locali. Ma quello che faceva veramente paura era la sua determinazione contro I poteri costituiti Occidentali.+
In uno storico discorso pronunciato nel luglio 1987 all’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) ad Addis Abeba, Sankara denunciò il debito nei confronti delle istituzioni di Bretton Woods – Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale – che secondo lui sarebbero stati ereditati dal colonialismo-. Nasce così il Mito Sankara, non solo fra la gente di Burkina Faso ma fra tutta la gente del mondo con idee liberali che si sono spesi per la dignità dell’individuo animale umano.
Il capitano era visto da subito, come un eroe dai manifestanti che avevano abbattuto il regime di Blaise Compaore nell’ottobre 2014 e lo acclamavano scendendo in piazza ogni giorno magnificando le sue azioni. Un’atmosfera che stava contagiando i regimi viciniori che cominciarono a guardarlo con diffidenza.
La goccia ultima che fece traboccare il vaso fu Il suo rifiuto di pagare il debito estero di epoca coloniale, insieme al tentativo di rendere il Burkina autosufficiente e libero da importazioni forzate, gli attirò le antipatie di Stati Uniti d’America, Francia e Regno Unito. Tutti praticamente.
Con la sola eccezione di Che Guevara che tentò di supportarlo in qualche modo. La Francia in specie non poteva permettersi di avere un eroe di questo spessore in una sua colonia dove comandava da sempre.
Poteva un giovane ancorché abile politicamente modificare il corso della storia coloniale francofona in africa degli ultimi decenni?? Assolutamente no e già negli ambienti diplomatici, ma soprattutto militari e dei servizi si avvertiva una iperattività per limitare questa variabile impazzita. Spostamento di truppe dai paesi confinanti, ma soprattutto un lavoro minuzioso operato dalla Sdece. I servizi francesi che già in Algeria avevano fatto tanti disastri. Era in gioco non solo il potere su un paese ma la dignità della Francia Imperiale e quindi Sankara doveva essere eliminato. Negli ultimi tempi dormiva sempre in luoghi diversi, perché anche gli amici fraterni che avevano insieme a lui combattuto nella rivoluzione del 1983 erano comprabili-
Tutto questo non poteva non suscitare il suo interesse, Ruggero aveva percepito che il nuovo presidente osannato, adorato, idolatrato dal popolo era comunque in costante pericolo; Per questo si innamorò dell’idea di intervistarlo di parlargli di capire questo moderno eroe africano come era veramente fatto, ottenere una intervista esclusiva un dialogo faccia a faccia fuori dalla diplomazia.
Ouagadougou con DashANE
Arrivò a Ouagadougou con un volo Parigi – Abijan – F. Houphouet – Boigny -Ouagadougou, quasi un giorno di viaggio con molte ore passate in sale d’attesa ricolme. L’ultima tratta la più tormentata con un volo locale, un bimotore ad elica che si inerpicava, in mezzo ad una tempesta di sabbia.
A bordo pochi passeggeri forse uomini d’affari molto silenziosi, attendevano con ansia lo sbarco. Europei forse, alcuni francesi ed africani molto più evidenti.
Non era facile distinguerne la provenienza, parlavano tutti in un inglese stentato quasi a monosillabe; non sorrideva nessuno anzi sembravano molto alterati senza un motivo apparente. Qualche altro con atteggiamento militare antico, in abiti civili, ma con il badge evidente all’angolo della giacca.
I controlli all’arrivo erano stati stressanti per le procedure rigorose, ma anche per colpa del caldo torrido africano che invadeva la semplice struttura aeroportuale, in lamiera e senza aria condizionata.
Ottenuto finalmente l’ultimo pass si trovò quasi circondato da giovani militari che vigilavano professionalmente, mischiandosi in mezzo ai passeggeri che si incanalavano verso le uscite. Si intrattenne in un piccolo bar con la speranza di potersi rifocillare con un caffè africano, ma non avevano nulla e scelse una pepsi calda.
Dovevano venirlo a ricevere così come d’accordo, con una rappresentanza ufficiale, ma tutto era stato deciso in fretta ed improvvisato, già con i funzionari consolari a Parigi che modificavano i protocolli nella progressione degli eventi.
Si trasferì in una specie di area d’aspetto, mentre la hall dell’aeroporto si liberava e le luci si spegnevano tristemente.
Guardò ancora nervosamente l’orologio, prosciugò le ultime gocce di Pepsi lacrimanti nel bicchiere, il bar stava chiudendo e decise di muoversi lentamente verso l’uscita; ormai era l’ultimo straniero nella zona degli arrivi, aveva appena mosso i primi passi quando avvertì una presenza intensa, percepì l’essenza di un profumo speciale che già altre volte lo aveva incantato.
Un aroma di fragole mischiato, con spezie orientali cosparso di lime, si girò piano mentre il cuore accelerava i suoi battiti e quando la vide nella penombra, fu quasi abbagliato da un fascio di luci che rischiaravano il volto di una donna africana, Sicuramente Peulh.
Un sorriso lo incrociò ma soprattutto gli occhi che lampeggiavano trasmettendogli gioia ma anche serenità.
Ciao, disse in un francese di scuola, sorridendo con una voce calda e rassicurante <sono Daishane, la tua assistente, Scusa per il ritardo, Ma sono stata bloccata dal traffico. In questi giorni si festeggia la primavera e la città è in totale agitazione.>
<Seguimi continuò ho la macchina fuori. >
E senza aspettare risposta si diresse decisamente verso l’uscita.
La macchina non era una macchina come si aspettava, ma una 2CV Citroen del secolo scorso, molto sporca e rabberciata, le portiere si aprirono al contrario cigolando e la valigia quasi non c’entrava.
Lei non ci fece caso, mise in moto la macchina al quarto tentativo e si tuffò nel traffico, di bici, carretti con Mikokoteni, che trasportavano frutta, pullman rabberciati stracolmi e qualche auto più elegante sicuramente aziendale o governativa.
Non aprì bocca fino a quando non si inserì in una bretella esterna meno trafficata, era vestita con una gonna jeans e una t-shirt nera niente di formale, niente segni di rossetto o ciprie anzi il volto era segnato da una piccola cicatrice sotto il mento che le dava una certa grazia.
<Sei fortunato a potere incontrare il Presidente> attaccò, <non concede interviste ormai da mesi>.(e mentalmente ringrazio il grande Marcello per l’opportunità che gli aveva dato) Continuò a spiegarli le difficoltà logistiche dovute al momento difficile, mentre guidava veloce sorpassando anche a destra qualche furgone di ambulanti.
<Non so se oggi sarà possibile, certamente domani sarà più facile> aggiunse dopo avere violentato un semaforo a 5 stelle. Senza dare altre spiegazioni, finalmente si fermò in un piccolo cortile residenziale, in un’area periferica in mezzo ad alberi di acacia ancora verdi.
<Ecco questa è la tua residenza>, disse con un modo che voleva essere ironico.
Lo accompagnò al primo piano salendo per le scale in legno cigolanti e finalmente aprì la porta senza chiave del residence, che liberò uno sciame di zanzare in amore.
Non era sporco, ma impolverato a causa delle finestre aperte e le tende bucate e tutto il locale emanava un odore strano come di banane andate a male.
Il frigo era vuoto naturalmente
<Ah ecco dimenticavo> aggiunse, <l’acqua calda della doccia non funziona, l’elettricità va e viene e quindi non usare il frigo. Sistemati al tuo meglio> riprese, mostrandomi la camera da letto con un piccolo armadio ridipinto grigio militare.
<Il telefono è in fondo alle scale ma non funziona sempre, è meglio usare la radio sul comodino per chiamarmi.>
Accertatasi che avevo registrato tutto, con un saluto quasi militare girò i tacchi e con un segno di liberazione lo saluto quasi militarmente.
Udì la 2CV balbettare sui cilindri e poi con un ultimo gemito affumato, la vide allontanarsi veloce.
Socchiuse gli scuri delle finestre e si distese sul letto che trovò più morbido di come si aspettava.
Attesa intervista SANKARA’
Aveva trascorso una giornata lunghissima ed ancora non sapeva cosa lo aspettava più avanti, Tentò di addormentarsi, ma nel cortile alcuni cani randagi giocavano a mosca cieca. Socchiuse gli occhi rigirandosi sul fianco, e fu attratto da un disegno come una piantina che al centro mostrava una protuberanza. La bussola più strana che aveva visto. Con un Sud a forma di banana ed il nord a forma di Stella.
A prima vista sembrava una ragnatela, poi però i tratti più forti mostravano una vera stella un po’ inclinata dalla verticale. Chiuse ancora gli occhi e naturalmente i suoi neuroni cominciarono a fantasticare.
Cercava nel buio di rappresentarsi la stella in un cielo blu trasparente, la sua posizione rispetto agli altri pianeti, al sole alle costellazioni. Non riuscì a trovare nessun filo conduttore e finalmente si assopì sfinito.
Dormì senza interruzioni fino a quando un trambusto di sirene non lo svegliò di soprassalto. Dal balcone non riuscì a vedere nulla, solo un rumore continuo di camion forse militari e sirene che certamente chiedevano spazio nella strada di periferia.
Poi tornò il silenzio rotto di tanto in tanto da voci di madri che rincorrevano i figli nel cortile o di comari che commentavano, “ Za pippina comu sta stamatina, mi rissiro chi so figghia si fici Zita, a mia ancora ummi voli sentiri, interrompendosi ogni tanto con qualche risata baritonale, ma non riusciva a comprendere tutto, parlavano in dialetto Fulani e distingueva appena qualche parola, peccato.
Si lavò velocemente ed indossò una tshirt bianca sdrucita. Non ricordava niente degli accordi presi con Dah il giorno prima, rimase incerto per un po’ per decidere sul fare. Tentò anche di chiamarla per radio ma c’erano le batterie scariche,
Infine decise di uscire, di esplorare un attimino i luoghi più prossimi con la speranza anche di incontrare un bar o un bistrot, dove poteva mettere qualcosa sotto i denti. Le scale erano piene di attrezzi agricoli, fece attenzione a scansarli e finalmente fu in strada.
Il caldo adesso era elevato. Per fortuna un caldo secco, odiava l’umidità lo facevano sentire subito sporco. Sul portone d’ingresso, rimase un poco titubante mentre una comare lo stava osservando curiosa; decise subito di andare verso destra dove alla fine del viale si vedeva un traffico d’auto intenso. Incontrò sul marciapiede, spolverizzato di terra rossa, altri locali che lo guardavano con diffidenza e curiosità, non era facile da quelle parti incontrare un bianco occidentale. E soprattutto Ruggero.
Finalmente dall’altra parte della strada scorse una insegna scolorita “Le petit bistrot de Adal”. Attraversò la strada con prudenza, mentre le auto aziendali e camion super carichi di Ananas gli sfrecciavano attorno.
Era esattamente come se lo aspettava. Il barista giovane addormentato ed un bancone ripulito con un panno sporco, ma su uno scaffale quasi dimenticato scorse un vaso miele di “Tapoa” una leccornia che si fece preparare subito con polenta di miglio locale e “Tiebè.”
Divorò tutto voracemente, dissetandosi con una imitazione di gassosa calda. Il barista lo guardava con curiosità e sconcerto ma Ruggero era soddisfatto.
Ritornò in strada che adesso aveva un traffico sostenuto per rincasare velocemente. La 2 CV si fermò al suo fianco mentre Dash gli faceva segno di salire velocemente.
Era vestita con una Camicetta “Etoile” di colore rosa che marcava sensualmente le sue forme e la gonna Jeans che conosceva; quando salì gli mostrò lo stesso sorriso accattivante. Ingranò la marcia con un frastuono di ingranaggi e si inserì nel traffico scansando pericolosamente i furgoni che si ammassavano negli incroci. <Spero che hai dormito bene>, aggiunse fra una sorpasso al limite ed una imprecazione al motocarro sovraccarico di verdure locali e non lasciava trasparire se lo diceva ironicamente o era una speranza genuina.
“Malhereusement, continuò, stamattina non riusciamo ad incontrare il Presidente speriamo più tardi”. Lasciò cadere il discorso senza altre spiegazioni e continuò nella strada principale dirigendosi verso il centro di Ouagadougou. Il traffico adesso era formato pressoché di bici e moto.
“Non è come tu sei abituato in Europa, però ti mostrerò qualcosa che ti piacerà”, continuò sfiorando le bici e là dove c’era una grande calca di gente finalmente trovò posto in tripla fila. Davanti a loro in tutta la sua dimensione sconfinata il Gran mercato di Ouagadougou, uno dei più grandi dell’Africa occidentale; lo guidò quasi con forza attraverso un nugolo di venditori che la salutavano, praticamente assaltati, proponevano ogni genere di cose e poi si fermò di colpo davanti a un capanno dove vendevano bevande locali, chiese “burkinabè” per due.
Per gli appassionati di prodotti locali “burkinabè” è una birra artigianale poco alcolica che Dash mi offrì subito prendendola direttamente da un contenitore con ghiaccio per terra.
Gli spiegò, che ogni anno si svolgeva un Festival nato spontaneamente da una vivace comunità di artisti e cittadini impegnati; un esempio del tipo di cambiamento politico che può essere raggiunto quando le persone si uniscono. Un esempio, non solo per il resto dell’Africa ma anche per il resto del mondo realizzata attraverso musica, cinema, arte visiva e architettura, e lo invitò per il prossimo evento.
Ruggero ancora assaporando Burkinabè si immaginava ancora là in mezzo alla gente di tutti i colori con lei a fianco sorridendo si muoveva attorniato da tutte le etnie africane. Si soffermava a valutare le opere dell’artista più famoso o di quello dimenticato; commentando, interloquendo, intervenendo, contrapponendo vivacemente idee e situazioni; avvertiva a volte che Dashane lo conduceva sottobraccio a volte, sfiorandolo anche più vicino del necessario come per sentire la sua presenza fisica.
La sentiva fremere, come una puledra alla sua prima vera galoppata sui prati di una collina ricolma di fiori e di profumi, che ogni tanto girava la lunga criniera per rassicurarsi che galoppasse al suo fianco
La confusione al mercato raggiunse il culmine nell’ora di punta quando arrivarono i “Mkulima”, i contadini delle campagne vicine, quasi tutte donne coloratissime nei costumi tradizionali, portavano al mercato di tutto, dal riso agli ortaggi delle zone umide e naturalmente “Burkinabè” e “Bikalga” una sorta di spezie medicamentose molto aromatiche.
Dopo avergli spiegato le preziosità dell’artigianato locale, ricamato con fili di paglia rinsecchita ed ogni singolo sapore delle “oselle”, gli richiedeva attenzione con gli occhi, con una piccola stretta nel polso e osservandolo con attenzione per avere conferma che avesse compreso tutto, poi si diresse verso la 2CV in una pausa di silenzio e si fece riavvolgere dal traffico.
Stavolta in senso opposto ed infine posteggiando ancora indecentemente si fermò poco dopo davanti ad una struttura museale a Laongo. Lo prese per mano e gli fece strada verso l’ingresso, che attraversò velocemente, salutando le guardie in gergo locale. Il sito di Laongo è un luogo molto speciale, strutturato su una mostra di sculture all’aperto. Artisti provenienti da tutto il mondo hanno scolpito, nel corso degli anni, le rocce presenti nel sito, creando una sorta di museo di arte contemporanea a cielo aperto.
Ruggero Si lasciava portare come un bambino, ascoltando le spiegazioni che lei faceva con molta enfasi, guardandolo negli occhi intensamente come volere convincerlo di più o forse per scoprire qualcosa di lui che ancora non conosceva, si soffermava un istante e ricominciava, Ruggero aveva perso il senso del tempo ma soprattutto del perché del suo viaggio.
DASH dopo saudade +covenas
Sankara, adesso era molto lontano quasi un ricordo sbiadito, mentre di Dash continuava a sentire un profumo intenso speziato che lo aveva incantato dal primo momento. Quante altre volte gli era capitato nella vita di lasciarsi guidare senza opporre resistenza? Senza obiettare, come sempre faceva con gli amici per esporre un argomento diverso, quasi sempre in contrasto con quanto tutti gli altri asserivano.
Ma quella volta era senza argomenti, senza alcuna voglia di interferire. Gli successe una altra volta solamente, quando andò a trovare sua madre in fin di vita, ed ascoltò per ore la sua storia rannicchiato come un uccellino piccolissimo in un guscio fragilissimo, Ascoltava la sua vita, che lei gli rappresentava senza celargli niente, nei minimi dettagli, con una progressione drammatica. La conobbe in quei momenti per intero, per la prima volta, e pianse insieme a lei con gli occhi brillanti. Stava Sciogliendo il cuore e la sua mente. Forse per la prima volta, come a volersi liberare dei segreti che teneva preziosamente conservati da sempre, che gli porgeva in maniera autentica sul letto di morte; quasi a farsi perdonare da lui, da lui che si sentiva in colpa da sempre per non esserle stato mai vicino.
La chiamava per nome e le stringeva la mano con dolcezza sapendo che stavano comunicando momenti di vita, che andavano al di là delle parole, fu per entrambi una enorme liberazione. Una valanga di sensazioni che colmava tutti i vuoti della loro vita; i rifiuti e le incomprensioni, i capricci che come un’esplosione emotiva straripante quasi non voluta, mai cercata, mai richiesta si incastravano finalmente nelle spire incantate del tempo.
L’amore è uno scambio di due capricci diceva qualcuno, ma l’amore materno è semplicemente amore
E stavolta non era diverso, rimaneva ad ascoltare con gioia sperando che Dash non la smettesse di parlare e di guardarlo come volesse rinchiuderlo nelle sue pupille. Avvertiva un senso di tensione che emanava dalla sua pelle, quasi di inquietudine, che però cancellava con una frase dolce o circostanziata che prendeva la sua attenzione.
Rimasero ancora qualche tempo ad osservare le sculture e poi con una giravolta lo guardò ancora intensamente e disse.
“Bene adesso prendiamoci una pausa” Lo disse con un sospiro lunghissimo, quasi una liberazione che trasmise a Ruggero come un fremito piacevole. Ritornarono in auto e stavolta con più prudenza Dash cominciò a seguire il traffico che li portava ancora in periferia, si accorse che seguiva le indicazioni del lago “Louambabi” e tentava di capire dove stavano andando, ma dopo mille giravolte ed incroci ci rinunciò.
Ogni tanto intonava una canzone triste o più melanconica certamente nenie native, che parlavano di madri, di savane, di animali o della vita; dopo qualche pausa respirando profondo riprendeva con voce sempre più sommessa, poi invece dopo avere strimpellato col clacson a tutto il traffico circostante, intonò una canzone francese dolce e romantica. “La chanson des vieux amants”, che stranamente canticchiava anche lui in momenti dolci e malinconici.
Quando finì l’ultimo verso, si volse verso di lui con gli occhi lucidi di gioia forse o di tristezza forse, lo baciò dolcemente sulla guancia. Rimase sconvolto, come mai gli era successo, sentì ardere la guancia come un tizzone ardente.
Quella dolcezza così inaspettata lo sconvolse, rimase a guardare lontano il traffico, mentre forse i sui occhi guardavano lontano riempiendosi di una luce che lo soffocava. Non parlarono più per tutto il viaggio.
Poi Dashane, si inoltrò per un sentiero in mezzo ai boschi, appena largo per lasciare passare una macchina e dopo qualche minuto arrivarono in una radura di un piccolo villaggio rurale MAESHANE diceva un cartello arruginito; prima ancora di scendere tutti i bambini e la gente le furono dappresso, la salutavano, l’abbracciavano con i bambini ed i cani che gli saltavano addosso. Aprì il piccolo cofano della 2cv dove c’erano dei regali per tutti, di cui subito si impadronirono in festa mugolando di gioia, quindi gli disse di seguirla e lo guidò in una piccola capanna, aprì con discrezione e poi gli fece cenno di seguirla dentro,
<Ma Mere> disse, quasi sussurrando. Sdraiata su un fianco Su un lettino disfatto, in un angolo, stava una vecchia donna, che non si rese conto di loro, < ha una malattia incurabile> non voleva stare in ospedale e vuole morire dove è nata; la gente del villaggio la cura, è la nonna di tutto il villaggio. Le altre donne del villaggio la vezzeggiano, le fanno da mangiare, la puliscono, ed i bambini giocano con lei, morirà presto, ma morirà felice. Abbracciò la madre con una dolcezza senza fine, poi con gli occhi scintillanti gli fece segno di andare via. Uscirono fuori dalla capanna per raggiungere la 2CV mentre i i bambini inseguivano schiamazzando con gioia. Poi l’avvicinò con discrezione Therese si discostarono un poco mentre parlavano agitati, infine si abbracciarono come per l’ultima volta. Lei è Therese aggiunse una mia cugina dal padre che cura il villaggio e si prende cura di mia madre più di una sorella. La presento poi andarono.
IL LAGO
Arrivarono nel primo pomeriggio in una zona umida lagunare, cosparsa di strutture turistiche in stile locale non invadenti. Si fermò in riva ad una laguna fra i boschi e lo osservò ancora, per avere certezza che Ruggero stesse apprezzando il regalo.
Raggiunsero una radura quasi di corsa e cominciò a svestirsi, cominciando dalla camicetta rosa, che mise subito alla luce un seno rigoglioso e quindi la gonna, poi sciogliendo armoniosamente gli elastici tolse tutti gli indumenti intimi, lasciando intravedere nella luce del tramonto un corpo scultoreo naturale, come si era immaginato già dal primo incontro. Rimase senza fiato, guardandola con gioia mentre si approssimava alla riva della laguna e poi mentre si lasciava immergere nelle acque trasparenti di “loumbabi”. Tutto si svolse così velocemente, che rimase preso da quella vista come in un sogno non era imbarazzato mentre ancora i suoi occhi la seguivano consapevole che lei era cosciente di come la stava guardando. Si distese sull’erba e chiuse finalmente gli occhi respirando lieve. Non si chiedeva come era successo e perché si stava solamente godendo la gioia che gli montava dentro, che scioglieva finalmente tutti quei nodi che normalmente lo assillavano. Ascoltava il rumore lieve delle fronde e gli sguittii degli uccelli che amoreggiavano nella foresta. Quelli certamente non si chiedevano perché, ne andavano in maniera assillante alla ricerca di ragioni per giustificare i loro momenti gioiosi, lo facevano perché gli veniva naturale. Così come lui naturalmente sentiva un’attrazione genuina verso questa donna che non conosceva.
“Non stiamo attraversando un bel periodo in Burkina”, disse infine a bassa voce, Thomas è sempre determinato e molto amato dalla gente d’Africa, ma gli altri, le potenze colonialiste, ma anche alcuni altri capi di stato, quasi tutti, temono le implicazioni di una rivolta generalizzata.
Anche quelli democraticamente eletti. Poi naturalmente c’è il problema dei gruppi etnici, che ancora non hanno capito il ruolo che devono avere. Thomas tenta di farli stare uniti, li chiama ogni giorno per radio, discutono per ore, ma ci vogliono anni, come ben sai per sradicare la sindrome di Stoccolma. La vittima spesso si innamora del Giustiziere
Alcuni si sentono esclusi, altri vogliono più presenza, un ruolo più da protagonista. Poi ci sono i rivoluzionari, i fratelli e gli amici che hanno combattuto per portare Thomas a questo punto, Anche loro cercano spazi di protagonismo. Non è malvagità ma semplicemente vanità. Fortunatamente alcuni paesi occidentali ci stanno vicino, non solo apertamente come Cuba, ma altri che larvatamente incoraggiano Thomas invitandolo a non desistere.
Il problema è il Panarabismo che il Presidente vuole conseguire al più presto e poi le sue dichiarazioni sempre taglienti contro la Francia. Le pressioni sono pesantissime. Già ai confini si notano movimenti strani di truppe mercenarie che arrivano alla spicciolata, naturalmente francesi.
Hai avuto coraggio a venire da queste parti ed in queste poche ore ho percepito una persona “sopra le parti”. Smise di colpo e lo guardò intensamente; ancora una volta percepì una vicinanza intima come forse non gli era successo mai prima, ma anche una naturale amicizia, una richiesta di aiuto forse o solo di comprensione di condivisione di una problematica complessa che gli stava molto a cuore e la turbava.
Poi con un sospiro, accostandosi più vicino quasi a sfiorarlo continuò raccontandogli della sua vita della sua famiglia, che l’aveva cresciuta in un villaggio del nord, nelle aree umide, dove già dal primo mattino, trascorreva molto tempo nei boschi a rincorrere gli animali, un piccolo scoiattolo o il Marabù o i Nedge pigmentati e l’Ubara, l’uccello che amava di più, e poi nella casa di paglia a studiare con la sorella maggiore che era stata a Parigi.
Imparava velocemente, ed amava le poesie, Vernel, ma anche la storia; anche la storia raccontata dagli altri. La sera, all’imbrunire quando le ombre svanivano nella savana ed il canto degli uccelli veniva sovrastato da quello degli animali più grandi, stava con la nonna che invece le raccontava storie quasi fantastiche degli antenati, eroi come diceva lei, il nonno Abayomi che aveva battuto il rinoceronte, il bisnonno Abena che era arrivato fino al limite del deserto e con queste immagini baciata dalla luna si addormentava furaha.
Rimasero silenziosi per un tempo infinito, stavano molto vicini come se l’aria tiepida che li avvolgeva potesse fare da culla, era certo che stavano percependo le stesse cose, ricordi d’infanzia come se avessero delle esperienze e degli amici in comune.
Lui in verità non aveva frequentato molti amici durante l’infanzia né nell’adolescenza, sballottato sempre in città diverse, in luoghi diversi, non aveva il tempo per fraternizzare, come si dice, ma soprattutto di crearsi e gestire gli amici nella complicità tipica dell’infanzia, Così qualsiasi nuovo conoscente se lo faceva amico senza darli il tempo. Da subito lo adorava, gli dava fiducia quasi gli si affidava.
Ma poi finiva tutto e doveva ricominciare e lo faceva sempre con una naturale determinazione. Con la madre invece aveva un rapporto di una intensità speciale.
Ammalatasi alla sua nascita, come gli avevano raccontato, si sentiva sempre in colpa delle sue pene. Un rapporto contrastato di odio e amore incredibile e quando la sentiva soffrire, per i suoi malanni, scappava fuggiva dalla sua vista, si rinchiudeva, si nascondeva per tempi infiniti, e mentre tutti lo cercavano nel giardino o fuori in strada, nella campagna e sentiva i richiami preoccupati dei fratelli, del padre, dei vicini si nascondeva di più sotto una pianta di melograno o un bouganville, e piangeva.
Forse trascorse tutto il pomeriggio a pensare della sua vita, rassicurato dalla presenza di Dash, fu il gracchiare della radio portatile che li svegliò entrambi. Si tirò su di colpo e in swaili cominciò una conversazione veloce e concluse con un Amani, come sempre.
Dopo un altro sguardo profondo ed interlocutore, per capire come stavo soggiunse <Thomas è pronto a riceverti andiamo>. Con la 2cv fumante ci arrampicammo su una piccola collinetta nel bosco, fino a raggiungere una radura con un piccolo casolare in legno.
Attraversammo un piccolo porticato con 2 giovani atletici ai lati e ci venne incontro finalmente il Presidente. Abbracciò Dashane con affetto e quindi si rivolse all’ospite guardando esplorativo negli occhi, “ahh Ruggero, Ruggero.
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