4) Uomo che parlava con le stelle 150-210

IN VIAGGIO verso Burkina

Incontrarono poco traffico attraversando Sikasso e si inserirono subito sulla RN10, una statale che doveva condurli direttamente al confine di NiampenDougou. Dal confine avrebbero fatto la prima tappa per Bobo – DiouLassou, la Parigi secolare del centro Africa. 

La statale era attraversata da molti incroci di campagna ed un traffico disordinato di piccoli mezzi agricoli. Incontravano poi con frequenza carri bestiame o greggi di pecore, pressoché senza guardiania. Moussa era concentratissimo nella guida e Ruggero non voleva distoglierlo per alcun motivo.

Osservava il paesaggio cambiare continuamente, da periferico urbano ad agricolo con macchie di savana lagune ed alberi secolari.  Non potendo dialogare con Moussa, approfittò per riflettere sulle ultime notizie frammentarie ricevute da Angela. Certamente aveva scoperto qualcosa sulla paranza. E certamente aveva bisogno del suo aiuto o per meglio dire della sua presenza, che la rassicurava. Sperava che Giuseppe sarebbe riuscito a darle abbastanza conforto e protezione

Ma mentre attraversavano una savana umida, il suo pensiero ritornò su DASH. Malgrado il supporto di Marcello e Bouba era consapevole che non sarebbe stato facile rintracciarla.

Ricostruì di nuovo i momenti passati insieme, per trovare qualche supporto, da dove potere imbastire un piano d’azione, ma poi si rendeva conto che non aveva nessun elemento che potesse aiutarlo, Rimaneva sempre e solo l’opzione Dillon o la speranza di rintracciare, qualche familiare non compromesso della famiglia.

Ogni tanto gli spuntava come un riflesso l’immagine della madre di Dash, riversa sul giaciglio nel rifugio del villaggio. Non c’erano molte speranze che potesse essere ancora là e non sapeva se sarebbe stato in grado di rintracciare il luogo.  Se avesse potuto ricavarne notizie utili. Ma non aveva altri elementi.

Sperava che i supporti di Bouba avessero potuto fare un buon lavoro di Indagine, ma ci contava pochissimo. Non aveva ancora elaborato alcuna strategia. Ma non era scoraggiato, molte altre volte si era trovato in circostanze analoghe e le avversità piuttosto che abbatterlo lo caricavano, e poi di colpo trovava una soluzione. Non la trovava come diceva lui ma arrivava da sola. Aveva questo dono, che il Dio di tutte le cose, nel momento più drammatico arrivava a prenderlo per i capelli e farlo risorgere.

La radio, di tanto in tanto srotolava qualche discorso relativo a Burkina ma nulla di importante, constatò che l’auto invece era molto molto efficiente, era un auto di servizio camuffata da pick up da lavoro agricolo, con grande motore e stabilità.

 Un’insegna li informò che erano a pochi chilometri dal confine, Moussa rallentò impercettibilmente e lo guardò per assicurarsi che tutto andava bene e per rassicurarlo. <Si nous sommes arrivé ici c’est un très bon début Monsieur>

Il confine era presidiato da carri, AMX-10RC francesi gommati, in entrata ed uscita e da altre truppe in mimetica di supporto. Le guardie di confine furono estremamente scrupolosi nel controllo dei documenti; dopo una prima ricognizione ai passaporti si appartarono per qualche tempo dentro una baracca militare, certamente per verificare con la base sulla autenticità della loro documentazione.

Quando ritornarono, ispezionarono il pick Up da cima a fondo, rimuovendo anche una ad una la frutta e le radici che Ngobo,, come diversivo, aveva collocato in cassette di plastica sporche e riposto nel bagagliaio, per dare maggiore verosimiglianza al loro lavoro.  Dopo circa mezz’ora ebbero il benestare, le guardie spostarono le transenne e Moussa con calma si avviò attraverso.

Quando furono sufficientemente lontani, fuori dalla vista delle guardie, Moussa bloccò la macchina fuori strada e lo guardò con simpatia. <Buon lavoro, Monsieur adesso andiamo verso Bobo–Dioulasso arriveremo fra qualche ora se il traffico lo consente>. Dopo avere irrigato abbondantemente la poca erba sotto un albero di Karitè maestoso ripresero il viaggio più speditamente.

Giunsero alla periferia di Bobo attorno alle 11.00 AM, Snodo Millenario del commercio Trans-Sahariano. BOBO Dioulasso è la seconda più grande città del Burkina con più 500 mila abitanti. Ruggero, che l’aveva visitata due volte velocemente per turismo era rimasto impressionato per la maestosità della archeologia, si era ripromesso di fare un viaggio dedicato ed invece adesso l’attraversava ancora una volta  velocemente sulla tangenziale di periferia.

Moussa decise di non fermarsi al centro e profittarono per fare carburante in una stazione appena fuori città. Un caffe terribile e via.

Adesso erano sulla N1 la statale che portava direttamente a Ougadougou. Tentò di sdraiarsi un poco per distendersi ma il mezzo non consentiva grande confort essendo pensato per altro, mentre Ngobo dietro aveva un atteggiamento composto malgrado la stanchezza

Distendendo le gambe e poggiandone una sul finestrino trovò però una posizione comoda. Tentava di rilassarsi conscio di cosa lo aspettava in questi giorni. Malgrado le buche che lo facevano traballare, il traffico ancora intenso ed un spicchio di sole che lo centrava dal finestrino, riuscì ad appisolarsi finalmente.

……………………….

 SPOCCHI

<Allora Ruggero, Il programma della missione è questo; stai attento, non sbagliare, siediti comodo; Prendi nota> Gli disse poi con tono autoritario e paterno al contempo, il Maggiore Scoppi, Capo dell’ufficio Benessere della regione militare di una regione italiana) <Sveglia domattina alle 4,30 /4,33, sarai quindi pronto alle garitte in basso ore 5,24.

Ti aspetterà l’auto di servizio del SVGGI, non ti sto a spiegare la sigla, che ti confondi,> aggiunse con tono scolastico.  <Vi scambiate parola ordine con conducente in divisa delle forze speciali PJJKL. Ti condurrà all’ingresso, autostrada nella piazzola mimetizzata, là incrocerai altra jeep del KKGFD (come prima); altro scambio di credenziali; arriverete a Bologna uscita autostrada alle 7,42 massimo 7,43 AM. Altro collegamento altre credenziali, mi raccomando non sbagliare che siamo fottuti. Ti condurrà infine al centro benessere 34 sulle colline Bolognesi. (34 è il codice del centro, sarà meglio che lo memorizzi fin da adesso); il nome completo lo saprai dopo nelle carte di appoggio che ho riposto nello zaino di servizio e che dovrai leggere solo dopo partito, mi raccomando).

<Incontro col comandante della base e altro scambio credenziali essenziale per il buon fine della missione (non ti allargare troppo). La tua missione sarà “Ricognizione e Riscontro”: è determinate che verifichi il funzionamento del televisore della saletta soggiorno: PRIMO e SECONDO canale. In ORDINE mi raccomando Ruggero, ci tengo. Primo e secondo canale.

Trascrivi le anomalie se ce ne dovessero essere, in maniera privata “Aummu Aummu”. Non dovrai impiegare più di 33 minuti per il tutto, perché già ci sarà pronta altra jeep all’ingresso, Naturalmente con personale diverso, per nascondere le tracce. E quindi rientri.

Nel borsone troverai Istruzioni di viaggio che dovrai controfirmare, Mezzo rotolo di carta igienica (non si sa mai), mezza scatola fiammiferi militari immarcescibili e due candele stiariche per emergenza

Inoltre personalmente ho aggiunto un gettone telefonico (non si sa mai). Il tutto è stato riposto in ordine logico, cronologico progressivo e sigillato con apposita sigla mia; puoi stare tranquillo> disse in tono confidenziale. <Tutto chiaro Ruggero, se hai dubbi parliamone adesso.> <TUTTO CHIARISSIMO SIGNOR MAGGIORE> urlò Ruggero. La mattina seguì le procedure pedissequamente già alle 5 32 era alla garitta, controllòora con orologio di precisione.5,32, 5,33, 6.00 6.30. 7.00 Ancora nessuno. Chiese quindi al piantone preoccupato, <ma per caso hai notizia della Jeep del KKDKDK>. Ed il piantone con noncuranza sorridente, <mi pare sia in officina da 3 Mesi. > < e accussì amu a vinciri a guerra> esclamò Ruggero.

Voleva Piangere ma scoppiò a ridere in maniera isterica. Quando, più tardi, incontrò il Maggiore per il resoconto, lui non si soprese. <Capita Ruggero, Capita in Guerra, Capita, e Noi siamo sempre in Guerra. Tranquillo, ci riproviamo Domani.>

 Si trovava in quegli uffici già da 3 settimane. Militare di leva soldato semplice. Non avrebbe mai dovuto fare il militare, non gli spettava. Però A Ruggero a volte non gliene andava bene una. Una notte al ritorno della discoteca, una jeep Militare lo prelevò sotto casa. Lo condusse alla stazione, lo scaricò su un treno diretto alla Caserma Marriaggi in Toscana. Una Caserma di pazzi, poi da lì riuscì a spostarsi nel palazzo della Regione Militare. Dove praticamente si presenziava e forse lavorava fino a Mezzogiorno. Tutti raccomandati.

Fu assegnato al Maggiore Scoppi. Unico maggiore in un palazzo di super graduati. Unico. E Scoppi. Invece lavorava fino alle 17.0 ed anche Ruggero non poteva andare.

Super indaffarato con in mano le carte del primo incarico affidatogli, gli disse. <. Mi devo complimentare per il buon lavoro fatto con le graduatorie, Non era facile. Sei stato estremamente rigoroso come ti avevo comandato. BRAVO. Prima i privilegi ai soldati semplici nullatenenti, recitò a memoria, poi gradualmente agli altri senza remore, raccomandazioni e/o che altro. Bravo sei stato perfetto.

Io occupo questo posto senza raccomandazioni. Zero raccomandazioni. Ho rispetto per i Superiori e viceversa, ma mai deferenza, piaggeria o altro. Siamo militari, concluse e l’unico nostro padrone è la Patria> concluse. Squillò il telefono con un gracchiare intermittente, come di rane di rancide di palude assonnate e lo acchiappò a volo.

Scattò in piedi sull’attenti, sulla sedia <Buongiorno generale, Nooooo NN disturba; le dico che non disturba non disturba, SI; SI SI SI SI SI SI sarà fatto; manderò una macchina di servizio a prendere sua figlia in montagna stia tranquillo agli ordini.

Posò la cornetta e stette, altri 10 minuti sull’attenti guardando eroicamente fuori dalle finestra. <Non ti devi piegare mai Ruggero ai superiori> riprese senza imbarazzo <è la nostra regola>. <Mai. Questa è la regola> ripeté casomai non l’avesse capito. <Anche se sto notando,> aggiunse ancora, scorrendo l’elenco che ancora teneva saldamente in mano, <che il Generale Gentile lo hai escluso dai centri di vacanza. E quasi gorgogliando, <anche il colonnello Vitruvio? Facciamoli galleggiare un poco di più Ruggero, più in alto, non i primi ma fra i primi. Ruggero hai posto all’ultimo posto il generale degli alpini più anziano dell’esercito>.

Altro borbottio, <mettilo magari al terzo posto nell’elenco non infastidirti. NOOOO, urlò giungendo alla fine dell’elenco, anche i generali Barbieri, Spillecchi, Testini e Gratolini. <Assolutamente no Ruggero, questi devono andare in Cima>.

Rimase ancora 2 settimane con Spocchi, poi un cugino anziano di Ruggero, Giancarlo lo invitò a cena, una sera. E con fare molto deciso gli propose di entrare nei servizi I. (I sta per informativi).

 <Siamo a corto di personale qualificato, Ruggero, e fidato. Stiamo ricostituendo gli organici dopo gli scandali dello scorso anno. Io ho bisogno che tu stia dalla mia parte. Non ti chiedo un ruolo operativo, ma dormiente>. 

Gli spiegò per circa un’ora in cosa consisteva il dormiente. E quando vide che Ruggero stava acconsentendo, lo informò che doveva Solo praticare i corsi di base Operativi, che si tenevano in Sardegna in una località oscurata. <Solo 2 mesi Ruggero tutto pagato, sarà come stare in vacanza.> Gli diede qualche settimana per riflettere e Ruggero ancora giovanissimo, approfittando di un momento di pausa estiva negli studi, Accettò.

In Sardegna incontrò degli istruttori di nazionalità strana. NON italiani, Americani, Europei, ma forse orientali. Era solo ospitato in un campo militare mimetizzato da fattoria agricola.  

Apprese alcune tecniche di difesa ed uso delle armi. Il pedinamento, le trasmissioni. La criptazione delle notizie. Nella seconda parte l’uso alcune armi portatili. Gli fu dato una sigla, e poi null’altro. Nessun collegamento fisico. Solo la lettura bisettimanale della terza pagina di un giornale nazionale. Ritornò a casa frastornato e non aveva realizzato perché lo avesse fatto.

Non ebbe più alcun contatto per un anno intero e pensò che era stata solo una vacanza. Ma Il cugino lo venne a trovare un giorno, senza preavviso. Informandolo che era stato inserito stabilmente in un elenco di dormienti. Stop. Negli anni che si susseguirono. Ricevette alcuni contatti che gli richiedevano certune analisi economiche, in alcune regioni straniere dove stava lui permaneva per lavoro in quel momento; quasi sempre paesi dell’est, medio oriente, qualche volta l’Africa.  Sempre obiettivi circostanziati.

A volte si sentiva controllato, ma applicando le tecniche di verifica imparate, si accorgeva che era solo una sua impressione. In altre occasioni invece dovette trovare vie di fuga.

Uno dei momenti critici fu proprio in uno stato africano di occidente. Il compito assegnatogli era di incontrare alcuni managers del governo per verificare la catena di estrazione e di vendita del Coltan.

Un minerale non solamente raro e costoso, ma strategico. Indispensabile per il funzionamento di alcuni Hardware militari e non.

Era andato tutto bene in fase ricognitiva ed aveva già raccolto le informazioni essenziali richieste. Ma poco prima di creare le condizioni di contatto, come da procedura, per la trasmissione delle informazioni alla sua interfaccia, una Notte si accorse di avere visite. Risiedeva in una viletta del centro non molto vistosa ed isolata. L’aveva scelta perché molto confortevole ma anche perché sufficientemente sicura. Come aveva imparato aveva riposto degli ostacoli sulla passeggiata esterna e un sensore di allarme sulle scale.

Quando a notte inoltrata il sensore cominciò a lampeggiare senza tergiversare un secondo, mezzo nudo si rifugiò sottoscala interno, ed aprendo la botola della legnaia si lasciò scivolare dentro silenziosamente.

Percepiva degli scalpiccii all’esterno e poi il tentativo di forzatura della porta d’ingresso a tendina che aveva corredato di un lucchetto speciale. Provarono maldestramente più volte e poi ci rinunciarono.

Alcuni cani randagi cominciarono ad abbaiare ma Ruggero rimase ancora per qualche ora nascosto.

Solo quando quasi all’alba, udì il camion di servizio del comune per il ritiro della spazzatura nei pressi, uscì circospetto dal rifugio. Si accorse che serrava ancora nella mano destra la P/Storm compatta di servizio.

Era la prima volta che gli succedeva. Non era intimorito ma sentiva addosso una forte scarica di adrenalina. Poi si rilassò progressivamente. Quando informò il suo contatto sull’accaduto decisero insieme che doveva andarsene, e così fece in poche ore.

Utilizzando i presidi che gli erano stati dati, rientrò in Francia via terra, attraversando quasi mezzo continente così come concordato con i suoi referenti.

Per quasi un anno si tenne in disparte ed anche nel lavoro tentò di scegliere paesi e situazioni più semplici; solo dopo qualche tempo in un apposito incontro col cugino, si ebbe la certezza che non era stato bruciato ma che quell’episodio era casuale e di routine.

OUGADOUGU

Arrivarono a OUGADOUGU a sera inoltrata dopo avere superato altri controlli pressoché ogni 2 ore. Moussa, come se conoscesse i luoghi a memoria si mosse con perizia costeggiando una area residenziale, al limite del centro metropolitano fino a poi raggiungere e fermarsi finalmente in una palazzina in legno ad un solo piano.

Erano strafatti di stanchezza ma appagati per avere raggiunto la base logistica. Stavano scendendo quando 2 figure si affiancarono al pick-up e dopo avere salutato deferentemente Moussa e Ngo provvidero a scaricare i bagagli ed accompagnarli al primo piano della residenza.

Fatta una doccia veloce si accomodarono in soggiorno di fronte ad un terrazzino panoramico per una cena restauratrice a base di brochette di pollo alla griglia, accompagnate da birra di miglio inguardabile, allestita dal supporto locale; poi furono subito a dormire.

La camera di Ruggero era molto confortevole letto comodissimo a due piazze, spense subito le luci e si distese. Dopo un poco, in dormiveglia realizzò che le guardie stavano a vigilare in giardino e si addormentò subito. Rassicurato.

Si svegliò abbastanza presto disturbato da un rumoreggio che da un poco si era creato fuori. Erano le 09.00 Am ora locale. Ngo lo informò che Moussa era andato al consolato a raccogliere informazioni dai supporti che già da due giorno stavano lavorando sul campo e materiali logistici.

Quando tornò erano già le 10.30. Ruggero aveva approfittato per chiamare Marcello con la radio in dotazione e Francesco col cellulare satellitare, li rassicurò entrambi e poi così, come aveva provato più volte senza successo lungo il trasferimento, tentò di chiamare Angela. Ma ancora senza successo.

Quando Moussa rientrò era già mezzogiorno. Si riunirono in salotto per un aggiornamento. Dal Consolato disse, nessuna novità; gli uomini che vi avevano lavorato senza sosta, avvicinando parenti di Sankara o altri familiari di Dash non erano riusciti ad avere informazioni utilizzabili. Avrebbero continuato utilizzando tutti i canali possibili e non. Ma al momento erano al punti di partenza. <Il faut devez être patient un peu plus longtemps. Monsieur>

Moussa poi a sorpresa invitò Ruggero a fare shopping. Ruggero, Rimase disorientato, ma Moussa con fare sapiente proseguì < se dobbiamo passare inosservati, dobbiamo farci vedere Monsieur> e quindi aspettò che Ruggero si preparasse e poi presero in auto la strada verso il centro storico di OUGADOUGU.

La prima tappa la fecero alla cattedrale, molto grande e in mezzo alla terra rossa e al cielo azzurro si rappresenta certamente imponente ma nulla di trascendentale. Ruggero la visitò e si fermò dieci minuti a pregare nella sorpresa di Moussa.

Poi si spostarono verso il museo nazionale della musica, interessantissimo perché mostrava gli strumenti musicali tradizionali risalenti fino a secoli prima. Facendo sosta in un Bar storico della Capitale. Il servizio eccellente ed il menu con l’imbarazzo della scelta Ruggero preferì mango affettato e succo di mango e Madd al naturale. Moussa scelse della pasticceria deprimente. Si soffermarono un poco di più per fare il punto sulla rivoluzione e la morte di Sankarà; immaginava che Moussa fosse molto informato, per il lavoro che faceva e voleva approfittarne.

Moussa dopo avere fatto in maniera quasi cerimoniosa molteplici elogi al defunto Sanklara, per lui un vero e proprio eroe di tutta l’africa, entrò nei dettagli spiegando che tutti già sapevano che doveva succedere, ed era stato informato anche da noi Monsieur. Io stesso qualche settimana prima ebbi un colloquio con lui a Bomako. <Ma lui non ha voluto cedere ai Padroni, Monsieur.>

<Non voleva morire da Schiavo, Monsieur. Così come noi tutti moriremo, da schiavi Monsieur. L’Africa è secolarmente il paese degli schiavi. Non ci sono soluzioni. Perché sempre saremo schiavi di qualcuno. Prima gli Egizi, poi gli ottomani, poi gli Arabi Adesso per noi i Francesi, la peggiore forma di schiavitù, solo perché siamo neri. Negri.>

Ruggero lo osservava con molta attenzione e forse sofferenza e non compassione, percepiva la profonda afflizione di quell’uomo per bene, colto, umano, dai modi gentili e mai cortesi.

Gli guardava i piedi per scoprire le catene che gli legavano le caviglie. C’erano ancora doppie e spesse e con il lucchetto di plastica lavorato a macchina. Si era convinto anche lui senza soluzioni.

Si fece più prossimo a Moussa e poi con una voce profonda che non si ricordava cominciò < Moussa, caro Moussa.

Non conosco nessuna parola che possa attenuare la tua sofferenza. Nessun sentimento che ti posso trasmettere per alleviare il tuo tormento. Tu sei schiavo sì, ma non perché sei nero. Anche se io non sarei felice forse se mia figlia volesse sposare tuo figlio un nero. Io Ruggero forse non sarei felice. Però Moussa, il  colore della pelle non è connesso alla schiavitù.

 La schiavitù è semplicemente una componente della gestione del potere. E’ uno strumento efficientissimo per condurre la struttura di uno stato, di più stati, di un impero. Un brevissima pausa per pulire una ferita e continuò, < Caro Moussa gli Imperi ci sono stati da sempre, sono uno studioso affascinato tifoso della civiltà Sumera.

La mia tragedia è stata scoprire che anche loro supportavano l’economia, le decisioni politiche ed economiche attraverso l’uso degli schiavi, in maniera molto civile, Ma già esisteva la categoria degli schiavi. Perfettamente regolamentata. Ma quello che per te è difficile capire, è che anche io. Ruggero sono schiavo.

Mi sento l’uomo più libero del mondo, di giorno, spocchioso ironico, strafottente ma quando rientro a casa la sera davanti allo specchio non mi posso mentire. Mi sento schiavo, come te come tutte le generazioni che ci hanno preceduto nei millenni.

Dove si forma il potere ci sono gli schiavi. E forse gli schiavi più schiavi sono quelli che non hanno consapevolezza. Perché hanno la casa al mare, l’auto per tutta la famiglia e il cellulare dell’ultima generazione. Cioè noi Bianchi occidentali. L’esempio perfetto del condizionamento di una società.

Dopo una pausa infinita mentre Moussa lo guardava sbalordito riprese; < e Poi Caro Moussa>, riprese serio ed evidentemente incazzato, <ti ho detto fin dal primo giorno di non chiamarmi Monsieur, che mi infastidisce, te l’ho detto diecimila volte in queste poche ore, ti ho detto di non perforarmi i cabbasisi col Monsieur; che è una riverenza idiota. Tu sei l’esempio perfetto dello schiavo Self Made Man, Moussa; continuò quasi urlando. Moussa lo guardava con gli occhi sopresi, forse pieni di stupore o di ironia, voleva sorridere ma non sapeva se avesse  ben compreso la sfuriata di Ruggero, E quindi alzandosi per pagare disse a voce alta < sono d’accordo non succederà più Monsieur>

Quando furono in macchina Moussa dopo una breve ispezione propose di visitare il mercato di Sanka < è fra i più grandi e ricchi del centro africa> ricchissimo di ogni cosa aggiunse Moussa.

Sanka-riaré < e ci facciamo una bevuta di Zoom Koom, La bevanda nazionale. Ruggerò assentì subito ma quando furono in auto qualcosa lo impensierì; ripeté più volte, a voce alta, il nome del mercato indicato da Moussa, e lo trovava familiare, fino a quando gli chiese di ripeterglielo lui stesso cadenzandolo.

Moussa sorrise, E riprese “” mercato di Sankà” accento sulla A Monsieur>, quasi canzonandolo e poi aggiunse; < in vero si chiama Sankariarè, Sanka è un abbreviativo per noi Maliani. SANKARIARE’? ripetette ancora mille volte Ruggero nella sua testa che già era in panico; ma certo che aveva già sentito quel nome, rimase assorto per qualche tempo e poi a voce alta eslamò rivolto a Moussa, <si, ci sono già stato con Daishane”. il primo giorno della sua permanenzaa Burkina. >

 Ancora una volta l’adrenalina si spargeva sulla sua pelle quasi a graffiarla. Moussa guidava in mezzo al traffico del centro ed a Ruggero parve di riconoscere i boulevard, si sforzava di cogliere ogni particolare fino a quando arrivarono al mercato.

Si era proprio lui. Lo spiegò a Moussa che rimase un poco sorpreso. Si recarono in un chiosco e Moussa propose una bevuta di Zoom Koo, la bevanda nazionale di Burkina.

Andarono quindi un po’ in giro e Moussa gli mostrava l’artigianato autentico la frutta, i tappeti di foglie dei Boschi Sacri. Ma ormai Ruggero viaggiava per altri luoghi certamente ed infine collegò il mercato all’altro luogo visitato con DASH. Il Museo.

Dove è?? Chiese a Moussa ansiosamente di informarsi con i locali sul museo. Dovevano assolutamente andare al museo. Moussa disse, che conosceva   quella città meglio di casa sua; ci aveva anche studiato e quello che lui chiamava Museo era il Simposio Della Scultura di LAONGO.

Si diressero senza indugi al museo, mentre Ruggero sollecitava Moussa di fare più in fretta, fregandosene dei semafori. Quando giunsero era il primo pomeriggio, riconobbe subito il luogo.

Lasciò Moussa a parcheggiare e si inserì subito sul percorso principale; voltò e risvoltò, ma sapeva perfettamente dove andare. Ed infine giunse nello spazio che gli interessava; Delphine era là che stava vendendo un souvenir ed anche lei lo intravide immediatamente.

Gli occhi si incrociarono e poi lei abbassò lo sguardo per completare la vendita. Ruggero si appartò un poco e quando lei fu sola, si avvicinò e chiese <quanto costa questa statuina> lei in maniera complice, gliela mostrò, la descrisse e poi gli diede il prezzo. Ruggero disse di aspettare che non aveva valuta locale, quindi chiamò Moussa e gli chiese di descrivere in un fogliettino del bar, Il luogo dove loro soggiornavano, senza nessun’altra indicazione.

Quindi ritornò da Delphine con i soldi in mano che avviluppavano la piantina, che aveva disegnata Moussa. La salutò turisticamente voltò le spalle, visitò un’altra bancarella e poi un’altra e poi andarono via.

Ritornarono alla base e per strada Ruggero approfittò di spiegare a Moussa cosa era successo. Moussa si fece attentissimo. E condivise la tensione di Ruggero.

DILLON NOTTE

I collaboratori di Moussa avevano preparato alcuni piatti speciali locali, molto speziati che al rientro, praticamente digiuni, gustarono compiutamente, accompagnati da birra locale.

Si trasferirono poi in terrazzo con una atmosfera più fiduciosa rispetto alla notte prima. Delphine poteva essere la carta vincente in assoluto ed entrambi si profusero in ipotesi ottimistiche, sugli avvenimenti prossimi. Poi stanchissimi si accomiatarono Moussa trafficando come sempre, sulle radio raccoglieva le informazioni che a turno gli fornivano i collaboratori della base consolare.

Ruggero, invece disteso, cominciò ad armeggiare con i telefoni per rintracciare Angela. Non la sentiva da due giorni adesso e cominciava ad essere preoccupato. La chiamò in continuazione e poi gli lasciò un messaggio e 2 numeri per richiamarlo anche con Whatt app o Telegram. Non capiva cosa poteva essere successo ed era certamente preoccupato.

Poi spense le luci e provò a dormire, domani poteva essere un giorno molto complicato.

Saranno state le due nella notte, quando ci fu qualcosa che lo svegliò. Era tipico di Ruggero, anche dormendo profondamente, cogliere anche i più minuti rumori.

Il rumore veniva dal basso sulla strada e poi subito dopo nell’ingresso esterno, come qualcuno che provava a salire le scale di legno della residenza. Si sveglio del tutto e a luci spente si diresse nel soggiorno, dove trovò Moussa in pieno assetto operativo che gli fece segno con le dita di stare immobile enon fiatare.

Dopo qualche minuto ancora rumore di scalpiccii sommessi ed infine la porta si apri silenziosamente ed entrarono gli uomini di Moussa che spingevano un giovane locale, che solo dopo qualche secondo Ruggero riconobbe in Dillon.

Il suo cuore ebbe un sussulto epocale e cominciò a battere con un ritmo forsennato Si era proprio Lui Dillon, fece segno ai ragazzi di liberarlo e si avvicinò per abbracciarlo. Fu un lungo abbraccio. E poi si guardarono negli occhi.

L’unico modo che conosceva per capire un altro umano. Si c’era totalmente si rassicurò. LO presento a Moussaed al resto del gruppo rassicurandoli e rassicurando lo stesso Dillon, molto spaesato.

Ascoltarono per un tempo senza fine il resoconto di Dillon, che confermò tutto riguardo il Presidente. < L’ha ucciso il suo migliore amico.> confermò. Il popolo è ancora sconcertato e senza guida lui e gli altri più prossimi erano isolati, occultati e ricercati, quasi tutti con le taglie. <Al momento la pressione Francese è così forte che sarebbe da pazzi improvvisare qualcosa contro il potere.> Anzi lui e gli altri pochi fidi avevano sollecitato la gente amica di rimanere silenti.

Ruggero ascoltò, con calma malcelata tutto il resoconto storico di Dillon, in attesa che approcciasse l’argomento scottante di Daishane. <Ruggero> riprese, con calma africana, Dillon, < Daishane è certamente viva. E’ stata vista pochi giorni dopo del martirio di Thomas. Ma da allora nessuno, nessuno ne ha avuto più notizia. Nessuno, nemmeno sua madre che ho visitato mese scorso>. Concluse lasciando smarriti gli astanti che invece avrebbero voluto ascoltare notizie più confortanti.

<Si fanno diverse ipotesi> aggiunse poi Dillon, <ma nessuna verosimile; qualcuno dei familiari dice che possa essere fuggita in Costa d’Avorio o addirittura più ad occidente, in Mozambico; dove Dash aveva alcune amiche, compagne di università. Ma non abbiamo avuto modo di verificare. Qualche altro invece pensa> disse infine Dillon< crede che sia in qualche ospedale ferita, in convalescenza o ultima ipotesi, che sia con “Les Meres de l’Amour” la comunità volontaria di madri che accudiscono e curano gli orfani Thelibes ed i bambini disagiati o le madri vedove. >

Concluse finalmente, certamente non soddisfatto èer mom essere riuscito a dare nessuna indicazione certa, così come si sarebbe  aspettato Ruggero.

Infatti l’atmosfera nella sala non era delle più gioiose per tutti i presenti, che ormai erano coinvolti direttamente in quella missione.

Rimasero ancora qualche tempo a discutere la situazione politica e di un possibile prosieguo di medio termine. Ruggero invitò Dillon a fermarsi con loro, ma ringraziando rifiutò in maniera determinata. <Sono ricercato, non posso stare con voi un minuito in più perché vi metto a rischio, Mortale>

Salutò con gli occhi tutti i presenti e scomparì

Trovata

L’incontro con Dillon era stato importante, ma non determinante. Contribuiva, comunque, a limitare l ’ambito della ricerca, si era detto con Moussa, prima di distendersi per dormire. Ma non aveva dato alcuna indicazione certa e cosa peggiore, non potevano contare al momento sulla sua disponibilità, né tantomeno sui fedelissimi di THOMAS.

Pesò e soppesò, a memoria, tutte le informazioni ricevute ma non trovò alcun elemento determinante. Lo intrigava però l’accenno, che aveva fatto sulla eventualità che Dash si fosse rifugiata all’estero ed inoltre lo intrigò molto, quanto accennato attorno alla comunità di soccorso delle Meres. 

Valutò con attenzione ogni altro particolare, verificando casomai gli fosse sfuggito qualcosa che non aveva considerato.

Infine, un poco prima di assopirsi completamente, ebbe un lampo rivelatore, e si svegliò del tutto. Ma come non ci aveva pensato prima? Certo, certamente aveva in mano una carta da giocare. Pensò fiducioso ed eccitato. La Mere de l’Amour gli riecheggiava nelle orecchie. La Mere de l’Amour. Erano le ultime parole che si erano detti, l’ultimo messaggio che Daishane gli aveva dedicato nell’ultima notte che l’aveva sognata.

Si concentrò a rivederlo come un diapositiva nella sua mente, se lo ripeté a voce alta, per quanto ricordava ed infine riuscì a focalizzarlo nella sua interezza, Si il rifermento alla Mere del l’amour era evidente.

Ne vous inquiétez de rien; Je vous laisse la paix, je vous donne ma paix. Je ne vous donne pas comme le monde donne.

Que votre coeur ne se trouble point, et ne s’alarme point. Nous savons, du reste, que toutes choses concourent au bien de ceux qui s’aiment l’un l’autre>

<tu sais que je suis, comme la sœur,, comme la bien-aimée,, comme l’amour, mais surtout comme la mère de tous ceux qui n’ont pas de mères>

Era abbastanza verosimile e si sposava certamente con quanto riferito da Dillon. Tentò in tutti i modi per addormentarsi finalmente per Voleva essere efficiente già dal primo mattino e infine ci riuscì.

All’alba dopo avere preparato un te’ imbevibile, svegliò il gruppo per la colazione.

Spiegò a Moussa e gregari la sua scoperta, mettendo in agitazione anche loro e furono subito in macchina. In azione.

Si erano inoltrati a sud, dove le savane erano più estese. Avevano visitato già due luoghi che potevano corrispondere a quanto indicato da Dillon, senza successo, ma non si scoraggiarono.

Adesso erano diretti nell’area del centro sud, attraverso la N5; le informazioni raccolte per strada, non erano molto complete, però insisterono a chiedere iagli abitanti che incontravano di ogni più piccolo borgo abitato, soprattutto alle donne, erano certi che si stavano avvicinando nella area, dove certamente c’era una Maison de la Mere.

Dopo diversi tentativi, in assenza di chiare indicazioni stradali, erano approdati, attorno al grande Barrage di Burkina.

Una zona umida circoscritta da una diga, dove era impiantata una piccola centrale elettrica, ma dove soprattutto vi era una vegetazione autenticamente subequatoriale con praterie erbose, alberi rari come Tamarindi e Karitè enormi e ben distanziati; sicuramente favorevoli per collocare una residenza fuori mano,

Moussa, continuava incessantemente a chiedere agli abitanti, anche lungo il barrage, sulla presenza della comunità.

Finalmente, un gruppo di donne, che andava a stendere i panni, diede a Moussa ed al gruppo indicazioni più precise, spiegando che nell’altra parte del Barrage, in un ex recinto di pastori, si era stabilito da poco una comunità di aiuto umanitario, gestita solo da Madri che chiamavano la Maison des Talibes.

Diedero una indicazione più accurata, dentro la savana, LO descrissero composto da piccole capanne sparse, dai tetti coperti da foglie.

Aggiunsero che l’insediamento era stato concesso da Sankarà ad una comunità di madri (la maison de la mere) per i bambini orfani, abbandonati (Talibes) o fisicamente disagiati.

Dentro l’auto si avvertì un’atmosfera più positiva; avevano realizzato che ormai erano prossimi alla meta.

Ruggero incitava Moussa ad addentrarsi anche mei terreni paludosi, mentre Il pick Up arrancava slittando sui fanghi ma ormai continuavano comunque.

Esplorava dappertutto, come un falco famelico in cerca di prede, e infine decise di proseguire a piedi fra la laguna e le mangrovie. Lasciando dietro il gruppo, si incamminò velocemente in una radura che scorgeva staccata dalle altre, fatta di alberi di tamarindo ed un folto canneto.

Nell’aria umida si diffondeva come un gorgoglio di voci gioioso, di sottofondo, ma non scorgeva nessuno.

 Nella sua pelle però, sapeva di essere nel posto giusto e l’adrenalina lo spingeva a proseguire; si spostò ancora avanti seguendo il mormorio sempre più distinto di quelli che adesso aveva individuato come bambini in festa, mentre l’adrenalina gli dettava tempi sempre più serrati. Si accorse adesso, di muoversi verso una direzione ben precisa, malgrado la savana proseguiva rapido verso quel faro, come se ci fosse un richiamo, una calamita che lo attirava;

Adesso gli strilli dei bambini, in sottofondo, si facevano più distinti, e finalmente fra l’incannucciato ingiallito, scorse in maniera più netta un gruppo di bambini giocondi, che giocherellavano attorno ad una dama; circondandola o quasi sommergendola di abbracci e di baci.

Ciascuno di loro voleva essere l’unico, il privilegiato, quando la dama si girò con un bambino attorcigliato al collo la scorse. Era Lei Daishane.

Come un filo dorato di diamanti, immediatamente, i suoi occhi si congiunsero a quelli di lui. Anche Dash l’aveva visto ma non era sorpresa, forse impaurita, gli occhi le diventarono un puntino che comprendeva l’universo tutto, e poi si trasformarono inuna cascata di effluvi profumati, da dove cominciarono a sgorgare gemme di smeraldo.

Arretrò un poco come per sottrarsi, per ridestarsi, o per rincuorarsi e poi ritornò a guardarlo come per eliminare tutti i dubbi. Il filo divenne una prateria di fiorellini di bosco diamantati e rilucenti, che lievissimamente cominciarono a rincorrersi nell’aria, uno verso l’altro per poi cingerlo, deliziandolo di carezza infinite.

La sua figura diveniva smisurata, come se si proiettasse verso il cielo in una esplosione di colori e Ruggero si sentiva sempre più una formica; Daishane, lo stava accogliendo, come sempre, già dentro di lei;

Il suo viso divenne una marina di luci come un arcobaleno che racchiudeva i suoi occhi sempre più grandi e splendenti che lo attraevano in una congiunzione sempre più intima.

Giunsero quasi a sfiorarsi, quando lei lo abbracciò con tutte le mani, tutta la pelle, ogni poro, ogni respiro, ogni anima, ogni sentimento, li usava per circondarlo per immergerlo in lei e viceversa, mentre i bambini stavano loro attorno a gioire giocondi, festanti.  

Un sole tiepido di primavera sfiorava le cime delle canne più alte e poi si ricomponeva sul viso di Dash e poi li riuniva insieme, in una sola luce disegnando sui loro volti la gioia.

Attorno, cresceva il brusio della grande festa, che stavano facendo gli animali del bosco; nelle bordure dei viali cominciarono a comparire le prime primule rosse, che aprivano la porta alla primavera.

 Poi si approssimò un bambino piccino, piccino, dalle labbra dorate e la pelle di mogano luccicante. E rivolto a Ruggero con gli occhi quasi di rimprovero disse:<“Vous êtes enfin arrivé, Vous avez pris un peu de retard Monsieur, le monde entier vous attendait avec impatience. Que vous êtes le bienvenu>

Il sole adesso stava brillando più forte, diveniva sempre più grande più radioso ma anche più prossimo, decisamente complice; riempiendo di calore e di luce tutta la terra, sovrastandoli da presso come a creare un cerchio magico intorno a Ruggero e Daishane,

Stavano ancora abbracciati, circondati dal cerchio dei Telibes che stavano a guardarli complici, a sorridere dedicandogli gioiose nenie dei boschi.

Solo adesso si accorsero, che attorno a loro il cerchio degli astanti si faceva più grande; giunsero altri bambini e poi altre Meres giovani ed anziane e più lontano anche Moussa con Ngobo e gli altri guardavano esterrefatti, circondati anche loro dalla gioia dei bambini ed anche loro commossi.

Dopo qualche tempo riuscirono finalmente ad appartarsi fra i canneti, ma i bambini non mollavano, ancora tentavano di fare cerchio ed infine rimasero ad accrescere ed ornare la loro gioia.

Rimasero distesi, sull’erba umida, per un tempo interminabile, carezzandosi solo le mani che raccontavano come sempre storie tristi e felici e poi giunse la notte che aspettavano.

Si lasciarono baciare dalla luna e poi insieme diedero il benvenuto all’alba. Le mani si sfioravano ancora, profumate dal polline dei fiorellini che li ricoprivano.

Non avevano ancora scambiato una parola, da quando si erano ritrovati, ma i loro occhi per ore avevano scritto romanzi di amore e di pietà per i prossimi secoli. Quando Daishane lo guardò ancora più appassionatamente e con un lunghissimo sospiro, carezzandogli il volto disse. <Thomas è nel regno dei buoni dove lo raggiungerò presto. Ma non voglio lasciarti su questa briciola di universo. Solo.>

<Sono felice che mi hai conosciuta nel mio ruolo di Madre. E’ una missione che perseguo dalla mia giovane età, questo il mio destino. Non sono fuggita, non sono venuta per nascondermi, sono ritornata nella comunità, consapevole che gli uomini di Compaore mi possono scoprire in qualsiasi momento, ma loro i Talibes avevano bisogno di una altra madre, così come le altre madri avevano bisogno di me.

Li hai visti, le hai viste? So che puoi percepire la loro gioia e so che la terrai con te per sempre, per farti bene, per fare del bene. Così come me tu sei predestinato a vivere il bene, non perché siamo migliori. Non è un privilegio è semplicemente perché siamo umani> gli occhi gli rilucevano con una luce nuova più profonda e più sapiente. 

Non era addolorata, per la perdita del fratello, come aveva creduto. Non vi era in lei alcuna apparenza di cattiveria o di vendetta, stava solamente interpretando il suo ruolo sulla terra, come diceva, a cui apparteneva. Stava vivendo la sua missione divina. Ruggero percepiva dentro di sé di averla persa.

Lei di colpo si alzò, colse un ramoscello di tamarindo e con destrezza disegnò un cerchio perfetto sull’erba attorno a loro, dove si rifugiarono.

Voleva piangere disperatamente, per tutta la vita, e forse lo avrebbe fatto, se lei nella sua pelle che era connessa intimamente ai suoi neuroni non lo avesse carezzato per tutto il tempo con gli occhi dell’amore universale e quindi poi riprese. <Ruggero dobbiamo ringraziare come sempre Iddio, Il Dio di tutte le cose, di tutto l’universo, di tutti gli universi, il Dio di tutti, che ci ha dato il privilegio di incontrarci. >

Di conoscerci, di amarci. Perché io ti amo in relazione all’enorme amore che io sento che tu hai per me. Ma ti amerei anche se tu non mi amassi. L’amore verso un altro è una variabile del cuore che non si può comandare.

Ma è immensamente meraviglioso percepire, sapere, che tu mi ami allo stesso modo. Il mio destino adesso è di rimanere la madre di tutte quelle creature che hanno bisogno di una madre.

Ed io sarò la loro madre per sempre.> guardandola infine con gli occhi ardenti <Ma sarò anche la tua madre, in qualsiasi parte del mondo tu andrai a vivere. Sarò tua sorella, la tua sposa, la tua amante, la tua compagna, il tuo rifugio.

Sarò tutto quello per cui io e te siamo stai creati e portati su questa terra. Io lo so, lo leggo nei tuoi occhi e nel tuo cuore.

Infine, stringendogli ancora più forte le mani, <io lo so che tu hai un mandato da compiere, Non è una missione la tua, è il tuo mandato celeste. E comunque è una variabile indipendente dalla tua testa, è dentro la tua anima. Lo faresti comunque e comunque lo farai>

<Non ci stiamo dando un addio, Ruggero. Tu mi sentirai sempre al tuo lato e sarò sempre la tua paladina e la tua guerriera. Ed io avvertirò le tue coccole. Quando nemmeno la gioia dei talibes potrà alleviare la malinconia della tua assenza.

Quando ancora era alle elementari, Ruggero si rifugiava con una scusa dalla nonna Materna. Si rifugiava nella sua casetta per ore ed a volte ci rimaneva anche la notte.

 Era un momento speciale e sempre diverso; lei, sempre, mentre lavorava a maglia, gli raccontava del sole, della luna e delle stelle; lo faceva con un tono gioioso quasi cantilenante. Cominciava sempre come nelle favole <C’era una volta. >

Un giorno gli raccontò delle anime, Ruggero ci rimase male perché gli sembrava un racconto serioso, un racconto per adulti, però come sempre si accucciava ai suoi piedi sopra la cartella di scuola e l’ascoltava con gli occhi lucidi di curiosità e di amore.

<Ogni anno, in primavera, le stelle più alte del cielo si riunivano, cominciò, per scegliere quali anime potessero raggiungere la terra;

Fra queste c’è n’era una speciale: Belinda, un’anima scelta, luminosa al punto giusto, con riflessi di limone, scelta per incantarsi sulla Terra; per imparare ad amare se stessa e ad amare, per trovare la sua luce e offrirla al mondo.

Ma la terra non era come l’immaginava, disse con una nota triste la nonna, Da tempo il mondo era diverso. Ma Belinda non si rassegnò e scelse di vivere insieme agli umani. E visse tutto, tutte le tragedie più brutte, del tradimento, dell’abbandono della rassegnazione. Un modo per imparare a sopravvivere in quel luogo, che diveniva sempre più diverso da come glielo avevano descritto e se lo era sognato.

Conobbe allora la paura, il tremore della paura, del vuoto ed imparò che l’amore non dipende da niente e da nessuno, ma che c’è sempre; ma che si deve cercare e forse meritare. Nessuno sulla terra ti dà nulla gratuitamente.

Ed allora ha conosciuto la paura di non essere abbastanza, la paura di essere sola e comprese che il fare non avrebbe mai sostituito l’essere, ma che non era mai sola nemmeno nel silenzio più profondo.

Ha conosciuto la violenza, la manipolazione, il desiderio di morire per sentire il valore della vita e della libertà

Ha nascosto la sua fragilità al mondo, anche alle persone più intime, ha chiuso il suo cuore con dieci chiavistelli di rame, per paura di essere ferita, ha finto di essere forte. Ha imparato ad essere insensibile per scoprire la forza della sua emotività e la potenza dell’amore. Ma senza successo.

Ha conosciuto il dubbio, l’idealismo, è stata razionale fino all’estremo, perché le venisse rivelato il senso della vita, della fede e della fiducia.

Di poi ha azzardato di più, sperimentando il falso e poi anche il tradimento per confrontarlo con la essenza della sincerità, fino a quando si incamminò e trovò lo slancio per camminare nella sua verità.

Con fatica ha cavalcato tutte le sue ombre, per accettare finalmente la sua luce, i suoi talenti, per scoprirli e incarnarli, per comprendere intimamente l’accettazione della sua scelta per cui era venuta. Ed infine comprese che era venuta, che l’avevano inviato in quel luogo opaco, per generare, partecipare, tramandare, irraggiare ed amare.

C’era una volta un’anima che venne a incarnarsi sulla Terra per riaccendere le stelle, per condividere la sua luce e il suo amore.

E per agire attraverso di loro per la nascita di un nuovo mondo.

Sopraggiunsero i bambini in festa che li fecero alzare e li misero in circolo a cantare insieme una canzone gioiosa, Poi più tardi Ruggero raccontò loro una serie di favole che si inventò.

Rientro

D’accordo con Marcello e Francesco, Ruggero per rientrare, scelse un volo diretto, che dalla capitale Burkina passava da Madrid e poi Roma. Avrebbero in seguito fatto una teleconferenza per confrontarsi sugli ultimi avvenimenti. Non aveva sentito Angela da giorni ed era molto inquieto, ansioso di rientrare.

Comunque avrebbe voluto fare una sorpresa ad Angela e arrivò a casa senza preavviso.

Quando aprì la porta rimase sconvolto, un disordine enorme dappertutto, e sul tavolo ancora i resti di un pranzo non consumato. Non cerco spiegazioni chiamò ancora mille volte Angerla e poi provò a chiamare Giuseppe, di cui aveva trovato il numero sulla scrivania.

Rispose subito e furono d’accordo di incontrarsi sotto casa, il tempo di arrivare. Non fece nemmeno la doccia, indossò un pullover comodo e scese velocemente le scale senza salutare nessuno.

Giuseppe, arrivò con una panda bianca  quasi subito,  gli fece segno di salire e dopo un saluto veloce e senza profferire parola, lo condusse verso il lungo mare di tramontana; posteggiò in un angolo appartato e poi si girò verso Ruggero con un fare estremamente tormentato. <So che non sei informato degli ultimi giorni. Lo faccio io adesso.> esordì.

Quindi, come lo scarico di un water, si liberò di tutto quello che teneva dentro da giorni.

Parlò senza pause descrivendogli in maniera progressiva gli ultimi eventi. <La notte di Lunedi quattro giorni fa, Angela è stata aggredita da ignoti per strada, per fortuna senza conseguenze gravi, gli hanno rubato solamente la cartella dove riponeva documenti di lavoro e cellulare.

 Ha trovato poi le ruote della macchina fracassate ed il vetro cosparso di benzina, che per fortuna non ha preso fuoco, Al momento è rifugiata dalla madre, ma ti vuole vedere al più presto.

Una pattuglia della polizia che sopravveniva, verbalizzò l’aggressione e la porto subito al pronto soccorso, dove gli venne riscontrata solo qualche escoriazione; dopo qualche ora di degenza è stata dimessa e la stessa volante l’accompagnò a casa.

Da allora non si era mossa di casa. I media hanno riportato la notizia, come una banale aggressione di routine. Vado a trovarla due volte al giorno, facendo anche la spesa per lei. Sono riuscito a non farla uscire per nessuna ragione, perché volevo essere oltremodo prudente in attesa del tuo arrivo.

Ho tentato di tastare la gente in città, quasi nessuno è convinto di una aggressione di sbandati, Al circolo nemmeno un accenno. Fra i miei colleghi malumore. Concluse come se avesse fatto un rapporto ad un superiore; Giuseppe infine gli disse la buona notizia, per confortarlo un poco. 

Il software di tracciabilità di cui ti parlavo, l’ho testato ormai in maniera definitiva ed a adesso funziona in maniera decente.

A Ruggero si illuminarono gli occhi, e quindi Giuseppe gli spiegò che adesso riusciva automaticamente a tracciare i telefoni, che avrebbero voluto e che inoltre autonomamente, il software era in grado di annotare il numero dei telefoni a cui si collegavano i chiamati a quelli primari.

Quindi lo informò con una nota di soddisfazione < quando sei pronto possiamo cominciare a caricare quelli che vuoi e cominciamo a tracciarli> Dopo la batosta iniziale, questa notizia diede un po’ di buonumore a Ruggero, che già con la testa era in azione.

Era sempre così alcuni segnali esterni entravano dentro nel suo Ipotalamo e cominciavano a macinare velocemente strade ed autostrade praticabilissime anche in mezzo alla bufera. Gli veniva naturale entrare in azione anche quanto era dormiente per anni, Chiese a Giuseppe di avvisare Angela del suo Arrivo. Inoltre gli chiese di convincerla in pochi giorni a trasferirsi a casa sua insieme alla madre; era una richiesta ma Giuseppe comprese dl tono, che era un ordine senza dubbi.

Ruggero glielo ripeté deciso come un ordine non discutibile, <comunica ad Angela di spostarsi insieme alla Madre a casa mia; Io mi trasferirò bel piccolo magazzinetto del soppalco di sopra armi e bagagli. Avvisala che non andrò a trovarla, per prudenza.

 Si fece accompagnare da un noleggiatore di moto, Ne scelse una media, senza targa ed altre due le ordinò da ritirare la settimana successiva pagò tutto in contanti.

Arrivato a casa. Dal piccolo magazzino dell’attico tirò fuori due contenitori ermetici, Uno racchiudeva una Glock 18 avvolta nella grasso insieme a proiettili perforanti, ricordo d’altri tempi, Dall’altro prese un Lap Top professionale, ed altre attrezzature che ripose su un tavolo pieghevole del magazzino.

Da una parete tirò fuori un letto pieghevole, che sarebbe stato il suo giaciglio e lo rese funzionale pronto, subito all’uso, lo stesso fece con un piccolo frigo portatile.

Quindi col lap top si collegò, attraverso un VPN molto sofisticato ad un social criptato e cominciò a chattare. Prima con Kulik con un segnale concordato che rispose subito, come sempre, vecchio partner affidabile, verificato già in difficili occasioni, che aveva vissuto nel passato nel mondo degli umani.

Gli chiese in codice di essere disponibile, a subito, per raggiungerlo in Italia al più presto.  <Sono sempre pronto per te rispose rassicurante>. Ruggero gli chiese di inviargli con la stessa procedura: gli ultimi dati personali e la copia di un passaporto monouso. Terminarono la conversazione con un saluto affettuoso. Riconfermandogli l’arrivo entro 48 ore

 Ruggero rimodulò il LapTop e gli prenotò un biglietto aereo, solo andata, per l’Italia. Infine gli accreditò, da un conto criptato 5 mila euro, per ogni necessità a breve. Quindi gli prenotò un BB modesto in città, vicino a casa, assolutamente anonimo.

Rassicurato dal decorso degli avvenimenti, rimase ancora connesso in internet  una buona ora a valutare l’acquisto di alcune attrezzature elettroniche, che già aveva usato, ed altre più sofisticate nel Black Deep Net, dove aveva accesso da sempre; anche qui pagò in cripto valuta.

Per le necessità a breve, ordinò 100 micro camere e 100 JPS wifi, top quality. La consegna, la indirizzò in un magazzino di servizio italiano del nord disponibile a Kulik, Quindi gli chiese di ritirare questa merce mei pressi dell’aeroporto di destinazione prima di arrivare e portagliela in Sicilia.

Fece un lungo respiro ed assaggiò un ambrato regalo di Gianni, e quando lo assaporò voluttuosamente, fino all’ultima goccia, decise di completare il suo lavoro logistico chiamando il Cugino dei servizi.

Usò un altro codice di emergenza e senza preamboli gli chiese di avere urgente necessità di alcuni materiali chimici, non disponibili sul mercato. Gli inviò un elenco di prodotti specifici per il rilevamento delle impronte e di altri materie organiche. Senza fare domande il Cugino confermò la totale disponibilità.

Verificò se la macchinetta automatica del caffe nel sottotetto funzionasse ancora e dopo un super ristretto fumante, fece un riepilogo delle ultime ore.

Soddisfatto, decise di andare con la nuova moto da Gianni, per da mettere qualcosa sotto i denti, non avendo mangiato in maniera decente da secoli.

Il locale era già affollato, ma quando Gianni lo scorse gli preparò all’istante un posto a sedere, appartato all’angolo, del bancone, dove Ruggero si appollaiò.

Senza aspettare la comanda Gianni gli servì personalmente una varietà di antipastini locali no stop ed infine gli chiese, <Aragostina o gamberi in pastella?>

Alla mancata risposta di Ruggero <aggiunse te li porto entrambi, va bene ho capito, sei affamato> <Stasera offre la ditta, per il piacere di averti come Ospite inaspettato e desiderato>.

Si scambiarono uno sguardo complice d’intesa e poi Gianni sottovoce soggiunse, < Devo parlarti. Aspettami fino alla chiusura.> Poi continuò il suo giro dei tavoli da oste efficiente.

Ruggero si concentrò a assaporare i magnifici piatti proposti da Gianni, che arrivarono, con precedenza assoluta, e fra una pausa e l’altra girava lo sguardo in giro in cerca di Notizie; Due coppie di stranieri, che certamente avevano scoperto Gianni su qualche post di awards. Il pensionato Don Michele, Mike lo scialacquone, come lo chiamavano, sempre solo solissimo e di fronte nell’altro angolo sorpresa. La signora del Prete in buona compagnia.

Come sempre elegante, vistosamente elegante, lasciando intravedere un seno pronunciato, drappato di seta e di rosso vermiglio. Troppa grazie per il meschino anzianotto che gli stava dianzi. BOH, ma non doveva essere ancora in lutto?  E quello chi è.?

Quando tutti furono andati, finalmente Gianni chiuse le saracinesche e si sedette vicino con due bottiglie di ambrato luccicante. IL suo atteggiamento molto serio e le due bottiglie lo preoccuparono.

Attaccò subito come mai aveva fatto con Ruggero. <Ho certezza che sai tutto e non aggiungo altro>. < Ti chiedo solo di trovare un modo per proteggere Angela, il gioco si sta facendo molto duro ed Angela iu a scuncicari  i cani chi dormino.>

<Dormiranno ancora per poco Gianni, te lo garantisco>, rispose Ruggero, facendo emergere un minaccioso sorriso attraverso i denti. Gianni non l’aveva mai visto così. <Vedi Gianni su questa terra si commettono piccoli omicidi e grandi Omicidi.

Piccoli omicidi

I grandi omicidi sono quasi sempre mossi da qualcosa di veramente rilevante, quasi sempre mossi da una ragione che ha ferito in maniera estrema l’autore dell’omicidio. Si può giustificare? certamente no.

Però la causa scatenante dell’azione è sempre essenziale, assoluta. Nella storia anche Cesare è stato vittima di un omicidio, per una causa importante, strategica. Erano 20 gli omicidi, tutti senatori e lo fecero Pubblicamente. E comunque ai tempi era una grande causa, ed il grande Omicida è così implicato e si coinvolge al punto, che commette un grande omicidio consapevolmente e spesso pubblicamente.

I grandi Omicidi generalmente sono compiuti, nel bene e nel male, da grandi Uomini e solo la storia e Dio li possono giudicare> Dopo una pausa, pesando le parole quasi sputandole, aggiunse.

<Poi ci sono i piccoli omicidi. Fatti da piccoli uomini, da pezzi di merda, da anonimi maniaci del piccolo potere o di quel grande potere che crea il fetore della merda disfatta. >

<Piccoli uomini, con una piccola testa, con piccoli attributi, meschini, reietti, nascosti dentro le pieghe più fangose della società, che navigano dentro il vomito calpestato dalle iene. Il Signore li fa sopravvivere solo perché si possano redimere.>

<Ma questi piccoli vermi non sanno nemmeno piangere, non sanno amare, non sanno pisciare, credimi, e se vuoi nemmeno cagare; non sanno nemmeno ridere, lo fanno a volte a denti stretti imitando i sorci e parlano come loro a sguittii di Pitechi.

Ed i cabbasisi, dimenticavo i cabbasisi, Li hanno così piccoli che la moglie ogni mattino ci mette lo scontrino attaccato. Con scritto grande: ATTENZIONE CABBASISI.

Questi, questo fetore velenoso ambulante, sono quelli che commettono i piccoli omicidi, che nemmeno commettono loro, li ordinano come uno spaghetto al sugo, consumato in una trattoria delle terza periferia di Dheli.

Li ordinano perché la moglie, giustamente, gli ha messo le corna dal giorno delle nozze. WW le donne.

Perché non sono entrati in graduatoria nell’ospedale di paese, Perché hai posteggiato toppo vicino alla loro auto, comprata con i soldi tuoi “sei uno spendaccione Gianni” > concluse finalmente rilassato.

Sembrava avesse concluso e sorseggiò l’ambrato, valutandone la trasparenza, immergendosi nella miriade di colori che si intravvedevano; frammisti agli aromi, ma poi rivolgendo lo sguardo serissimo su Gianni, poggiò il calice e continuò.

< Caro Gianni e noi chi siamo? Io e tu che riteniamo essere giusti, irreprensibili, onesti, sensibili; i cavalieri; >

<Siamo i cavalieri della tavola ottagonale senza basamento, caro Gianni, perché anche tu per sollecitare la licenza chiami l’assessore di turno ed io faccio ugualmente per avere un bidone della differenziata più grande.

Ci vendiamo come tutti anche per queste misere cose, ci sottoponiamo con deferenza, per un piccolo minuto miserabile privilegio.

Piccoli furti come i piccoli omicidi. E poi sarà anche giusto, sotto le elezioni che ti chiedano il voto. E tu glielo dai, perché magari pensi che quello sconosciuto anonimo, un giorno, forse fra un anno a te o a tuo figlio o a tuo nipote potrà dare un miserabile aiuto. >

<E poi tu Gianni ti lamenterai, qui nel bar con i clienti della politica, perché i politici sono ladri o perché sono incapaci.>

<Ma i politici non sono Marziani, Gianni. Ed è in questo terreno di coltura che loro crescono e si alimentano, dove tu ed io siamo complici; e come sai bene non solo i politici> riprese < si alimentano in quelle ombre puzzolenti che i noddisti chiamano mafia. Oggi non ieri, che magari ieri era un’altra cosa.

La mafia di stamattina, questa mafia questa paranza è il frutto dove cresce la muffa, i funghi velenosi che generano i semi di questa società. La nostra società.  Che già chiamarla mafia è un apprezzamento esagerato ed anche questo deferente.

E su questa muffa pestifera si appiccicano come arpie tutti gli altri vermi; tutti quelli che immaginano, nella loro impotenza mentale e sessuale, di potere gestire un piccolo potere, che a volte vale più di soldi. CUMANNARE è MEGGHIU, di FUTTIRI.

E tutto questo si estende nella società civile come un virus, dal sociale che contamina la scuola, alla sanità, alla politica, alla magistratura, alle forze dell’ordine, peggio del Covid.

Una catena di mezze minchie, che immagina di potere avere un ruolo nella società e, che per questo vendono anche il loro culo al migliore offerente, ma sempre per quattro soldi.

<Ed io e tu magari li riveriamo. Tu più che io. Perché qua quasi non ci vivo, concluse Ruggero con un sorriso canzonatorio.>

Gianni si alzò per controllare la saracinesca che vibrava e poi prese una vodka ghiacciata d’autore. La aprì con professionalità, la odorò e poi la verso in due calici di cristallo shot per sottolinearne il pregio.

Restarono ancora per un tempo lunghissimo a sorseggiare senza guardarsi, concentrandosi sulla trasparenza mielata di quella squisitezza. Poi Gianni si distese un poco, prendendo fiato, dondolandosi pericolosamente sedia < tu ed io tutto questo ce lo siamo detti più volte, da quando ci conosciamo e molto di più con gli occhi. E ni capemu. >

<Ho percepito che vuoi fare qualcosa> continuò. Io ti conosco Ruggero, Ciack azione, si gira direbbe Giacomino il nostro regista del teatro dei Salesiani, che sfotti sempre. Bene Giriamo io ci sono.>

Ruggero, adesso più disteso, forse per effetto della Vodka, riassunse punto per punto le sue intenzioni. <Innanzi tutto mettiamo in sicurezza Angela> e gli illustrò come voleva procedere per le e la madre.

Gli fece presente poi, che lui si sarebbe trasferito nel piccolo attico sovrastante e che già aveva progettato una rete di check di controllo per gli eventuali intrusi in entrata.

Gli confermò molto serioso, che sarebbe stato molto prudente negli spostamenti, e che sarebbe ritornato a trovarlo occasionalmente e con preavviso, per evitare coinvolgimenti ulteriori. Voleva evitare di coinvolgerlo nel gioco pesante che sarebbe cominciato da li a poco.

. Gli fornì infine un numero di contatto nel Deep Net, che già una volta Gianni aveva usato. Concluse dicendogli, che quando avrebbe elaborato un piano d’azione definitivo lo avrebbe condiviso con lui, e non gli accennò a Kulik ed al resto, che stava mettendo a punto.

Si abbracciarono, come sempre, con grande affetto e poi Ruggero montò sul motorino, con la meraviglia di Gianni e si nascose nella notte a luci spente.

Tergiversò molto per strade e stradine, prima di rientrare, scansò due pattuglie della benemerita, e poi posteggiando distante di casa, in un vicolo, quando fu certo di essere solo, rientrò dalla porta di servizio. Col cappuccio in testa,

I fitusi       

ILLUMINAZIONE

Rientrato a casa richiamò subito Giuseppe, in forma criptata e lo convocò per la mattina dopo, a qualsiasi ora. Gli ordinò di usare anche lui l’ingresso secondario.

Finalmente si distese soddisfatto, ma sempre con tensione evidente, che era poi il motore della sua vita quando era in azione. Gli passavano nella testa i Thriller, i film di mafia storici e meno e pensava.

<Na pocu li chiamano Paranza, autri noddici, c’un capiscinu nenti, s’inventaru la Piovra; chi si fussi un purpu m’affinnissi,> Troppa letteratura per definire una banda sparsa di maiali di latrina profonda. Troppo onore. Io li chiamerò i Fitusi e risparmio tempo e denaro.

Lasciò stare la letteratura e si concentrò invece a immaginarsi un piano operativo, che doveva essere efficace sul campo.

Aveva avuto contezza dei fitusi locali, ma erano troppo evidenti pensava. Troppo in vista per essere i veri fitusi, che vivevano nella melma del sottofondo. E poi? Basta così? No certamente no, pensava, poi ci deve essere il capo dei fitusi.

Si rese conto che stava sbagliando, stava sbagliando tutto, stava cadendo anche lui nella trappola della narrativa.

Andò davanti allo specchio del bagno si guardò bene negli occhi e si disse a voce alta,

<Ma che testa di CABBASISA CHI SI RUGGERO>

 Non Hai capito niente.  Anche tu ti stai concentrando sulle comparse e tralasciando i protagonisti>>.

ILLUMINAZIONE

Rimase per qualche tempo, sbigottito, meravigliato di come anche lui quel fine analista che si riteneva, potesse ragionare come l’uomo della strada. Discorsi da bar dello sport, diceva quando voleva essere offensivo per qualche considerazione trita e ritrita, che ascoltava fra gli amici al bar.

Si avvicinò allo specchio e scoprì un volto snervato, tirato, al limite dello stress. Effettivamente le ultime settimane erano state erano state sfibranti, quasi senza pause, Soprattutto lontano dalle cose che amava.

Fu così che decise di colpo di andare in quel luogo che lo rassicurava, che lo amava con tenerezza che lo coccolava e proteggeva più di ogni altra cosa.

Indossò due giubbotti invernali e guidando a pieno ritmo il motorino, raggiunse il molo dei pescatori pressoché deserto. Riuscì ad accendere al primo colpo il Tò tò tò e fu subito fuori del porto.

Solo adesso si rese conto che il vento si era spostato a maestrale, e quando fu ancora più fuori senza protezione cambiò ancora a tramontana teso, anche la corrente era cambiata molto forte da sud.

Stava ballando sempre più forte. Difatti era solo in mare e si preoccupò. Non sapeva che fare, non era poi un grande marinaio; decise di ritornare ma si accorse che non era facile e forse non più possibile.

Quando tentava di virare per rientrare il piccolo TòTòTò quasi si ribaltava Qualcuno gli aveva insegnato, che in questi casi l’unica cosa era andare alla deriva, al minimo, contro le onde cavalcandole leggere e così fece con grande fatica del TòTòTò, che cominciò ad arrancare, a fumare e starnutire.

La corrente sempre più forte lo spostava verso le isole, e già poteva vedere abbastanza distinte le luci del primo isolotto, mentre più lontano a Ponente si intravedevano, fra una raffica e l’altra, il faro e qualche luce della più grande delle tre isole, che lui chiamava Isola grande.

Il cielo adesso lasciava intravedere, in trasparenza della luna, nuvoloni neri che si muovevano veloci e da qualche minuto si rese conto che era praticamente fermo.

il TòTòTò non riusciva a prevalere sulle onde e si preoccupò moltissimo. Non aveva portato il cellulare e non sapeva proprio che fare.

Preoccupatissimo, avvertì d’un tratto un’ombra da dietro ed il rumore di un motore che arrancava anch’esso, rimase in ansia senza capire, fino a quando non si accese un faro e non fu affiancato e poi superato da un piccola barca da pesca locale.

Quello che sembrava un pirata, tutto intabarrato da pescatore, gli fece segno, abbaiando con diverse imprecazioni, di agguantare la cima che gli stava tirando; al secondo tentativo ci riuscì e poi Ruggero con qualche difficoltà la legò a prua. 

Quando fu certo che era ben salda, il pirata stesso prese le giuste distanze e la bloccò a poppa del piccolo Palangaro, Infine con grande maestria riuscì a trascinarlo a bordo.  E quindi, U taliau nsiccu nsiccu e poi gli disse,

<ma a viatri cu vi lu fa fari a nesciri cu stu tempu. U faciti  pi rumpiri i cabbasissi a cu travagghia.?>

Poi lo sistemò, in sicurezza, nella piccola cabina dove stava un altro pescatore anziano al timone. Ruggero salutò, ma insieme lo guardarono senza nemmeno ricambiare. Dopo qualche tempo, quando si accorse che erano diretti, con fatica verso il porto dell’isola grande, Il pirata un poco più cordiale gli chiese. <Ma viatri di dunni siti, ummi pariti  di  ccà>.

Giunti ormai quasi all’imboccatura del porto, a ridosso del vento, la navigazione fu più calma. Ruggero aspettò che furono attraccati prima di rispondere.

<Infatti sono terragnano, vi ringrazio per lo scomodo che vi ho dato>, non gli chiese nemmeno se dovesse pagare qualcosa, cosciente che avrebbe rischiato di essere ributtato in mare.

 <Non ci ha dato nessun incomodo> riprese il più anziano con voce quasi continentale>, <solo che non si esce con questo mare con un guscio di noce,>

 Guardando turpemente il TOTOTO.

<Non ci sono più traghetti e gli aliscafi con questo tempo non arrivano. E gli alberghi d’inverno sono tutti in vacanza.>

Poi con gli occhi ironicamente affabili come sanno fare solo gli isolani, aggiunse 

<Si s’accuntenta può dormire con noi, un angolino ce l’abbiamo, e poi domani se il tempo migliora se ne torna con calma.>

 Intanto aviamu preparato na calamarata si un ci fa schifu a favuriri>

Gli occhi di Ruggero a sentire “calamarata” si dilatarono 300 volte. E le orecchie il doppio, Era la cosa che amava di più a tavola, e poi di pesce isolano, cucinato da pescatori isolani era il massimo. La sua contentezza doveva essere così evidente che il Pirata gli Chiese:

<non è chi unci  ci  avissiru a piaciri, picchi unnavemu nenti autru>

<No no non vi preoccupate, mi accontento, è sulu chi sugnu ancora tuttu ammarragiatu >

Si incamminarono verso una zona quasi periferica del porto, che Ruggero riconosceva come un piccolo quartiere di pescatori, un po’ isolata ma con una vista regale sul mare di Tramontana e sull’isola di fronte. Un’altra perla che si poteva toccare, di cui rimase un attimo incantato per la cadenza regolare di come lampeggiava il faro sulla punta.

La casa era molto modesta, ma molto comoda e dignitosa- <U cessu è fora> lo avvisò il Pirata. Poi si sedettero in un tavolo di legno fino a quando Vartulu non si presentò con una principesca profumatissima calamarata.

Se ne mangiò uno, due, tre piatti enormi e fece anche la scarpetta sotto gli occhi soddisfatti del Pirata.

<Ma chiffà Ci piaciu?> chiese Bartolo con tono ironico.

<A verità?> Esplose infine Ruggero, <Unnavia mai mangiatu na cosa accusì bona>

<Ma dove le pescate queste meraviglie? chiese infine Ruggero.

Il pescatore anziano, con molta pazienza gli spiegò <Non so se è pratico di qua, ma quannu s’affaccia di l’atru latu, u viri chi c’è a mari natru pezzu di terra chi pari nu scogghiu; saffacciassi, Ora chi u cielu si puliziau, s’avissi a viriri megghiu,

L’antichi a chiamavano Jera; Natri la chiamamu Addabanna u faru: Ricemu stamu ennu ddabbanna i casi di puntenti.

Quando c’è buon tempo navighiamo verso ponente e dopo avere attraversato il faro dell’isola Incontriamo una secca che chiamiamo a sicca russa.

E’ ddocu chi avemu u tesoretto. Dove specialmente in inverno quando non ci sono forestieri si pesca bene.> Fece una pausa per vedere se Ruggero avesse capito, rimase con qualche dubbio, ma continuò molto circospetto.

Però forse non glielo dovrei dire, Ma cu stocchiuzzi di picciriddu chiavi, ci lu ricu, Navigando ancora a Ponente per un’altra buona orata, c’è n’è un altro di tesoretto. Niatri a chiamamu a sicca du postali, <Vicino a questa secca qualche anno fa è affondata una barca, un postale, chi morsiru un saccu di cristiani. Per fortuna col tempo, ringraziannu u signuri, e i giovani subacquei locali, le salme sono state tutte recuperate. Almeno ognuno si li ponnu chianciri ncasa.

Nel tempo è diventato un buon rifugio per dentici, cernie ed anche di calamari e mollame.>

< Solo che da qualche anno, quasi non ci va più nessuno, picchi succerinu cosi strani, e ccemu sulu niatri chi semu anziani> si fermò un’altra volta, mentre il Pirata lo guardava quasi contrariato, come dire:

<Ma perché gli stai raccontando tutte queste cose?>

Ma Bartolo non si fece intimidire e continuò. A genti dice che di notte quannu cè sciroccu sentinu chianciri, comu si fussi na picciridda. Un pianto prolungato e disperato.

<Comu si fussi na sirena d’atri tempi. O na matri chi pessi a so figghia e tutti cosi e chianci disperata,>

< A verità?!>

<Iò personalmente unni l’aiu sintutu mai. E sugnu comu a San Tommaso se non tocco non credo.  Ma a genti dici puru chi ddocu  vìttiru luci strani, chi vennu di sutta u mari.

<Chi ci aiu a diri iò!, l’unica cosa che ho visto è che ogni tanto doccu pigghia funnu, di notti, na varca di forestieri, cunnavemu caputu cu su. E chi fannu. >

Sembrano scienziati di scienza di mare, o chiddi chi cercano i vasi romani> ma un sa caputu nenti. Addumannai o figghiu di namico meu da capitaneria che mi ha detto>

<Vartulu Tranquillo sono gente di scienza>

<Accussì rici ?? ma a mia ummi pari, però se lo dici tu stiamo più tranquilli.>

Ed ora si forse stiamo un poco più tranquilli> concluse Vartulu.

Ancora una volta, come sempre, anche quando era sopraffatto dalla stanchezza e con la confusione che gli ballava fino al cervelletto, nell’ipotalamo di Ruggero si posò di colpo una luce che rendeva tutto evidente.

<Ma che tipo di imbarcazione è esattamente? e quante volte viene in un mese?> Avrebbe voluto chiedere ancora, ma si fermò subito per non mettere gli amici in agitazione, e quindi guardando l’orologio il Parata ordinò, <adesso tentiamo di dormire che domani agghiorna presto>

Ruggero si distese subito vestito, in un letto a due piazze, che verificò molto confortevole, e malgrado un filo di luce che trafilava dalla persiana, si addormentò subito. L’ultima visione fu quello della barca di ricerca. Ma la cancellò subito perché voleva solamente dormire.

Un rumore di porte che sbattevano lo svegliò dopo qualche ora. Fuori era ancora buio e verificò che erano le 4.30 AM.

I pescatori si apprestavano ad uscire pensò; sentendosi riposato e rilassato, si affrettò a raggiungerli nel soggiorno, dove stavano finendo di bere un caffè lunghissimo, in una tazza di plastica.

Lo guardarono sopresi e forse un poco infastiditi; come dire <e chissu ancora chi voli, arrè ccà è?> E gli offrirono del caffe. <Ancora cauru è,ì; si lu voli assaggiari. affavorisse>

Ringraziò e mentre sorseggiava un caffè stomachevole, ma se lo bevve tutto, li convinse ad uscire insieme a loro a pesca. <Se non fate troppo tardi e se non disturbo sarebbe una bellissima esperienza.> I due si guardarono compici, come dire <e camu a fari,?> ma assentirono.

Furono in zona di pesca dopo circa un’ora.

Cominciava ad albeggiare da Est, e quasi si poteva vedere il monte alto, La dove le pietre parlano ancora, come lo descriveva poeticamente Ruggero agli amici foresti.

La zona, a qualche miglio del faro in mezzo a tutte tre le isole, era già tessuto da piccoli palangari locali.

Si salutavano muovendo le mani a mo di ventaglio, da lontano erano tutti amici. L’azione di pesca era semplice ma professionale con gesti studiati da secoli. Da padre in figlio. Si lasciava scivolare in mare il “conso” per qualche centinaia di metri e poi loro pescavano con lenze d’altura a traina.

Dopo qualche tempo, quando senza preavviso tiravano le lenze, Ruggero rimaneva incantato da come i primi raggi dell’alba facevano brillare anche i pesci più banali.

Delle sculture d’acqua luccicanti, irripetibili; guardava gli occhi di quelle creature, ancora in vita, che ancora tentavano in tutti modi di divincolarsi, di sfuggire alla trappola mortale, e quasi si addolorava, ma guardava i pescatori e capiva che per loro pescare era l’essenza della loro vita ed anche della loro sopravvivenza.

Rientrarono nel primo pomeriggio, quando la ciurma tirò anche i palangari che avevano steso al mattino. Il pescato stava dentro due secchi. Avrà pesato meno di due chilogrammi. Meno, molto meno.

Si girò a poppa fermandosi a guardare il sole che si spostava elegantemente verso il tramonto e pensò: quanto lavoro, quanta fatica, quanti sacrifici per un pescato così misero.

Si salutarono in banchina da buoni amici come solo gli isolani sanno essere in così poco tempo.

Aspettarono che mettesse in moto il TOTOTO, ma Ruggero con noncuranza risalì in banchina porgendo Bartolo il suo bigliettino personale: Nome e Numero telefonico.

<Se vi dovesse servire io sarò sempre a Vs disposizione,> poi quasi con tono dotto aggiunse.

<A proposito della imbarcazione di ricerca, se la dovreste rincontrare chiamatemi a questo numero, a qualsiasi ora. Anche io sono appassionato di Ricerca.>

Vartulu u taliau siccu siccu, come dire <ma vattinni vattini và, ma veramenti tu pensi  che solo perché abitiamo in uno scoglio, siamo idioti.

Però non lo disse, anzi lo guardò ancora quasi con complicità, e molto formale scandendo le sillabe gli rispose

<Anche noi siamo appassionati di ricerca, ti chiamerò senza alcun dubbio>

Si abbracciarono con gli occhi e Ruggero approfittando del mare forza zero, mise il

’ al massimo dei giri per rientrare al più presto.

Doveva trovare un Drone notturno, pensò.

Era già sera inoltrata quando ormeggiò la barca; dopo avere accuratamente dato una occhiata in giro, recuperò il motorino dal vicolo dove l’aveva lasciato e senza perdere altro tempo si avviò verso casa.

Ancora senza cellulare, non aveva potuto chiamare Giuseppe per accertarsi del trasferimento di Angela. Ma non si soffermò più di tanto a pensarci

Ancora una volta fece un lunghissimo giro per avvicinarsi a casa, attraversando vicoletti ed anche qualcuno controsenso.

Controllò più volte tutto, come gli avevano insegnato un secolo prima e posteggiò sempre lontano da casa. Altro giro panoramico molto attento con gli occhi e poi salì le scale di casa dall’ingresso di servizio.

Si soffermò appena per ascoltare se Angela fosse arrivata, ma non gli arrivò alcun segnale dall’appartamento. Quando fu nella mansarda, La ritrovò come l’aveva lasciata ma per estrema prudenza verificò il segnale, che aveva messo sul tappeto per controllo di visite.

Si rassicurò ed ancora una volta inviò un messaggio a Giuseppe informandolo che era arrivato e senza doccia si mise sotto le coperte per un sonno ristoratore che non arrivò subito

L’dea fissa era la Barca di ricerca, ma poi ritornò ancora sulla progressione della sua analisi sui fatti sul campo. Si riconfermò che forse anche per pigrizia o per stanchezza aveva lavorato per troppo tempo sul visibile evidente. Pensò che doveva dare una svolta netta

Kulik              

In cinematografia, per costruire l’immagine di un personaggio misterioso lo chiamavano “L’innominato”. D’accordo, bisogna considerare anche l’Innominato, si disse, Ma basta così? E’ sufficiente? E ci fermiamo qui?

Non era totalmente convinto, ma decise che al momento doveva concentrarsi su livello dei fitusi locali quelli più evidenti, e che per l’innominato c’era tempo.

In base a questo cominciò a ridisegnare la progressione dei paletti hardware che insieme a Giuseppe e Kulik, avrebbe fissato sul terreno.

 In ordine cronologico, decise di cominciare a controllare le cerchie più evidenti: Il circolo e tutti i suoi accoliti, nessun escluso. Quindi poi esaminò l’area della giustizia. Quella parte piccola ma sostanziale, della magistratura, che per motivi diversi, tutti sporchi, fiancheggiava queste truppe.

Poi certamente la classe professionale.  

La società di mezzo era un suo pallino fisso.

Nella sua testa li suddivideva fra carrieristi di professione e i non emergenti. Quelli cioè, che avendo tutti i requisiti professionali, non riuscivano ad emergere in quella società, perché costantemente emarginati dai furbetti.

Costringendo gli emarginati anche se professionisti di valore a pietire, ad agguantare incarichi di qualsiasi tipo. Un lavoro qualsiasi per sostentare la famiglia. Per sopravvivere. Per dare significato alla loro vita, agi studi che avevano fatto spesso con impegno e sacrificio.

L’altra società di mezzo, quella premiata dai pupari quotidiani, non era meno colpevole dei Fitusi, Anzi faceva da sponda inerte a qualsiasi tipo di malversazione. I furbetti di Mezzo li avrebbe chiamati.

Poi si soffermò sulla dimensione del territorio da considerare. Decise che tutta l’area provinciale sicuramente era il primo step. Ma non bastava perché poi c’erano i fitusi della regione. E poi I fitusissimi nazionali.

Faceva fatica a collegarli per ordine di importanza ed al momento li tralasciò, promettendosi di analizzarli con calma in un secondo momento.

Era certo che cominciando il lavoro sulla piazza locale, con gli strumenti che aveva in testa di usare, sarebbe stato consequenziale risalire alle cerchie più ristrette ed occulte.

Urgeva avviare i lavori con Giuseppe e Kulik, pensò, e fu l’ultima riflessione prima di addormentarsi profondamente.

La mattina seguente fu svegliato all’alba da Giuseppe, che ticchettava alla porta da qualche tempo, quasi in codice.

Si ricompose un poco ed aprì a Giuseppe con un saluto veloce. Dopo la doccia quando ritornò, lo vide che se ne stava ancora all’ingresso con aria incerta, appoggiato con una mano allo stipite della porta, come se temesse di disturbare. Era troppo preciso, troppo bene educato, e Ruggero penso che avrebbe dovuto svezzarlo.

Quella fu la prima volta che si soffermò a guardare con attenzione Giuseppe; incontrò i suoi occhi rossi di stanchezza, certamente aveva lavorato tutta la notte, e riconobbe davanti a lui una persona per bene.

Giuseppe con fare militare lo aggiornò subito. Dopo molte insistenze era riuscito a convincere Angela e la madre a trasferirsi.

 Con molta probabilità sarebbe avvenuto quel pomeriggio stesso, Ruggero, evidentemente più rilassato, non lo lasciò continuare ma gli chiese di rimanere ancora, per assecondarlo in alcune incombenze che gli aveva pianificato nella sua testa.

Lo fece accomodare e dopo un caffè, con una miscela egiziana, espressamente fatto per lui, gli chiese di aiutarlo a sistemare l’alloggio di Angela. Scesero nell’appartamento destinato be cominciarono a fare ordine.

Quando gli uomini vogliono fare ordine, la confusione è assicurata; pertanto dopo avere praticamente rimestato tutto, decisero di portare via tutto quello che era evidentemente superfluo per il soggiorno delle due donne, e che ci pensassero loro a fare Ordine.

Risalirono e questa volta fecero davvero ordine con le attrezzature e l’hardware che Ruggero aveva rinvenuto.

Quindi, dopo un altro caffè, Ruggero gli espose il piano che continuava a maturare nella sua testa, riscontrando il pieno accordo di Giuseppe.

Lo informò dell’altro Hardware che aveva ordinato ed insieme cominciarono a disegnare in ordine progressivo come operare la tracciabilità dei Fitusi, in specie con il software messo a punto da Giuseppe.

Decisero quindi di muoversi dando precedenza ai tre vertici più evidenti di quel triangolo. Notaro, Capo dei fitusi e l’area della magistratura; con precedenza ai magistrati che si erano stranamente dimessi dal Circolo.

Poi cominciarono a valutare come approcciare i fitusi accessori, fra cui l’avvocato del Notaro, e certamente la moglie del commercialista Del Prete.

Ruggero finse di dimenticare e quasi non fece accenno al Nipote del Notaio, e quando Giuseppe glielo fece rilevare, rispose distrattamente, minimizzando <Poi ci pensiamo con calma>; mentre da sempre era una delle punte di diamante che lui personalmente voleva lucidare.

Gianni gli confermò, che dopo il trasferimento di Angela avrebbe lavorato per l’installazione del suo software nella mansarda, che insieme decisero di chiamare la Lucciola.

Ruggero non gli fece parola dei JPS e delle microcamere. In seguito prima di licenziarlo glielo comunicò fra saluto e l’altro senza dargli peso, e ugualmente si accorse che Giuseppe ebbe come un sussulto, a causa del suo ruolo istituzionale. Quindi ripiegò dicendo <comunque è solo una idea, tranquillo> Stettero in silenzio per qualche istante e quindi si salutarono scambiandosi un occhiata complice Bancafin

Angela Trasferimento

Del trasferimento di Angela si prese cura Giuseppe in maniera molto meticolosa, come era nel suo carattere.

Ruggero decise di non essere presente durante le fasi di trasloco, per lasciare maggior e libertà alla madre ed ad Angela.

Approfittò per prendere un poco d’aria e distrarsi un poco dopo le ultime “apparizioni”. Aveva abbastanza tempo. Giuseppe avrebbe dovuto fare diversi viaggi, tenuto conto anche dei cartoni ed il materiale professionale che Angela sicuramente avrebbe voluto portare con sé.

Non era molto bravo col motorino, pertanto si muoveva molto prudentemente in mezzo al traffico delle vie principali che era ancora intenso; rientravano tutti a casa per il pranzo. Ordinò delle cose da mangiare per la “famiglia allargata” in una trattoria amica, poi nell’attesa si diresse in periferia, in una caletta dimenticata e si fermò davanti un piccolo bar a tampasiare.

Era una zona che non frequentava molto, ed i pochi avventori seduti sotto l’ombrellone con un tavolino pieno di birre gelate non gli trasmettevano niente di rassicurante, lo guardarono quasi con malcelata ostilità, ma non solo questo.

Ordinò anche lui una birra, mentre tentava di chiamare Giuseppe, ma da dietro gli si affiancò un giovane ben vestito, che con fare nemmeno tanto circospetto, sussurrò in un italiano senza accento <Se cerchi fumo, o altra roba abbiamo tutto>

Al mancato riscontro di Ruggero si allontanò come infastidito, sedendosi con l’altro gruppo di avventori che aveva visto prima. Spaccio anche di giorno in città; alla grande pensò.

Finalmente ricevette il segnale da Giuseppe, che il trasloco era andato a buon fine.  Pagò la birra in contanti e si diresse alla trattoria vicino casa, dove aveva ordinato delle leccornie locali per festeggiare l’arrivo di Angela. Gli aprì subito lei e senza “nimme” gli si attaccò addosso per un tempo infinito davanti alla porta, singhiozzando.

Quando si ricompose gli presentò la Madre, la Signora Giovanna, che le somigliava moltissimo e quando scorse pacchi che Ruggero aveva in mano della trattoria, glieli strappò quasi urlando <meno male che ci hai pensato tu, stavamo morendo dalla fame.> La madre sistemò il tavolo con stoviglie, che non aveva mai visto così rilucenti e mangiarono con appetito e con gioia.

Per tutto il tempo Ruggero evitò qualsiasi allusione alla aggressione ed invece avviò una conversazione con la madre, chiedendogli se la casa fosse abbastanza comoda e che gli poteva chiedere qualsiasi cosa avessero avuto ancora di bisogno che lui avrebbe provveduto.

Giuseppe che si atteggiava a terzo incomodo, non disdegnava di assaggiare tutte le leccornie speziate locali. Quando furono ben appagati, Ruggero li informò che andava sopra con Giuseppe e fece segno con gli occhi ad Angela di raggiungerli.

Abbracciò ancora la signora Giovanna, e con Giuseppe si spostarono sopra nella mansarda.

Spiegò a Giuseppe che i segnali che aveva posto nella porta e nel tappeto, che gli mostrò, avrebbero dato immediatamente un avvertimento di ogni possibile intruso. Quindi sistemarono, nella parete più grande, uno schermo gigante professionale, e lo collegarono al Lap Top di Ruggero, connettendo con cura tutti i collegamenti.

Lo provò e quando fu convinto che tutto era a posto con una occhiata soddisfatta, ribadì che si poteva cominciare

Angela li raggiunse proprio in quel momento, sorprendendosi della organizzazione che intravide. Ma anche forse della dimensione dell’appartamento che era diventato una gruviera.

Quindi Ruggero si fece raccontare minuziosamente i dettagli della aggressione, e senza commentare le chiese di spiegargli tutto quello che aveva scoperto durante la sua assenza

I fattori preminenti che emergevano erano essenzialmente due.

L’insistenza con cui aveva tentato di avere degli abboccamenti con i soci del circolo, in specie con l’avvocato; ma forse peggio, la visita fatta in maniera plateale al Presidente di Bancafin. Dal cui ufficio era stata letteralmente buttata fuori, quando lei cominciò a chiedere a proposito dei capitali con cui era stata fondata la banca.

Ruggero la lascio liberare di tutto quanto l’aveva afflitta in quei giorni, ma anche quando lei fini di elencare tutti in dettaglio, evitò qualsiasi commento.

Fu in quel momento che ricevette il messaggio in codice di Kulik. Lo avvisava che era già arrivato al BB da un’ora con tutta la “merce”, e fatta la doccia sarebbe stato disponibile era pronto al lavoro. Una bella rimpatriata pensò e gli diede le coordinate per raggiungerlo al più presto.

Gli annunciava di essere già arrivato nel BB ed era a Disposizione. Gli rispose solo con un K.

Azione 2 kulik

Dopo le presentazioni, di prammatica poco formali, Ruggero e subito dopo Giuseppe spiegarono in maniera tecnica passo dopo passo in cosa consisteva la tracciabilità su cui aveva lavorato.

Ripeté, per assicurarsi che tutti lo avessero capito, specialmente Angela, che il suo software non avrebbe fatto la trascrizione delle telefonate dei vari soggetti tracciati, ma semplicemente avrebbe marcato in ordine cronologico e temporale la sequenza dei contatti telefonici, fra i soggetti coinvolti; inoltre avrebbe segnato la durata delle conversazioni di ciascuna coppia intercettata, di volta in volta.

Aggiunse, che il software avrebbe assimilato anche i numeri delle persone contattate sconosciute, che poi egli stesso avrebbe provveduto ad identificare. Angela era stupefatta, ma anche Kulik rimase piacevolmente sorpreso.

Ruggero quindi, sul video a parete, spiegò come avrebbero proceduto riguardo alla priorità dei soggetti da tracciare, e dell’area fisica che sarebbe stata interessata.

Aveva predisposto un grafico elementare che mostrava i soggetti principali, da dove avrebbero cominciato prioritariamente; si assicurò che tutti fossero d’accordo e quindi lasciò spazio a Giuseppe per cominciare ad inserire i primi dati per mostrare visivamente cosa succedeva

Il primo fu naturalmente il Notaro.

Ruggero fra una pausa e l’altra interveniva per chiarire soprattutto a Kulik, che non conosceva i personaggi in gioco, il perché di quella progressione ed i risultati che si attendevano, quando però si accorse che sia Angela, ma anche Giuseppe guardavano Kulik con deferenza o forse timore si interruppe di colpo e spiegò.

 Questo signore al mio fianco, che Si chiama KULIK: K iniziale e K finale, è pressoché apolide è senza tempo. Lo conosco da sempre e mi ha salvato la vita due volte. Non è esperto di nulla, ma sa risolvere qualsiasi problema tecnico e non. E’ il mio Partner. Sono certo che imparerete presto ad apprezzarlo anche voi, quindi propongo un brindisi.

Dopo il chiarimento ricominciarono a lavorare più coesi come un gruppo che collaborava da sempre.

Ancora una volta Ruggero non fece accenno agli altri strumenti di traking che aveva pensato e che Kulik avrebbe fatto funzionare

Soddisfatti si salutarono tutti e Ruggero fece segno a Kulik di rimanere.

Si ritrovarono entrambi a guardarsi negli occhi, non per avere conferma della loro amicizia: quella era sacra, ma forse per il piacere di ritrovarsi. Era sempre uguale, corporatura eccessiva, occhi blu mare sporchi di verde, abbigliamento falsamente trasandato. Quante cose avevano passato ed avevano vissuto insieme quante volte vicendevolmente si erano “dati una mano”.

Anche lui come Francesco e Marcello conosceva tutto della sua vita fin nei minimi dettagli. Ed Entrambi erano stati sempre disponibili uno per l’altro senza preavviso. Si guardavano ancora profondamente ed entrambi pensavano all’unisono le stesse cose.

Un’altra piccola pausa per ricomporsi un attimo i neuroni e poi Ruggero si alzò per prendere una birra fresca fra le preferite di Kulik.

Non gli riepilogò niente, gli descrisse invece attimo per attimo, episodio dopo episodio il contenitore dove si trovava e dove adesso si trovavano insieme.

Desiderava che avesse la identica conoscenza dei singoli fatti.

Poi ancora una volta gli descrisse come voleva procedere, ed a parte qualche piccolo dettaglio, come sperava Kulik, conveniva su tutto.

Rimase come lui molto perplesso sulla Barca avvistata nella secca. Però insieme decisero che avrebbero affrontato questo problema successivamente. Kulik lo informò che aveva già dato un’occhiata alla attrezzatura di JPS e Video che Ruggero aveva ordinato, che sapeva perfettamente come usarla

Decisero che dopo avere messo in sicurezza le abitazioni ed i mezzi di spostamento, anche le moto, con un allarme istantaneo, avrebbero avviato finalmente le operazioni.  Kulik confermò che non appena ricevuto le targhe dei veicoli avrebbe provveduto a piazzarle direttamente, nei giorni seguenti. Dopo gli ultimi dettagli per i collegamenti Ruggero lascio andare Kulik certamente stanco.

Le prossime 400 pagine le trasferirò dopo che prendo un caffè ristretto

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