Sistema Pesca Italia

IL SISTEMA PESCA ITALIANO

TRA SOSTENIBILITA’, QUALITA’, GLOBALIZZAZIONE

Quali i ruoli rinnovati  per Stato e Regioni ? Quali opportunità competitive per le imprese ?

  1. LO SCENARIO
  1. Sostenibilità

                               Uso Sostenibile  Delle Risorse

Politica comunitaria

Acquacoltura

Ricerca – Divulgazione – Educazione Ambientale

  1. Qualità

Sanità – Certificazione – Qualità

  1. Globalizzazione

La telematica quale risorsa di sviluppo per le piccole e medie imprese

I Marchi Commerciali Collettivi  come strumento di ottimizzazione del    comparto

                                               La trasformazione dei prodotti ittici: nuove ipotesi di comparto

                                                 Le  O.P.

                                                La distribuzione

  • GLI ATTORI
  • Lo Stato e le Regioni

Il quadro istituzionale e normativo di riferimento

Decentramento

            Semplificazione

Il VI Piano triennale

Il Tavolo Verde e la programmazione negoziata

  • Le Imprese

 Modernizzazione, diversificazione, riconversione

 Fisco – Previdenza – L.250 – L.413

                                                 Il Credito

Formazione

Autogestione – COGEVO

L’Associazione: Politica unitaria

                                Organizzazione

UNA REGIA PARTECIPATIVA PER IL GOVERNO DEL SISTEMA PESCA

  1. LO SCENARIO
  1. Sostenibilità

Uso Sostenibile  Delle Risorse

La problematica della tutela e della razionale gestione dell’ambiente marino è passata solo in anni recenti dal campo, pur limitato, delle elaborazioni tecnico-scientifiche a quello della riflessione politica, della maturazione giuridico-istituzionale e dei modelli organizzativi.

Il concetto di tutela e gestione razionale presuppone, almeno per grandi linee, una valutazione d’insieme di molteplici attività ed interessi che si svolgono in mare.

Il graduale indebolimento dei sistemi e dei meccanismi ecologici è ormai evidente ed è considerato conseguenza necessaria, quanto preoccupante, del sommarsi di una serie d’attività e comportamenti umani ciascuno in sé motivato sotto il profilo economico-sociale.

Dalla Carta mondiale della Natura, adottata il 28 ottobre 1982 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si possono desumere i tratti fondamentali di un corretto equilibrio fra l’esigenza di carattere ecologico di impedire la distruzione o il degrado di un determinato ambiente naturale e l’esigenza di carattere economico di promuovere l’utilizzazione più appropriata delle risorse naturali, comprese evidentemente le risorse ittiche.

Questi due concetti apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro, possono in realtà convergere in un unico importante progetto purché le attività di contenuto economico siano condotte in modo “razionale”.

Un’analisi superficiale porterebbe ad individuare come unica responsabile dell’attuale stato degli stock, l’attività di pesca. Ben sappiamo, in realtà, come la pesca sia anche vittima di fattori che negli anni hanno determinato una diminuzione della risorsa quali l’antropizzazione della fascia costiera, l’inquinamento derivante dal traffico marittimo, dagli scarichi dell’industria e dell’attività agricola etc.

Vero è che, comunque, il nostro Paese, già nel febbraio 1982 approvò una legge, la 41/82, che elenca tra le sue finalità “la regolazione dello sforzo di pesca in funzione delle reali ed accertate capacità produttive del mare” prevedendo, al contempo, l’elaborazione di piani periodici, in materia di razionalizzazione e di sviluppo della pesca marittima e, rispettivamente, di difesa del mare e delle coste dall’inquinamento.

L’Italia, in quanto stato membro, è sempre più coinvolta e vincolata dalla legislazione comunitaria, la quale nel definire i parametri della “pesca sostenibile” adotta evidentemente criteri di ordine generale che non tengono conto della peculiarità dei diversi stati.

Emblematica è l’introduzione di una regolamentazione dell’attività di pesca basata su quote (TAC) che garantiscano uno sfruttamento compatibile della risorsa.

Tale iniziativa non solo non ha raggiunto gli scopi prefissati, ma ha determinato da un lato un forzato aumento della tecnologia dei natanti con un notevole incremento dei costi di gestione per le imprese, dall’altro un ulteriore potenziamento della “grande pesca” che, sfruttando accordi internazionali, mediante il semplice cambio di bandiera, utilizzano quote assegnate a paesi extracomunitari a totale danno della pesca locale.

Le quote assegnate ad esempio, ai pescatori italiani relativamente alla risorsa tonno, risultano insufficienti in considerazione della reale struttura produttiva.

I principi conservazionistici e di cautela su cui la Comunità Europea ha basato sinora la Politica Comune della Pesca hanno in realtà determinato normative che, seppur generalmente apprezzabili, risultano di impossibile  applicabilità per alcuni Stati membri.

E’ questo il caso del Regolamento 1626 che, fra l’altro impone taglie minime per alcune specie senza il beneficio di un riscontro scientifico, e fissa il limite massimo dell’altezza del panno delle reti da posta a 4 metri, limite, questo, che nei sistemi di pesca utilizzati nel nostro paese non trova nessuna logica né tantomemo possibilità di attuazione.

I risultati sarebbero sicuramente più apprezzabili intervenendo su fattori selettivi per la capacità di cattura degli attrezzi quali, ad esempio, il rapporto di armamento.

Sarebbe, perciò, particolarmente utile al raggiungimento di un uso sostenibile delle risorse, che l’Italia si ponga con un atteggiamento più propositivo ed attivo, nei confronti delle scelte della Politica Comune della Pesca elaborata a Bruxelles, al fine di tutelare realtà particolari come quelle della piccola pesca.

Ciò, anche in considerazione dell’alta percentuale (80%) rispetto all’intera flotta italiana, dei natanti al di sotto delle 10 tonnellate e che usano sistemi multispecifici derivanti da pratiche di pesca legate alla stagionalità delle risorse attraverso un percorso frutto di secolari tradizioni marinare e di alta professionalità.

Anche il movimento ambientalista che per anni ha individuato nell’attività di pesca la causa principale del depauperamento delle risorse, ha oggi acquisito la reale entità delle responsabilità e riconosciuto il giusto ruolo della pesca professionale attraverso la possibilità di sfruttare strumenti che consentano un’autoregolamentazione dell’attività e quindi una diminuzione dello sforzo di pesca, quali ad esempio i Consorzi di Gestione.

Peraltro gli interessi del movimento ambientalista e quelli dei pescatori professionali possono sicuramente condurre ad azioni unitarie mirate alla difesa delle risorse mantenendo, comunque, il perseguimento degli obiettivi socioeconomici.

Ne è un esempio il pescatursimo che pur diminuendo la pressione di cattura garantisce la redditività d’impresa, permettendo, al contempo, di far conoscere ai più usi e tradizioni culturali.

Anche le Associazioni di Categoria hanno contribuito e contribuiscono all’opera di sensibilizzazione nei confronti della tutela ambientale anche attraverso sanzioni nei confronti delle pratiche illegali.

In ultimo risulta di notevole importanza la costituzione di consorzi di piccola pesca in applicazione del DL 164 (Legge Pinto) al fine di verificare lo strumento di gestione razionale della fascia costiera, zona cruciale per tutte le attività di pesca.

Leave a Reply

Fill in your details below or click an icon to log in:

WordPress.com Logo

You are commenting using your WordPress.com account. Log Out /  Change )

Facebook photo

You are commenting using your Facebook account. Log Out /  Change )

Connecting to %s