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UMP GUINEA SATISFECIT

Je suis très fier de recevoir ce prix et je souhaite exprimer ma profonde reconnaissance à l’Honorable President et aux membres du Conseil et à leurs collaborateurs qui me font l’honneur de cette cérémonie dont je garderai longtemps le souvenir ému.


Sistema Pesca Italia

IL SISTEMA PESCA ITALIANO

TRA SOSTENIBILITA’, QUALITA’, GLOBALIZZAZIONE

Quali i ruoli rinnovati  per Stato e Regioni ? Quali opportunità competitive per le imprese ?

  1. LO SCENARIO
  1. Sostenibilità

                               Uso Sostenibile  Delle Risorse

Politica comunitaria

Acquacoltura

Ricerca – Divulgazione – Educazione Ambientale

  1. Qualità

Sanità – Certificazione – Qualità

  1. Globalizzazione

La telematica quale risorsa di sviluppo per le piccole e medie imprese

I Marchi Commerciali Collettivi  come strumento di ottimizzazione del    comparto

                                               La trasformazione dei prodotti ittici: nuove ipotesi di comparto

                                                 Le  O.P.

                                                La distribuzione

  • GLI ATTORI
  • Lo Stato e le Regioni

Il quadro istituzionale e normativo di riferimento

Decentramento

            Semplificazione

Il VI Piano triennale

Il Tavolo Verde e la programmazione negoziata

  • Le Imprese

 Modernizzazione, diversificazione, riconversione

 Fisco – Previdenza – L.250 – L.413

                                                 Il Credito

Formazione

Autogestione – COGEVO

L’Associazione: Politica unitaria

                                Organizzazione

UNA REGIA PARTECIPATIVA PER IL GOVERNO DEL SISTEMA PESCA

  1. LO SCENARIO
  1. Sostenibilità

Uso Sostenibile  Delle Risorse

La problematica della tutela e della razionale gestione dell’ambiente marino è passata solo in anni recenti dal campo, pur limitato, delle elaborazioni tecnico-scientifiche a quello della riflessione politica, della maturazione giuridico-istituzionale e dei modelli organizzativi.

Il concetto di tutela e gestione razionale presuppone, almeno per grandi linee, una valutazione d’insieme di molteplici attività ed interessi che si svolgono in mare.

Il graduale indebolimento dei sistemi e dei meccanismi ecologici è ormai evidente ed è considerato conseguenza necessaria, quanto preoccupante, del sommarsi di una serie d’attività e comportamenti umani ciascuno in sé motivato sotto il profilo economico-sociale.

Dalla Carta mondiale della Natura, adottata il 28 ottobre 1982 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si possono desumere i tratti fondamentali di un corretto equilibrio fra l’esigenza di carattere ecologico di impedire la distruzione o il degrado di un determinato ambiente naturale e l’esigenza di carattere economico di promuovere l’utilizzazione più appropriata delle risorse naturali, comprese evidentemente le risorse ittiche.

Questi due concetti apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro, possono in realtà convergere in un unico importante progetto purché le attività di contenuto economico siano condotte in modo “razionale”.

Un’analisi superficiale porterebbe ad individuare come unica responsabile dell’attuale stato degli stock, l’attività di pesca. Ben sappiamo, in realtà, come la pesca sia anche vittima di fattori che negli anni hanno determinato una diminuzione della risorsa quali l’antropizzazione della fascia costiera, l’inquinamento derivante dal traffico marittimo, dagli scarichi dell’industria e dell’attività agricola etc.

Vero è che, comunque, il nostro Paese, già nel febbraio 1982 approvò una legge, la 41/82, che elenca tra le sue finalità “la regolazione dello sforzo di pesca in funzione delle reali ed accertate capacità produttive del mare” prevedendo, al contempo, l’elaborazione di piani periodici, in materia di razionalizzazione e di sviluppo della pesca marittima e, rispettivamente, di difesa del mare e delle coste dall’inquinamento.

L’Italia, in quanto stato membro, è sempre più coinvolta e vincolata dalla legislazione comunitaria, la quale nel definire i parametri della “pesca sostenibile” adotta evidentemente criteri di ordine generale che non tengono conto della peculiarità dei diversi stati.

Emblematica è l’introduzione di una regolamentazione dell’attività di pesca basata su quote (TAC) che garantiscano uno sfruttamento compatibile della risorsa.

Tale iniziativa non solo non ha raggiunto gli scopi prefissati, ma ha determinato da un lato un forzato aumento della tecnologia dei natanti con un notevole incremento dei costi di gestione per le imprese, dall’altro un ulteriore potenziamento della “grande pesca” che, sfruttando accordi internazionali, mediante il semplice cambio di bandiera, utilizzano quote assegnate a paesi extracomunitari a totale danno della pesca locale.

Le quote assegnate ad esempio, ai pescatori italiani relativamente alla risorsa tonno, risultano insufficienti in considerazione della reale struttura produttiva.

I principi conservazionistici e di cautela su cui la Comunità Europea ha basato sinora la Politica Comune della Pesca hanno in realtà determinato normative che, seppur generalmente apprezzabili, risultano di impossibile  applicabilità per alcuni Stati membri.

E’ questo il caso del Regolamento 1626 che, fra l’altro impone taglie minime per alcune specie senza il beneficio di un riscontro scientifico, e fissa il limite massimo dell’altezza del panno delle reti da posta a 4 metri, limite, questo, che nei sistemi di pesca utilizzati nel nostro paese non trova nessuna logica né tantomemo possibilità di attuazione.

I risultati sarebbero sicuramente più apprezzabili intervenendo su fattori selettivi per la capacità di cattura degli attrezzi quali, ad esempio, il rapporto di armamento.

Sarebbe, perciò, particolarmente utile al raggiungimento di un uso sostenibile delle risorse, che l’Italia si ponga con un atteggiamento più propositivo ed attivo, nei confronti delle scelte della Politica Comune della Pesca elaborata a Bruxelles, al fine di tutelare realtà particolari come quelle della piccola pesca.

Ciò, anche in considerazione dell’alta percentuale (80%) rispetto all’intera flotta italiana, dei natanti al di sotto delle 10 tonnellate e che usano sistemi multispecifici derivanti da pratiche di pesca legate alla stagionalità delle risorse attraverso un percorso frutto di secolari tradizioni marinare e di alta professionalità.

Anche il movimento ambientalista che per anni ha individuato nell’attività di pesca la causa principale del depauperamento delle risorse, ha oggi acquisito la reale entità delle responsabilità e riconosciuto il giusto ruolo della pesca professionale attraverso la possibilità di sfruttare strumenti che consentano un’autoregolamentazione dell’attività e quindi una diminuzione dello sforzo di pesca, quali ad esempio i Consorzi di Gestione.

Peraltro gli interessi del movimento ambientalista e quelli dei pescatori professionali possono sicuramente condurre ad azioni unitarie mirate alla difesa delle risorse mantenendo, comunque, il perseguimento degli obiettivi socioeconomici.

Ne è un esempio il pescatursimo che pur diminuendo la pressione di cattura garantisce la redditività d’impresa, permettendo, al contempo, di far conoscere ai più usi e tradizioni culturali.

Anche le Associazioni di Categoria hanno contribuito e contribuiscono all’opera di sensibilizzazione nei confronti della tutela ambientale anche attraverso sanzioni nei confronti delle pratiche illegali.

In ultimo risulta di notevole importanza la costituzione di consorzi di piccola pesca in applicazione del DL 164 (Legge Pinto) al fine di verificare lo strumento di gestione razionale della fascia costiera, zona cruciale per tutte le attività di pesca.

Progetto Turistico Brasile

Stato del Parà, Anexos e indagine Situazionale, parte del progetto strategico di sviluppo turistico atuato da Salvatore Bulgarella

Il progetto Voluto dal Ministero del Turismo ha l’obbiettivo di strutturare la regione turistica di Baixo Tapajós, situata nel Pará.

La proposta è di realizzare azioni per attrarre investimenti, partenariati e concessioni al settore privato, per alcune delle attrazioni del percorso; per promuovere il turismo locale ed essere la porta del turismo in Amazzonia.

Oltre ad Alter do Chão, il territorio presenta altre attrattive, come la Foresta Incantata, Belterra – che si appresta a ricevere il primo Museo della Scienza Amazzonica (MuCA) – e Vila Americana, uno dei punti più importanti per il turismo in esperienza in Brasile.

IL progetto si compone di una Indagine statistica, Una analisi Situazionale, La stesura delle strategie, Il Progetto di Marketing

Resultados

A pesquisa cobriu 375 entrevistados, sendo 80% de brasileiros e 20% de estrangeiros. Entre os estrangeiros, cerca de 40% eram norte-americanos.

Entre os entrevistados havia 180 mulheres e 195 homens. Tal distribuição é coerente com o turismo de lazer, onde há um relativo equilíbrio entre os sexos.

Tabela 55 – Faixa Etária dos Turistas

Faixa Etária% do Total
17-2415,2
24-3127,7
31-3817.9
38-459,3
45-5211,2
52-598,3
59-665,9
66-732,4
+ de 730,5
Não Informada1,6
Total100

Fonte: Pesquisa THR

Apesar do perfil jovem do turista paraense, seu nível de escolaridade é bastante elevado. Com curso superior completo ou em andamento são quase 80% dos turistas.

Gráfico 23 – Grau de Escolaridade dos Turistas

O motivo predominante das viagens no período da pesquisa foi o lazer. Cabe lembrar que a pesquisa não abrangeu os turistas de negócios. Por outro lado o período de julho, mês de alta estação turística do Pará, faz com que naturalmente o motivo lazer se acentue.

Esta intenção da pesquisa fez com que o percentual de turistas viajando por motivo de participação de eventos ficasse mais reduzido do que é na realidade. No entanto, mesmo com estas ressalvas é evidente que o turismo de eventos é ainda incipiente no Estado.

Tabela 56 – Motivo da Viagem dos Turistas

Motivo% do Total
Lazer94,9
Eventos3,7
Outros1,4
Total100

Fonte: Pesquisa THR

Nota: Os turistas de negócios foram excluídos da pesquisa

O motivo da viagem pode ser mais detalhado através das respostas dos entrevistados quanto aos fatores que o influenciaram a escolher visitar o Pará.

A principal razão da escolha pelo Pará é a visita a amigos e parentes; parte deste público viaja motivado por esta razão, independente do local onde se encontra seu parente. Outra parcela, no entanto, indica o motivo da viagem como sendo visita a amigos e parentes quando na verdade sua principal motivação é conhecer novos destinos. Significa dizer que o turista escolhe um local para conhecer aproveitando a possibilidade de visitar amigos e parentes. Assim os outros fatores devem ter um peso maior do que o apresentado na tabela acima. Esses outros fatores estão relacionados com a atração que a natureza da Amazônia exerce e a atração que o conhecimento de novos destinos provoca. São fatores importantes para escolha do Pará a busca de culturas diferenciadas, a procura por praias marítimas e a possibilidade do descanso/lazer.

Entre outros motivos citados, encontram-se viagem para intercâmbio cultural, encontros religiosos, outros tipos de eventos, prática esportiva, qualidade da hospitalidade do povo paraense, clima quente da região e até mesmo preços mais baixos.

Quanto ao tipo de acompanhamento observado na demanda turística paraense, há um predomínio de turistas acompanhados ou em grupos, em função da pesquisa se concentrar no motivo lazer. Evidentemente o turismo de negócios, que não foi abrangido no levantamento, tem  um número maior de turistas individuais.

A permanência média é de 9,43 dias. Evidentemente, se fosse computado o turismo de negócios esta permanência média tenderia a diminuir. De qualquer forma uma permanência com esta duração média pressupõe a possibilidade de roteiros turísticos com mais de um destino.

Meio de Hospedagem% do Total
Hotel54,1
Casa de Amigos / Parentes41,4
Pousada3,7
Outros0,7
Total100

Nota-se que existe uma elevada porcentagem de turistas que buscam casa de amigos e parentes para se hospedar no Pará. No entanto, esta porcentagem é bem inferior a outras destinações turísticas brasileiras, onde a procura pelos meios de hospedagem comerciais é sempre inferior a 30

Em relação ao gasto médio dos turistas, observa-se que o mesmo se mostra elevado em relação à média brasileira. Isto se deve, principalmente, pelo custo do transporte, que é encarecido pelas grandes distâncias a serem percorridas, tanto dos mercados emissores para o estado, quanto dentro do Pará. O gasto médio dos turistas no Pará é de R$1.412,89, não incluído aí o gasto com passagens aéreas. Considerando-se a permanência média indicada acima, o gasto médio diário é de R$150,00 por pessoa. A nível nacional este gasto está condizente com a média nacional para os turistas domésticos. Se comparado com o turismo internacional, este gasto médio está abaixo do observado na região. O gasto médio diário do turista internacional em Manaus, por exemplo, é de US$135,00, que corresponderia na época da pesquisa a cerca de R$250,00.

Os gastos dos turistas se distribuem por vários itens. Os itens mais indicados foram alimentação e passeios.

Tabela 58 – Itens de Gastos dos Turistas

Itens%
Transporte Aéreo66,1
Transporte Local67,2
Hospedagem48,0
Alimentação80,3
Passeios82,7
Compras70,1
Diversões Noturnas41,6
Outras2,1

Fonte: Pesquisa THR             

Nota: Respostas Múltiplas 

Tabela 59 – Nº de Visitas ao Pará

Nº de Vezes% do Total
1ª vez53,6
2a vez22,4
3a vez11,2
4a vez7,5
5a vez2,4
+ de 5 vezes2,9
Total100

Fonte: Pesquisa THR

O grande percentual de turistas visitando o Pará pela primeira vez deve-se ao fato de que  se trata de uma destinação turística nova, desconhecida pela grande maioria dos brasileiros.

Tabela 60 – Forma de Organização da Viagem

Forma de Organização% do Total
Por si mesmo74,6
Agência de Viagens25,4
Total100

Fonte: Pesquisa THR

Observa-se que a grande maioria dos turistas, que visita o Estado do Pará, o faz sem auxílio das agências de viagens. Esta situação se deve inicialmente ao fato de que o turista brasileiro não tem o hábito de  utilizar  agências. Deve-se, também, considerar que não existem muitos pacotes formatados com produtos paraenses nas prateleiras das operadoras turísticas.

Esta situação faz com que o turista que chega ao Estado necessite de uma carga maior de informações, do que se ele viajasse através de um pacote turístico. A ausência destas informações pode fazer com que o turista deixe de visitar muitos atrativos locais.

Tabela 61 – Outros Destinos Visitados Pelos Turistas Estrangeiros do Pará

Principais Destinos%
Manaus – AM14,7
Fortaleza – CE13,8
São Luís – MA11,2
Salvador – BA11,2
Rio de Janeiro – RJ8,6
São Paulo – SP7,8
Recife – PE5,2
Porto Seguro – BA4,3
Brasília – DF4,3
Foz do Iguaçu – DF4,3

Fonte: Pesquisa THR

Nota: Respostas Múltiplas

Os roteiros feitos pelos turistas estrangeiros que visitam Belém, na sua maioria, incluem Manaus e Fortaleza, o que reforça a tese do desenvolvimento de um corredor turístico entre Fortaleza e Belém. Outros destinos, também bastante citados, foram São Luís, Salvador, Rio de Janeiro e São Paulo. No caso de São Paulo há de se considerar que esta cidade exerce o papel de principal portão de entrada das linhas aéreas internacionais.

Os destinos indicados no item “outros” incluem duas cidades fora do Brasil (Buenos Aires e Caiena), e as cidades brasileiras de Parintins e Presidente Figueiredo no Amazonas, Sobral no Ceará, Macapá no Amapá, Belo Horizonte em Minas Gerais, Olinda em Pernambuco, Natal no Rio Grande do Norte, e a região do Pantanal, citada genericamente.

A grande maioria dos turistas entrevistados visitou exclusivamente o Município de Belém. Na tabela anterior o distrito de Mosqueiro, que pertence ao Município de Belém, foi tabulado separadamente, por se tratar de um produto diferenciado.

A pouca citação de visita a outros destinos, demonstra a carência de pacotes turísticos que ofereçam aos visitantes roteiros diversificados. Cabe repetir que as grandes distâncias a serem percorridas no Estado Pará dificultam um pouco estes roteiros, principalmente em termos de custos.

No entanto, a existência de apenas 13% dos turistas visitando a Ilha de Marajó, atrativo de inigualável qualidade, mostra que há uma carência de informações e de pacotes formatados em comercialização.

Tabela 62 – Atividades Realizadas no Pará

Atividades%
Passeio na Cidade34,7
Visita a Estação das Docas26,3
Visita as Praias25,4
Passeio Fluvial9,4
Passeio Noturno2,3
Outros1,8

Fonte: Pesquisa THR                                         Nota: Respostas Múltiplas

Conforme citado na questão anterior, verifica-se que as principais atividades desenvolvidas pelos turistas estão concentradas na área urbana de Belém. Apenas 9% dos turistas afirmaram ter feito passeio fluvial, que, em princípio, seria o principal diferencial do produto paraense. A existência de 25% de turistas indicando que sua atividade principal foi a visita às praias deriva do período da realização da pesquisa (mês de julho). Tradicionalmente este é o período de alta estação nas praias paraenses, pelo menor índice pluviométrico deste mês.

Outra observação refere-se à importância da Estação das Docas como atrativo de Belém. Trata-se de um equipamento recém-inaugurado e já se constitui em um dos principais atrativos da cidade.

Foi perguntado, também aos turistas, o que gostariam de ter realizado no Pará. O objetivo foi o de identificar elementos conhecidos pelos turistas, mas que por algum motivo não puderam ser consumidos em sua viagem. As principais indicações dos turistas são mostradas na tabela a seguir:

Tabela 63  – Principais Atividades que o Turista Gostaria de Ter Realizado no Pará

Itens%
Conhecer a Ilha do Marajó26,2
Visitar Praias13,4
Visitar Museus e Igrejas6,0
Conhecer Santarém5,3
Conhecer Melhor o Pará4,5
Fazer Passeio nos Rios4,3
Fazer Trilhas Ecológicas1,5
Praticar Pesca Esportiva1,3
Outros9,1
Nenhuma Indicação28,5

Fonte: Pesquisa THR                                         Nota: Respostas Múltiplas

O elevado índice de entrevistados sem nenhuma indicação demonstra que os mesmos não dispõem de informações sobre a totalidade do potencial turístico da região. Entre os que fizeram indicações, a liderança absoluta é de Marajó, evidenciando que este elemento é o grande diferencial do Estado do Pará. Nota-se que existe uma diferença entre ter a informação da existência do destino, como é o caso da Ilha do Marajó, e dispor de informações detalhadas, de como chegar, o que fazer, aonde ficar, quanto pagar, etc.

A principal dificuldade para os turistas realizarem esses elementos, indicados na tabela anterior, foi a alegação de falta de tempo.

Tabela 64 – Motivo da Não Realização das Atividades

Motivos% do Total
Falta de Tempo68,4
Falta de Programação17,1
Distancias Muito Elevadas3,5
Estabelecimento Não Estava Aberto3,5
Falta de Informação3,1
Falta de Dinheiro3,1
Falta de Segurança1,3
Total100

Fonte: Pesquisa THR

Conforme se observa o item falta de tempo, acoplado a distâncias muito elevadas, significa mais de 70% das respostas dos entrevistados; significa dizer que o Pará possui dimensões muito grandes, e dificilmente poderá oferecer em um só pacote todas as alternativas de produtos que dispõe. Será necessário criar vários roteiros segmentados tanto regionalmente, quanto por tipo de produtos (por exemplo: pesca esportiva, trilhas ecológicas, praias, etc). O turista que visita o Pará tem maior necessidade de informações sobre os atrativos turísticos, do que em relação aos serviços turísticos.

Observa-se que o turista antes de viajar ao Pará buscou mais intensamente informações sobre os atrativos culturais e naturais do estado. Este é um indicador de que a promoção institucional do Estado do Pará é ainda muito incipiente.

Tabela 65 – Tipo de Informações Solicitadas sobre o Pará

Tipo de Informação% do Total
Aspectos Culturais38,2
Aspectos Naturais33,4
Meios de Hospedagem11,5
Meios de Transportes11,3
Outras Informações1,0
Nenhuma Informação4,6
Total100

Fonte: Pesquisa THR

A busca da informação sobre o Pará é feita em vários veículos.

Tabela 66 – Locais de Procura de Informações sobre o Pará

Veículos%
Agência de Viagem22,9
Folhetos13,3
Amigos65,9
Jornais8,5
Internet23,7
Televisão7,7
Revista18,7
Guia12,0
Outros4,5

Fonte: Pesquisa THR                                             Nota: Respostas Múltiplas

Observa-se que a principal fonte de informações dos turistas é “amigos e parentes”. Esta situação tanto pode apontar para a constatação que os outros meios de comunicação são insuficientes, quanto pode apontar para a qualidade do produto turístico paraense que faz com que o mesmo seja indicado aos amigos e parentes. O Pará poderá medir melhor a eficácia desta propaganda  “boca a boca”.

As citações no item outros foram: livro, universidade, companhia aérea e PARATUR.

O turista do Pará mostra um elevado grau de aprovação do produto turístico local, conforme pode ser observado na tabela a seguir.

Os restaurantes se constituem em outro item com elevado grau de aprovação (91% de “bom” e de “muito bom”).

No outro extremo encontram-se a sinalização turística, a informação turística e a infra-estrutura urbana com respectivamente 10%, 11% e 12% de avaliações entre “muito ruim” e “ruim”.

Tabela 67 – Aspectos que mais Agradaram no Pará

Aspectos% do Total
Aspectos Culturais24,7
Aspectos Naturais24,3
Hospitalidade17,3
Estação das Docas11,5
Aeroporto11,5
Tudo5,2
Comida Regional3,8
Outros1,7
Total100

Fonte: Pesquisa THR                            

Esta avaliação coincide com os resultados relativos à questão formulada aos turistas quanto a identificação dos aspectos que mais lhe agradaram.

Nota-se que dois investimentos feitos recentemente pelo Governo receberam citação individualizada quanto ao agrado dos turistas.

Observa-se que o aspecto menos agradável aos turistas refere-se à questão da limpeza pública e ao saneamento.

Tabela 68 – Aspectos que menos Agradaram ao Turista em Belém (%)

Aspectos% do Total
Limpeza/Saneamento38,0
Infraestrutura14,0
Segurança12,0
Preservação do Patrimônio Cultural10,0
Trânsito e Transporte Coletivo8,0
Pobreza4,0
Preços Altos4,0
Outros1,7
Total100

Fonte: Pesquisa THR                            

Foi feita uma pergunta aberta aos turistas para que indicassem as principais reclamações quanto ao produto turístico paraense. As principais observações podem ser avaliadas na tabela a seguir.

Salvatore Bulgarella

Executive Manager


Guggenheim Museum N. York

QUALITA’ Ittici Intervista

Il Progetto Pesce Dimenticato Vuole cogliere L’obiettivo di Valorizzare Alcune Specie ittiche del mediterraneo, che per motivi commerciali non hanno mercato e che spesso vengono ributtati in mare

Il progetto è stato Pensato Redatto e relizzato da Salvatore Bulgarella su Ccommissione del Commissiario Europeo della pesca

Salvatore Bulgarella, Assessore Regionale Lo Monte

DISCIPLINARE MARCHIO DI QUALITÀ

Il settore dei prodotti della pesca e dell’acquicoltura, sono stati i questi ultimi anni investisti fortemente dal fenomeno della globalizzazione dei mercati, il quale ha imposto nuove regole, tra le quali quella di garantire i requisiti minimi di qualità internazionalmente riconosciuti. Quindi la valorizzazione dei prodotti attraverso la qualità riconoscibile, costituisce la chiave di volta per dare una concreta risposta alle nuove esigenze del mercato.

In generale, la qualità di un prodotto dipende da un insieme di caratteristiche che devono essere in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori.

La qualità, quindi, diviene un concetto molto sfumato e spesso soggettivo, all’interno del quale rientrano diversi aspetti, che possono essere legati o al servizio associato al prodotto (igiene, imballaggio, trasporto, distribuzione) oppure al prodotto in quanto tale (specie, taglia, caratteristiche organolettiche e nutrizionali).

Allo stesso modo, con valorizzazione del prodotto può intendersi un termine generico costituito da diversi elementi (promozione, qualità di prodotto, qualità di processo, qualità di sistema aziendale), il cui scopo è di dare giuste e rassicuranti informazioni al consumatore sulla natura del prodotto.

Nell’intero processo produttivo assume, allora, notevole importanza il consumatore, che è il punto finale verso il quale far confluire le informazioni che accompagnano il singolo prodotto.

Tale passaggio diviene strategico in un concetto generale di marketing, poiché non sempre vi è una cultura sviluppata attorno ai prodotti della pesca e dell’acquicoltura, che permetta di avere il giusto tornaconto agli investimenti effettuati per valorizzare i prodotti.
Una mancanza di conoscenze da parte dei consumatori potrebbe portare a vanificare gli sforzi e le energie di azioni a loro rivolte. Una buona campagna di informazione, in cui si evidenzino le qualità nutrizionali e i servizi presenti dietro un prodotto, è sicuramente una tappa importante per una corretta valorizzazione.

Partendo da tali considerazioni, la committente ha definito un progetto qualità della produzione ittica del territorio, sviluppandolo attraverso differenti direttive, tutte mirate a rendere riconoscibile e ad evidenziare le qualità organolettiche delle produzioni ittiche suddette.

Obiettivo del presente lavoro è quello di identificare delle percorrenze oggettive utili per istituire nel comprensorio un percorso di qualità, riconoscibile attraverso un disciplinare ad hoc.

Composizione chimica e valore alimentare dei prodotti ittici:

Il pesce costituisce una pregevole fonte di proteine animali che presentano alcune caratteristiche peculiari rispetto a quelle degli animali terrestri. Infatti, le proteine sarcoplasmatiche del pesce, che costituiscono il 20-22% della composizione totale, hanno una basso peso molecolare, sono più ricche di i amminoacidi e di arginina e sono pertanto nettamente basiche. Esse sono in genere più stabili delle proteine delle miofibrille, resistendo al freddo ed alla deidratazione.

La proteine del muscolo, di peso molecolare  nettamente  maggiore rispetto alle altre, sono piuttosto labili e vengono danneggiate durante la conservazione ed i vari trattamenti tecnologici. Le proteine insolubili del tessuto connettivo sono in quantità inferiore rispetto alle altri carni e da ciò deriva la morbidezza di tutte le parti del pesce.

Il costituente principale della carne del pesce rappresentato dall’acqua, che può variare da circa il 60% a circa 84%, cono una media del 74%. Il diverso contenuto di acqua dipende dalla specie e generalmente è inversamente proporzionale alla quantità di lipidi contenuti. Atro costituente che assume una rilevanza particolare è rappresentato dalle sostanze proteiche la cui percentuale può variare da un minimo del 15% ad una massimo del 27%, con una medi complessiva del 20%. Il contenuto di lipidi è molto variabile e varia in percentuale da un minimo del 1% ad un massimo del 27% in rapporto a diversi fattori ( specie, stato sessuale, habitat, alimentazione, stagione, etc.). L’influenza della stagione è un fattore importantissimo; ad esempio il contenuto in grassi nelle acciughe è maggiore in inverno mentre nelle sarde in estate.

Altro fattore importante è rappresentato dalla specie, infatti, i base al contenuto di lipidi si distinguono pesci “magri”, con un contenuto di grassi che va dall’1% al 3% ( come l’orata, la sogliola, il rombo, il palombo, la spigola, il merluzzo etc.), pesci “semigrassi” (come il dentice, il pescespada, il tonno, la triglia etc),

LA SALUBRITÀ DEI PRODOTTI DEL MARE  È CONNATURATA ESSENZIALMENTE ALLA RICHEZZA  DI :

I grassi omega-3

I grassi omega-3 possono essere infatti trasformati nel nostro organismo in sostanze che esercitano un’azione antiaggregante piastrinica o in un componente molto importante dei lipidi del cervello e che svolge un ruolo fondamentale nella trasmissione dell’impulso nervoso. Entrambe queste sostanze hanno potenzialità antitrombotiche molto elevate. Gli acidi grassi omega-3 riducono inoltre i livelli del colesterolo totale e migliorano la funzionalità cardiovascolare.

Gli effetti protettivi nei confronti delle malattie cardiovascolari, si manifestano già con l’assunzione di 100 grammi di pesce al giorno per un periodo di sei settimane.Ma se si consuma pesce con regolarità, tre o quattro volte a settimana, si fornisce al nostro organismo una quantità sufficiente di grassi omega-3 per esercitare l’azione preventiva nei confronti delle patologie cardiovascolari.

Gli omega-3 presenti nei prodotti della pesca derivano da un precursore, l’acido alfa linoleico contenuto nelle alghe e nel fitoplancton che i pesci assumono nutrendosi. Le alghe producono omega-3 per proteggersi dall’eccessivo freddo, una sorta di antigelo, quindi si trovano in concentrazioni maggiori nei pesci che vivono nelle acque fredde. Solitamente le temperature in cui vivono le alghe d’acqua dolce sono maggiori quindi non è necessaria un’elevata produzione di questi grassi ed è minore di conseguenza la concentrazione nei pesci d’acqua dolce come le trote. Generalmente è inferiore anche la concentrazione di questi grassi nei pesci d’allevamento, soprattutto in quelli allevati in vasca. 

Le proteine del pesce

Il pesce è comunque un ottimo alimento per tutti non solo per il suo basso contenuto in colesterolo, ma perché contiene proteine di elevata qualità, in quanto ricche di aminoacidi essenziali (ad es. lisina, metionina, triptofano), e una carne caratterizzata da fibre muscolari corte molto adatta anche all’alimentazione dei soggetti convalescenti che richiedono cibi nutrienti, di agevole masticazione e di facile digeribilità.

I pesci vivono in un ambiente dove sono pressoché privi di gravità, di conseguenza i loro muscoli si sono sviluppati in un modo differente rispetto agli animali terrestri e la maggior parte presentano una colorazione bianca.Questo non accade in tutte le specie ittiche, per esempio i pesci spada o le balene, che essendo privati di ossigeno per lunghi periodi durante le immersioni e si muopvendosi continuamente, hanno muscoli scuri, perché presentano una concentrazione di mioglobina maggiore. Le fibre muscolari di tutti i pesci hanno un contenuto di tessuto connettivo e collagene minore rispetto a quelle degli animali terrestri, per questo hanno una carne più tenera, molto adatta all’alimentazione dei bambini e degli anziani.

I sali minerali contenuti nel pesce

Il pesce può essere una validissima alternativa alla carne anche per il contenuto in ferro oltre che naturalmente per le proteine. A parità di peso una fettina di costa di manzo contiene meno della metà di ferro rispetto alla carne delle alici, uno dei pesci tra l’altro più economici sul mercato, costando circa un terzo rispetto a una bistecca. Il pesce infine è anche “più leggero” rispetto alla carne, perché a parità di peso contiene meno grassi.

Il pescato costituisce un’ottima fonte di altre sostanze minerali, soprattutto gli esemplari di piccole dimensioni che si mangiano interi. Forniscono un buon apporto di calcio, fosforo (fondamentali durante la crescita), rame e zinco (importanti nella prevenzione dell’infertilità), magnesio (oltre ad essere costituente di molte molecole fondamentali, previene anche le cefalee) e il sodio. Il contenuto di iodio (sostanza che previene il gozzo) e di selenio (svolge un’attività antiossidante) varia a seconda delle specie, ma in genere 150 grammi di forniscono questi due minerali in quantità sufficienti a soddisfare il fabbisogno giornaliero di un adulto. I crostacei e i molluschi sono molto ricchi di sodio e hanno un rapporto calcio/fosforo molto equilibrato.

Le vitamine contenute nel pesce

Il contenuto vitaminico è consistente per le vitamine B1, B2, B12 e PP, ma il pesce è importante e quasi esclusivo vettore di vitamine A e D presenti come tali nel fegato (olio di fegato di merluzzo) e non nella forma di provitamine come negli altri alimenti.

Indice di Massima

  • Introduzione;
  • La valutazione della qualità;
  • Composizione chimica e valore alimentare dei prodotti ittici;
  • Microrganismi nei prodotti ittici;
  • Analisi situazionale dell’area di riferimento;
  • Lo sforzo di pesca nell’area del Comprensorio;
  • Le specie bersagli oggetto di analisi;
  • Direttive di qualità per la commercializzazione dei prodotti ittici
  • Generalità
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Bosnia Documenti Segreti

La scorsa settimana ricorreva l’anniversario dell’intervento Nato nell’ex Jugoslavia (24 marzo 1999), che si può considerare il primo passo di quella guerra mondiale fatta a pezzi denunciata da tempo da papa Francesco, che ora ha il suo focus in Ucraina.

Tante le motivazioni di quell’intervento, ad esempio quella di rilanciare l’immagine della presidenza Clinton, appannata dallo scandalo Lewinsky. Ma il proposito di dar vita a un’intervento Nato nella ex Jugoslavia partiva da lontano, come anche l’idea di colpire la Serbia.

Ultimo residuo dell’ex impero sovietico conficcato nel cuore dell’Occidente, la Serbia era per la Nato una sfida che doveva essere affrontata. Il redde rationem contro Belgrado ha i suoi prodromi nella guerra bosniaca, nella quale, tra il 1992 e il 1995, si confrontarono gli eserciti croati, serbi e bosniaci e che si concluse con l’accordo di Dayton.

Una guerra che, secondo la narrativa ufficiale, era riconducibile all’intenzione di Belgrado di dar vita a una “Grande Serbia”, annettendo parte della Bosnia (la stessa motivazione avrebbe innescato nel ’99 l’intervento Nato, asserendo che la Serbia voleva annettere il Kosovo).

Kit Klaremberg e Tom Seker hanno avuto accesso ai documenti segreti delle forze di pace canadesi presenti in Bosnia nei primi anni ’90, le UNPROFOR, rivelando la faccia nascosta di quel conflitto.

Felipe González, Bill Clinton, Jacques Chirac, Helmut Kohl, John Major e Viktor Chernomyrdin osservano la firma dell’accordo di Dayton da parte di Slobodan Miloševic (Serbia), Franjo Tucman (Croazia) e Alija Izetbegovic (Bosnia Erzegovina).

Quando gli Usa sabotarono la pace

“È un fatto poco noto – scrivono i due cronisti su ZeroHedge – ma alquanto riconosciuto che gli Stati Uniti hanno gettato le basi per la guerra in Bosnia, sabotando l’accordo di pace negoziato dalla Comunità Europea all’inizio del 1992 [Accordo di Lisbona, artefici Lord Carrington e José Cutileiro ndr]”.

“In base all’accordo, la Bosnia sarebbe diventata una confederazione composta da tre regioni autonome divise lungo linee etniche”. Non era perfetto, scrivono i cronisti, ma le parti avrebbero ottenuto quanto poi più o meno stabilito a Dayton e avrebbe evitato la guerra.

“Ma, il 28 marzo 1992, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Jugoslavia Warren Zimmerman incontrò il presidente bosniaco musulmano Alija Izetbegovic per offrire al suo Paese il riconoscimento di Washington come stato indipendente. E promettendo un supporto incondizionato nell’inevitabile guerra successiva, se avesse respinto la proposta della Comunità europea. Alcune ore dopo, Izetbegovic si avviò verso un sentiero di guerra” (Doug Bandow, sul National Interest, aveva già denunciata tale nefasta ingerenza, riportando anche le accuse in tal senso dello stesso Cutileiro).

Tanti analisti spiegano l’ingerenza Usa come un modo per contrastare un piano di pace che avrebbe reso più forte l’Europa grazie al ruolo di mediazione. Ma “i cablogrammi UNPROFOR rivelano che c’era al lavoro un’agenda molto più oscura. Washington voleva che la Jugoslavia fosse ridotta in macerie e progettava di mettere in ginocchio i serbi prolungando la guerra il più a lungo possibile“.

Secondo la versione ufficiale a far saltare l’Accordo di Lisbona furono i serbi, ma “i documenti dell’UNPROFOR chiariscono più volte che non è andata così”, dal momento che l’ostacolo “insormontabile” per gli accordi di pace furono le richieste degli “islamici” (così venivano identificati nei cablo i bosniaci guidati da Izetbegovic).

Altri passaggi dei documenti, poi, rivelano come “le interferenze esterne nel processo di pace” “non hanno aiutato la situazione” e “nessun accordo di pace” può essere raggiunto “se le parti esterne continuano a incoraggiare gli islamici a essere esigenti e inflessibili”. I cronisti chiariscono che tali interferenze venivano da Washington.

“Incoraggiare Izetbegovic a resistere a ulteriori concessioni” e “il chiaro desiderio degli Stati Uniti di revocare l’embargo sulle armi nei confronti dei musulmani [bosniaci ndr] e di bombardare i serbi costituiscono dei seri ostacoli per la fine dei combattimenti”, registrano le forze di pace canadesi il 7 settembre 1993.

Il giorno successivo, le forze canadesi riferiscono che “i serbi sono stati i più conformi al cessate il fuoco”. Mentre Izetbegovic  basava la sua posizione negoziale sulla “‘immagine largamente diffusa dei serbi bosniaci come cattivi“. Consolidare tale falsità ha avuto come esito quello di innescare “gli attacchi aerei della NATO sui territori serbi“.

Così su un cablogramma della UNPROFOR: “Non ci saranno colloqui seri a Ginevra finché Izetbegovic crederà che i serbi subiranno attacchi aerei [Nato ndr]. I raid aerei rafforzeranno notevolmente la sua posizione e probabilmente lo renderanno meno collaborativo nei negoziati”.

La Jihad della Nato

Allo stesso tempo, i combattenti islamici “non stavano dando una possibilità ai colloqui di pace”, portando attacchi a tutto campo e “aiutando  Izetbegovic nel raggiungere il suo obiettivo”, annotano i cronisti di ZeroHedege, infatti, per tutto il ’93, le milizie islamiche hanno condotto “innumerevoli incursioni in territorio serbo in tutta la Bosnia, in violazione del cessate il fuoco”.

I cablogrammi dell’UNPROFOR illustrano ampiamente tali azioni, e come gli attacchi serbi, denunciati come attacchi proditori e in violazione al cessate il fuoco, fossero, in realtà, “azioni difensive o in risposta alla provocazioni”.

Infatti, complicare le cose, il fatto che miliziani “islamisti provenienti da tutto il mondo si sono riversati nel paese a partire dalla seconda metà del 1992, dando vita a una jihad contro croati e serbi. Molti di questi avevano già acquisito esperienza nel teatro di guerra afghano”, altri venivano reclutati altrove, inizialmente da turchi e iraniani, con i finanziamenti sauditi, per poi essere gestiti direttamente dall’America, che ne scaricò a migliaia con i suoi Hercules C-130.

“Le stime sul numero dei mujaheddin bosniaci variano notevolmente, ma il loro contributo fondamentale alla guerra è chiaro. Il negoziatore statunitense per i Balcani Richard Holbrooke nel 2001 dichiarò che i bosniaci ‘non sarebbero sopravvissuti’ senza il loro aiuto, e definì il loro ruolo nel conflitto un ‘patto con il diavolo‘ da cui Sarajevo doveva ancora riprendersi”.

Tali miliziani erano usi a creare false flag per incolpare i serbi di atrocità o di aver violato il cessate il fuoco. Così su un cablogramma dell’UNPROFOR: “Le milizie islamiche non disdegnano di sparare contro la loro stessa gente o contro obiettivi delle Nazioni Unite per poi dare la colpa ai serbi in modo da attrarre ulteriore simpatia presso l’opinione pubblica occidentale. Spesso posizionano la loro artiglieria in prossimità di edifici delle Nazioni Unite e aree sensibili come gli ospedali nella speranza che i serbi, rispondendo al fuoco, colpiscano tali siti sotto gli occhi dei media internazionali”.

In un altro cablogramma si ipotizzava che tali milizie avrebbero colpito l’aeroporto di Sarajevo, dove atterravano gli aiuti umanitari, perché i serbi sarebbero stati indicati come “ovvi” responsabili dell’attacco.

Così un altro cablo: “Sappiamo che in passato i musulmani hanno sparato sui loro stessi civili e sull’aeroporto per attirare l’attenzione dei media”. E un successivo: “Le forze islamiche al di fuori di Sarajevo, in passato, hanno piazzato esplosivi ad alto potenziale presso le loro stesse posizioni per poi farli esplodere sotto gli occhi dei media e accusare i serbi di averli bombardati”.

IUGOSLAVIA

La NATO in Jugoslavia: dalla guerra al colpo di Stato

L’intervento Nato si spiegava con l’imperativo di porre fine ad una deliberata campagna di oppressione, pulizia etnica e violenze intrapresa nella regione del Kosovo dal regime jugoslavo contro i propri cittadini di origine albanese.

A Belgrado scoppia la bufera dopo la firma dell’Accordo con la NATO per il passaggio dei suoi militari sul territorio della Serbia e Montenegro. Il settimanale Vreme mette a nudo le strumentalizzazioni politiche su un accordo che a suo tempo aveva firmato anche Milosevic

Il contrasto che è scoppiato due settimane fa, dopo la visita del segretario generale del Patto nord atlantico Jaap de Hop Scheffer a Belgrado, non si è ancora placato. Durante la visita Scheffer si è incontrato separatamente col presidente federale Svetozar Marovic, col presidente della Serbia Boris Tadic, col premier Vojislav Kostunica e col ministro degli esteri Vuk Draskovic. Ovviamente, si è parlato soprattutto del generale latitante Ratko Mladic la cui l’assenza è tuttora di ostacolo per l’ingresso della SCG (Serbia e Montenegro, ndt.) nella Partnership per la pace e nella NATO. Nella stessa occasione Draskovic e Scheffer hanno firmato un accordo con il quale si permette ai soldati della NATO la libera circolazione sulle strade della Serbia, prima di tutto nel caso ci siano dei seri disordini in Kosovo. Ma, mentre per alcuni un tale accordo rappresenta un passo in più verso l’integrazione della SCG nella più forte alleanza militare, per gli altri rappresenta un atto di tradimento, o quantomeno una violazione della procedura e dell’autorizzazione del ministro federale. Il blocco patriotico, con a capo il Partito radicale serbo, ha già iniziato la procedura per la revoca di Draskovic, con l’appoggio dei socialisti che minacciano il rovesciamento del governo se il ministro non dovesse essere sostituito. E mentre Draskovic e il ministro della difesa Prvoslav Davinic cercano costantemente di spiegare i lati positivi dell’accordo, il Governo non mostra alcuna intenzione di difenderli; anzi, dalle dichiarazioni di alcuni ministri si potrebbe concludere che siano inclini ad essere d’accordo con i patrioti. Sebbene per adesso non ci siano segni che il Governo si stia preparando ad annullare l’accordo, sembra che Draskovic per l’ennesima volta si sia trovato in un vortice politico, al centro di un affaire pompato e, stando agli indizi, montato.

Nonostante l’accordo sia stato firmato il 18 luglio, c’era bisogno che passassero alcuni giorni per sollevare la bufera. E’ successo soltanto quando alcuni giornali belgradesi hanno iniziato a pubblicare alcune parti dell’accordo, spesso accompagnate da libere interpretazioni e da una forte dose di sensazionalismo. Ciò che è risultato più evidente per una parte dell’opinione pubblica locale sono le disposizioni secondo le quali i soldati della NATO possono, senza pagare, usare le strade, le ferrovie e gli aeroporti sul territorio della SCG; che non saranno sottoposti ai controlli doganali e di polizia; e infine, che godranno dell’immunità rispetto agli organi della polizia locale e degli organi legali, il che vuol dire, per esempio, che se provocassero un incidente stradale, non potranno essere messi in prigione né i tribunali della SCG potranno fargli un processo.

Cosa ci faranno

La stampa del boulevard (tabloid, ndt.), che durante la siccità estiva è sempre assetata di scandali e di affaire, non ha esitato un attimo a qualificare l’accordo “vergognoso”, persino traditore, con sensuali descrizioni sulla prepotenza alla quale si stanno preparando i soldati della NATO, in modo impunibile, nei confronti della popolazione impotente. La deputata della SCG Gordana Pop-Lazic ha previsto che “In Serbia presto passeggeranno i soldati della NATO senza uniformi, ma con le armi, che potranno ucciderci dietro ogni angolo”. Alcuni si sono “ricordati” che la motivazione per i bombardamenti nel 1999 era il rifiuto della nostra delegazione di firmare l’accordo di Ramboullet, apparentemente proprio perché vi erano contenute alcune decisioni simili all’accordo firmato da Draskovic (Milosevic nella sua difesa all’Aia ha sottolineato spesso che l’accettazione di tali condizioni avrebbe significato concedere un’occupazione della Serbia). Invano il vice del ministro della difesa Pavle Jankovic ha spiegato che i soldati della NATO dovranno annunciare ogni loro passaggio sul territorio della SCG, e che la decisione sull’immunità non li proteggerà dal fatto che nei loro Paesi potranno essere processati per i crimini che eventualmente commetteranno qua: la parola “tradimento”, per l’ennesima volta messa in circolazione, di nuovo ha diviso l’opinione pubblica in patrioti e gli altri, spostando la discussione oltre i limiti della buona educazione e della sanità mentale.

L’opinione pubblica, invece, è stata maggiormente confusa dalle reazioni del Governo, che per l’ennesima volta si è mostrato non informato. Dopo le reazioni sommesse sotto forma di dichiarazioni che di questo accordo sono venuti a conoscenza solo a firma avvenuta, il Governo in modo categorico ha smentito di aver mai deciso sull’accordo: “Nessun ministero, né il Ministero della giustizia, né il Ministero delle finanza né il Ministero degli affari interni, ha fornito un parere positivo sull’accordo con la NATO, né ha visto la versione definitiva di tale accordo”, ha detto il 22 luglio Srdjan Djuric, il capo dell’Ufficio del Governo per la collaborazione con i media. Il ministro Davinic, invece, ha affermato il contrario: “La bozza dell’accordo è stata inviata ai ministeri competenti dei due stati membri della federazione statale, dunque alla Serbia e al Montenegro, al Ministero della giustizia, al Ministero delle finanze e alla Dogana, visto che si trattava di alcuni privilegi dell’immunità coi quali tali ministeri debbono essere d’accordo. Sono state ricevute anche le risposte positive da parte di tali ministeri. In base a ciò il Ministero degli esteri ha proposto di approvare la piattaforma per le trattative con la NATO”, ha detto Davinic. Dal gabinetto di Draskovic è arrivata una nota per rammentare che il giorno dopo la firma dell’accordo, alla riunione dedicata alla situazione del Kosovo, Marovic, Tadic, Kostunica e il presidente del Centro di coordinamento Nebojsa Covic hanno appoggiato l’accordo. Il Governo ha smentito anche questo, lo stesso ha fatto anche Covic, che all’inizio affermava come Draskovic avesse violato la procedura, per dire poi che il capo della diplomazia della SCG “è una vittima politica di qualcuno”.

Documenti segreti canadesi svelano come gli Usa innescarono la guerra in Bosnia

BOSNIA DOCUMENTI SEGRETI

Africa Colpi di Stato AMERICANI

TRE VIDEO IMPORTANTI CHE CERTIFICANO L’ESPORTAZIONE DELLA DEMOCRAZIA USA NEL MONDO.

Si chiede al Gen. Langley quanti africani vengono addestrati in Africa e poi effettuano un colpo di Stato con i militari americani.E’ questo il valore fondamentale per cui li addestrate?1/3

In Guinea e in Burkina Faso il colpo di Stato è stato effettuato da africani addestrati dall’esercito USA per esportare democrazia?Perchè gli Americani dovrebbero pagare le tasse per addestrare gente in Africa che poi fa un colpo di Stato?Quanti governi rovesciati?un valore?

L’ESPORTAZIONE DELLA DEMOCRAZIA USA NEL MONDO.

AFGHANISTAN NARCO DECLASSIFICATI

Documenti declassificati dell’intelligence statunitense descrivono la storia dei talebani con il commercio illecito di stupefacenti

24 GENNAIO 2023tag: 

Afghanistan , 

DNSA , 

FOIA , 

Talebani

di Burkelly Hermann

Il 13 gennaio di quest’anno, Hasibullah Ahmadi, capo del dipartimento antidroga del ministero dell’Interno dell’Afghanistan, ha affermato che il traffico di droga dal paese è diminuito, ma ha ammesso che questo commercio illecito continua in alcune province. Questi commenti sollevano la questione dei legami dei talebani con il mercato dei narcotici e dei precedenti tentativi di frenare la produzione di droga. I documenti declassificati presenti nel post di oggi, tutti rilasciati ai sensi del Freedom of Information Act (FOIA), sono una selezione della nuova collezione Digital National Security Archive, Afghanistan War and the United States, 1998-2017 , pubblicata nel dicembre dello scorso anno. I tre documenti esaminati in questo post descrivono in dettaglio i legami dei talebani con le reti di trafficanti internazionali alla fine degli anni ’90 e i tentativi di regolamentare il mercato nei primi anni 2000 nel tentativo di ingraziarsi la comunità internazionale. Nel loro insieme, i documenti descrivono i legami dei talebani con i piani del traffico di droga e come i divieti sui papaveri, anche quando efficaci, hanno giovato finanziariamente ai talebani e ai consorzi di traffico associati. 

Con l’emergere del primo movimento talebano, dal 1994 al 1996, la produzione di stupefacenti è salita alle stelle in Afghanistan, con documenti declassificati che affermano che il gruppo si è allineato con i trafficanti di droga internazionali. Ci sono state indicazioni da parte di funzionari statunitensi che la produzione di stupefacenti nel paese è aumentata in modo significativo in seguito al controllo dei talebani su vaste aree del paese. In una stima segreta dell’intelligence nazionale (NIE) del maggio 2001 ora declassificata, l’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale ha sottolineato che nel 2000 il paese forniva circa il 72% dell'”oppio illecito” mondiale. Questo documento pesantemente redatto includeva una mappa che indicava le aree di coltivazione del papavero da oppio in Afghanistan (pagina 26) e un grafico che mostrava l’aumento della coltivazione di oppio tra il 1991 e il 2000. Il NIE ha notato che i produttori in Afghanistan erano passati a fornire e produrre più eroina per diversi anni prima 2001. 

Questa analisi è stata rafforzata da un documento di ricerca della CIA Top Secret del dicembre 1998, ora declassificato, preparato dal Direttore del Central Intelligence (DCI) Crime and Intelligence Center, e recentemente rilasciato ai sensi del FOIA al National Security Archive. Questo rapporto Top Secret pesantemente rimossodescrive in dettaglio l’esplosione del mercato dei narcotici sotto il dominio talebano, rilevando i legami del gruppo con Quetta Alliance, un giro internazionale di traffico di droga, che condivideva legami con Osama bin Laden. Inoltre, questo rapporto afferma che il crescente ruolo dei talebani nel paese ha fatto esplodere il business dei narcotici. Il documento valuta anche il coinvolgimento del gruppo nel traffico illecito di stupefacenti, affermando che esso comprendeva i massimi leader talebani e che questo commercio si è intensificato “negli ultimi anni”, portando a immensi profitti per l’organizzazione fondamentalista. In particolare, il DCI Crime and Intelligence Center afferma che i fornitori di stupefacenti afgani si erano spostati verso i mercati internazionali, oltre a distribuire ai trafficanti di droga in Turchia. Il documento sottolinea che i combattenti talebani hanno fornito “supporto logistico” e “protezione” per il traffico di droga e laboratori all’interno del paese. Più significativamente, il documento sostiene che i talebani hanno forgiato legami con l’Alleanza di Quetta, un importante gruppo di trafficanti regionali e sponsor terroristico di Osama bin Laden.

Questo articolo non era il solo a descrivere l’Alleanza di Quetta. Un rapporto pubblicamente disponibile dell’agosto 1994, compilato dalla Divisione Intelligence della Drug Enforcement Administration (DEA), descrive l’Alleanza di Quetta come un’alleanza tra tre potenti gruppi di trafficanti che operano a Quetta, all’interno della provincia pakistana del Baluchistan. Il rapporto della DEA affermava che questa libera alleanza era basata su legami familiari e descriveva l’operazione come “simile a un grande consorzio di produzione o di servizi”. Ciò si collegava all’affermazione contenuta nel suddetto documento del DCI Crime and Intelligence Center, che sosteneva che una volta che l’Alleanza di Quetta fosse diventata il gruppo di narcotraffico dominante nel sud dell’Afghanistan, avesse fornito sostegno finanziario e reclutamento ai fiorenti talebani.

Alla fine del 1999, i talebani avevano vietato la coltivazione del papavero. Questo sarebbe seguito da un divieto di coltivazione e traffico di oppio nel luglio 2000, quest’ultimo in un editto del leader talebano Mullah Omar. Tuttavia, questi divieti non hanno interferito con il traffico e la vendita di oppio o papavero. Un cablogramma segreto declassificato del luglio 2001 della Defense Intelligence Agency (DIA) affermava che, sebbene il divieto fosse principalmente efficace, aumentava comunque sostanzialmente le entrate dei talebani dal traffico illecito di droga. Il divieto ha seguito le risoluzioni 1267 e 1333 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, rispettivamente nel 1999 e nel 2000, che condannava “il significativo aumento della produzione illecita di oppio” e chiedeva che i talebani si adoperassero per “eliminare virtualmente la coltivazione illecita del papavero da oppio”. Successivamente, il cablogramma della DIA rileva che i talebani probabilmente hanno soppesato il riconoscimento da parte della comunità internazionale rispetto ai propri interessi quando hanno considerato un’estensione del divieto. 

Questo cablogramma DIA ora declassificato affermava inoltre che mentre il divieto dei talebani avrebbe probabilmente ridotto la produzione mondiale di oppio di almeno il 50%, il divieto ha portato al quadruplicamento del prezzo afghano di oppio, morfina base ed eroina, che in precedenza erano record bassi. Il cablogramma afferma esplicitamente che un anno dopo il divieto i talebani beneficiavano ancora sostanzialmente dei proventi della droga, “… principalmente dalle tasse sul continuo traffico di stupefacenti e dalle scorte di stupefacenti di proprietà dei talebani, il cui valore è aumentato notevolmente”. Il cablogramma della DIA rileva inoltre che il divieto probabilmente non avrebbe avuto un impatto sugli Stati Uniti nei prossimi mesi, poiché le sue principali fonti di eroina provenivano dal sud-est asiatico e dall’America Latina. Mentre i talebani non hanno mai dovuto soppesare i propri interessi nell’estendere il divieto dovuto agli Stati Uniti 

Per ulteriori documenti sui talebani, vedere i numerosi manuali dell’Archivio, incluso il post del 23 settembre 2021, ” Documenti appena pubblicati mettono in dubbio le affermazioni che i talebani rinunceranno ad al Qaeda “. 

Gli ettari coltivati a papavero da oppio e il programma di eradicazioni in Afghanistan dal 1998-2014 (World Drug Report Unodc 2015)

L’Ufficio dell’Onu per la droga e il crimine (Unodc) ha stimato per il 2016 una produzione di 4.800 tonnellate di oppio, ammettendo sia «sottostimata sulla base dell’altezza e della densità delle piante osservata dai satelliti», malgrado ciò comunque quasi il doppio (+43%) delle 3.300 tonnellate dell’anno precedente. È aumentato inoltre il rendimento medio delle colture: dai 26,3 chilogrammi di oppio per ettaro del 2013, ai 28,7 chilogrammi del 2014. Di conseguenza, sempre per il 2016, l’Unodc stima una crescita del 30%, grazie alle «favorevoli condizioni climatiche» [14]. Le già inefficaci eradicazioni sono del resto calate nel 2016 del 91%, con appena 355 ettari distrutti. Ufficialmente per le difficili condizioni di sicurezza: 8 morti e 7 feriti nella campagna di eradicazione 2016, con 5 vittime e 18 persone colpite nell’annata precedente [15]. La verità sembra però essere un’altra, ben più scomoda. La chiariva anche un comunicato radio del comando della missione Nato, rivolto alla popolazione di quella provincia: «Stimato popolo dell’Helmand, i soldati dell’Isaf non distruggono i campi di papavero perché sanno che molti in Afghanistan non hanno alternative alla coltivazione del papavero. L’Isaf non vuole sottrarre alla popolazione i mezzi necessari per sostentarsi» [16]. Nel 2010, l’assistente strategico del generale americano Stanley McChrystal dirà la stessa identica cosa ai contadini del distretto di Majrah, formalmente parte di quello di Nad Ali nella provincia sud-occidentale di Helmand, appena riconquistato dai Marines americani dopo una grande offensiva militare: «Non distruggeremo le piantagioni di papavero, perché non possiamo colpire la fonte di sussistenza della popolazione di cui vogliamo conquistare la fiducia» [17]. Lo stesso presidente Karzai nel 2004 rigettò la proposta internazionale di fermare la produzione di oppio attraverso lo spargimento aereo di erbicidi chimici, spiegando che questa coltivazione costituiva l’unica fonte di sostentamento per larga parte degli afghani.

Per Barnett Rubin, consulente del governo Usa per l’Afghanistan, «quando il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld incontra in Afghanistan personaggi noti come narcotrafficanti, il messaggio che lancia è chiaro: aiutateci a combattere i talebani e nessuno interferirà con i vostri business» [8]. La connivenza degli Stati Uniti e della Nato con i signori della droga afghani prosegue anche dopo l’arrivo di Barak Obama alla Casa Bianca, ma con una rettifica. La nuova amministrazione decide di abbandonare l’imbarazzante linea, seguita fino a quel momento, di assoluto disinteresse al problema oppio, in favore di un intervento “selettivo” volto a colpire solamente i signori della droga legati ai talebani, ma – badate bene – solo quelli, perché con i narcos “amici” si continua invece a chiudere un occhio. Nell’agosto del 2009 un quotidiano statunitense annuncia che il Pentagono ha stilato una lista nera comprendente una cinquantina di narcotrafficanti afghani da catturare o da uccidere: «Non tutti i trafficanti, ma solo quelli che sostengono l’insurrezione e che con essa hanno legami certi» [9]. In Afghanistan la Cia e la Dea sono nuovamente in conflitto di interessi, peraltro con l’antidroga statunitense tra il 2001 e il 2003 con soli 2 agenti sul posto, saliti a 13 dopo il 2004.

Negoziati Russia ucraina 2005

Le relazioni tra Clinton e Eltsin erano sinceramente cordiali e amichevoli, il che ha avuto un impatto positivo sulle relazioni tra Russia e Stati Uniti e ha permesso loro di risolvere complessi problemi internazionali. Naturalmente, non è stato privo di controversie e situazioni di conflitto su questioni come, ad esempio, l’espansione della NATO e il conflitto in Jugoslavia. Grazie alla declassificazione dei documenti da parte della Clinton Presidential Library su richiesta degli Archivi, possiamo leggere la corrispondenza tra Bill e Boris, come si chiamavano. La prima pubblicazione della corrispondenza include lettere di Eltsin a Clinton sull’espansione della NATO, 

UCRAINA E NUCLEARE

La cooperazione americana, ucraina e russa ha eliminato la terza forza nucleare mondiale negli anni ’90

Documenti declassificati illuminano la storia di successo della non proliferazione ora divulgata in tutti e tre i paesi

Washington DC, 5 dicembre 2019 – La riduzione cooperativa della minaccia da parte di Stati Uniti, Ucraina e Federazione Russa ha eliminato con successo la terza più grande forza di armi nucleari al mondo negli anni ’90: gli ICBM, i bombardieri strategici e le testate nucleari rimaste in Ucraina quando l’Unione Sovietica sciolto nel dicembre 1991 – secondo documenti declassificati di tutti e tre i paesi pubblicati oggi dal National Security Archive.

I documenti descrivono in dettaglio l’intensa diplomazia trilaterale sull’eredità nucleare dell’Ucraina iniziata anche prima del dicembre 1991, culminata con l’accordo dei presidenti Clinton, Eltsin e Kravchuk a Mosca nel gennaio 1994, la firma del Memorandum di Budapest 25 anni fa oggi che ha fornito garanzie di sicurezza a Ucraina – assicurazioni che la Russia ha successivamente violato – e la partenza dell’ultima arma nucleare dall’Ucraina nel giugno 1996.

I documenti descrivono il ruolo vitale svolto dall’iniziativa Nunn-Lugar che ha reindirizzato i dollari del Dipartimento della Difesa allo smantellamento delle infrastrutture nucleari in Ucraina e ha contribuito a sostenere la conversione da parte della Russia del materiale fissile di quelle testate in barre di combustibile per le centrali elettriche ucraine.

La pubblicazione di oggi affronta direttamente le narrazioni attuali in tutti e tre i paesi che sono storicamente fuorvianti. Negli Stati Uniti, la controversia sull’impeachment presenta un’amnesia quasi totale sullo straordinario contributo alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti apportato dalla decisione dell’Ucraina di disarmare, rimuovendo oltre 1.900 armi strategiche puntate sugli Stati Uniti In Russia, il nuovo discorso nazionalista respinge la riduzione cooperativa della minaccia Nunn-Lugar come disarmo forzato, dimenticando che il consolidamento dell’eredità nucleare sovietica in Russia serviva direttamente gli interessi di sicurezza della Russia. In Ucraina, la nostalgia per lo status nucleare è in aumento, alimentata dall’annessione russa della Crimea e dalla guerra nel Donbass, ignorando gli enormi costi per l’Ucraina (diplomatici, finanziari, ambientali e altro) se le armi nucleari fossero state mantenute negli anni ’90.

I punti salienti di questo briefing book includono i memcons e i telcons praticamente testuali delle conversazioni del presidente George HW Bush con i presidenti Boris Eltsin e Leonid Kravchuk, declassificati dalla Bush Presidential Library a College Station, Texas, come risultato del multiplo Freedom of Information Act (FOIA) e le richieste di revisione obbligatoria della declassificazione (MDR) da parte del National Security Archive dal 1998. Gli archivi della biblioteca Bush sono stati anche la fonte di promemoria del personale del Consiglio di sicurezza nazionale e copie di rapporti di intelligence e cablogrammi diplomatici relativi all’Ucraina nel 1991 e 1992. Alla biblioteca Bush, Robert Holzweiss, Zachary Roberts e Debbie Wheeler meritano un ringraziamento speciale per il loro lavoro di molti anni per aprire questi file.

Altri punti salienti includono i memcon e i telcon delle conversazioni del presidente Bill Clinton con i presidenti Eltsin, Kravchuk e Leonid Kuchma, declassificati dalla Clinton Presidential Library a Little Rock, Arkansas, come risultato delle richieste FOIA e MDR da parte del National Security Archive dal 2005. Gli archivi della Clinton Library hanno anche prodotto documenti e cablogrammi relativi al personale dell’NSC dal 1993 al 1996. Alla Clinton Library, Rob Seibert e Kelly Hendren sono stati particolarmente utili nel processo di declassificazione.

I documenti chiave del Dipartimento di Stato, compresi i resoconti delle conversazioni di più alto livello, provenivano da molteplici richieste FOIA da parte dell’Archivio allo Stato nel 2009, 2014, 2015 e 2017. Al Dipartimento di Stato, il revisore senior Geoffrey W. Chapman ha offerto un servizio altamente professionale e molto apprezzato approccio divulgativo al compito di declassificazione.

I documenti chiave del Dipartimento della Difesa provenivano dagli archivi in ​​pensione dell’ex Segretario alla Difesa William Perry presso il Federal Records Center, Suitland, Maryland, come risultato delle richieste di revisione obbligatoria da parte dell’Archivio. Gli ex aiutanti del predecessore di Perry, il Segretario alla Difesa Les Aspin, hanno fornito all’Archivio una copia del suo diario dettato dal 1993, che si trovava nelle carte del defunto professor Richard Ullman a Princeton.

I documenti del ministero degli Esteri ucraino e della Rada inclusi in questo briefing book sono per gentile concessione della dottoressa Mariana Budjeryn, dalla sua vasta ricerca d’archivio e interviste a Kiev e altrove per la sua dissertazione e il suo prossimo libro sulla storia nucleare dell’Ucraina. Le traduzioni dall’ucraino sono del Dr. Andrei Shenin.

Iran Russia Armi

La Russia ha messo le mani su alcune delle armi fornite dagli Stati Uniti e dalla Nato all’esercito ucraino e le ha inviate in Iran, dove Washington teme che Teheran possa provare a decodificarne i sistemi. Nello specifico, il materiale ottenuto dai russi consisterebbe in una parte degli aiuti militari spediti che il blocco occidentale ha mandato sul fronte, e che le forze di Kiev sono state costrette ad abbandonare sul campo di battaglia in seguito a non meglio specificate sconfitte locali.

La notizia è stata diffusa dalla Cnn, che ha citato quattro fonti anonime informate sui fatti. Nel corso dell’ultimo anno, hanno spiegato le stesse fonti, gli Usa, l’Alleanza Atlantica e altri funzionari occidentali hanno assistito a diversi episodi in cui gli uomini di Vladimir Putin sono riusciti a recuperare attrezzature per armi più piccole, a spalla, tra cui sistemi anticarro Javelin e sistemi antiaerei Stinger.

Pare che in molti di questi casi la Russia abbia inviato l’attrezzatura in Iran per smantellare e analizzare ogni singola arma, probabilmente per consentire agli iraniani di creare la propria versione di quelle armi. Mosca riterrebbe inoltre che continuare a fornire armi occidentali catturate all’Iran sarebbe un valido incentivo per convincere Teheran a mantenere alto il suo sostegno alle operazioni militari della Russia in Ucraina.

TEHRAN, IRAN – NOVEMBER 23: Russian President Vladimir Putin (L) talks to Iran President Hassan Rouhani (R) during their talks after the end of the third Gas Exporting Countries Forum gas summit November 23, 2015 in Tehran, Iran. The summit is devoted to the assessment of the current situation on the world gas market as well as to the development prospects of the field. (Photo by Sasha Mordovets/Getty Images)

Un rischio da evitare

Che cosa potrebbe succedere nel caso in cui armi occidentali impiegate dall’esercito ucraino dovessero essere decodificate dall’Iran? Basta ascoltare Jonathan Lord, senior fellow e director del Middle East security program presso il Center for a New American Security.

“(Gli iraniani ndr) hanno decodificato il missile guidato anticarro TOW, creando una replica quasi perfetta che hanno chiamato Toophan, e da allora l’hanno diffuso tra gli Houthi e gli Hezbollah. L’Iran potrebbe fare lo stesso con uno Stinger, che potrebbe minacciare l’aviazione civile e militare in tutta la regione. Un Javelin retroingegnerizzato potrebbe essere usato da Hamas o Hezbollah per minacciare un carro armato israeliano Merkava. Nelle mani dei delegati dell’Iran, queste armi rappresentano una vera minaccia per le forze militari convenzionali di Israele”, ha spiegato Lord.

Ricordiamo che nell’ultimo anno la cooperazione militare della Russia con l’Iran si è approfondita. La Casa Bianca ritiene che il Cremlino abbia chiesto e ricevuto centinaia di droni dall’Iran, oltre a proiettili di artiglieria e carri armati; in cambio, Teheran avrebbe chiesto a Mosca attrezzature militari per un valore di miliardi di dollari, tra cui aerei da combattimento, sistemi radar ed elicotteri. Il nuovo filone delle armi occidentali inviate dai russi in Iran apre un nuovo, preoccupante, filone.

GUERRE DIMENTICATE

Siria, Congo, Yemen e Corno d’Africa. Sono tanti i conflitti dimenticati offuscati dalla guerra in Ucraina. Eppure nel mondo si continua a combattere. Oggi si contano oltre 20 conflitti attivi, buchi neri che generano instabilità e che possono ingrandirsi con conseguenze devastanti

Conflitti ad alta o bassa intensità, lotte al terrorismo, colpi di stato e guerre civili. I riflettori sono puntanti sulla guerra che si combatte in Ucraina, distratti, per appena qualche settimana, dall’annosa questione di Taiwan: dove caccia e navi da battaglia continuano ad essere mobilitati in attesa di una grande invasione cinese che forse non avverrà mai. Eppure in Etiopia, Yemen, Sahel, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia e Myanmar si combatte. Tutti i giorni.

Sono le guerre dimenticate. Quelle che da Noi non fanno o non fanno più notizia ma sono egualmente importanti da ricordare nella visione d’insieme di uno scacchiere geopolitico sempre più intricato e complesso. Perché ovunque si combatta un guerra, si trovano interessi e sfere d’influenza, obiettivi strategici e finanziatori occulti, vendite o traffici di armi e materie prime o terre rare da privare o nazionalizzare; e in fine future black operation e future missioni di peacekeeping dove contingenti internazionali rischiano di rimanere “impantanati” fino al punto di trascinare un intero Paese, o peggio un’intera alleanza, in una guerra che nessuno potrebbe più dimenticare.

Secondo i dati più aggiornati, attualmente sono 23 i conflitti ad alta intensità “attivi” nel mondo. A questi vanno sommate centinaia di tensioni che posso esplodere in una guerra civile o insurrezione da un momento all’altro. Armed Conflict Location & Event Data Project, organizzazione no-profit americana che vanta tra i suoi sostenitori il dipartimento di Stato degli Stati Uniti e diversi governi europei, le principali “dispute” territoriali che sono sfociate o rischiano di sfociare in conflitti convenzionali ad alta intensità riguardano: l’Ucraina e le repubbliche auto-proclamate di Donbass e Lugansk dopo l’invasione voluta da Mosca; il Nagorno Karabakh dove Armenia e Azerbaijan stanno raggiungendo una pericolosa escalation; la Turchia nella “fascia cuscinetto” dove è presente l’etnia Curda e l’infinito scontro tra israeliani e palestinesi lungo la Striscia di Gaza e nei territori contesi della Cisgiordania (anche noti come West-bank,ndr). Lo scontro che si sta consumando in Etiopia tra il governo etiope e i combattenti affiliati al Fronte popolare di liberazione del Tigray per ottenere il controllo dell’omonima regione.

Il colpo di coda dei talebani in Afghanistan, la prosecuzione della guerra civile in Siria per sovvertire il governo presieduto a Assad figlio, l’interminabile conflitto libico tra i governi posti di Tobruk e Tripoli sono considerate guerre civili ancora attive. Anch’essi passate in secondo o terzo piano nonostante il delicato scenario che ha visto coinvolte spedizioni militari statunitensi, britanniche, francesi, e russe. Senza contare l’impiego di contractors, consulenti militari di vario genere e semplici addestratori (anche se apparteniti alle forze speciali, ndr). Ma come dimenticare la guerra civile in Yemen? Scoppiata all’inizio nel 2015 tra la coalizione governativa appoggiata dall’Arabia Saudita e i ribelli Houthi, filo-iraniani.

Se in Iraq, dopo due guerre del Golfo e un’occupazione militare più che duratura, si registra ancora un’instabilità politica animata da sporadici attentati mossi dagli estremisti islamici, è nella fascia del Sahel che una guerra dimenticata con la costellazione di movimenti paramilitari fondamentalisti rischia di gonfiarsi fino a trascinare interi eserciti occidentali in una guerra che ricorderebbe il dramma dell’Afghanistan. Particolarmente critico il teatro del Mali, ex-colonia francese.

Preoccupanti e abbandonate al tetro dimenticatoi, sono gli scontri etnici che si consumano in Burkina Faso e nella Repubblica Democratica del Congo; le guerre o guerriglia condotte contri i militanti islamici di al-Shabaab in Somalia e Kenya; la guerriglia condotta contro Boko Haram in Nigeria; la guerra civile nel Sudan e nel Sud del Sud, dove i gruppi ribelli sono particolarmente attivi nel Darfur. E poi ancora scrontri in Angola, Mozambico, Congo. Sopressioni dei movimenti ribelli e militanti islamisti ancora in Egitto, nel Myanmar, in Daghestan e Cecenia come nelle Filippine. La guerra tra bande armate ad Haiti e quelle mosse ai cartelli della droga in Sud America. Guerre veramente dimenticate. Dove vecchie potenze e nuovi fermenti si incrociano nella salvaguardia di nuove e vecchie sfere d’influenza, religioni arcaiche e riti tribali, giacimenti di diamanti e terre rare che troveranno nuove rotte commerciali. E ancora territori da contendersi, dove la guerra non può neanche essere immaginata considerato il calibro dei belligeranti che vi prederebbero parte: Alaska o Mar Cinese Meridionale. Altri teatri che per guardare all’Ucraina, abbiamo momentaneamente accantonato.

Sono forse quelli i punti caldi più pericolosi e temibili di tutti. Punti geografici e remoti come la regione del Kashmir. Che vede contrapposte a causa delle delle tensioni mai sopite India e Pakistan. Entrambe potenze nucleari pronte e premere il dito sul bottone. È eccessivamente caustica eppure adeguata infatti, la conclusione potremmo rivolgere a coloro che fin troppo spesso, nel considerare esclusivamente minacce vicine e sulla bocca di tutti come ad esempio il climate-change, ribadendo come ogni decisione debba considerare “l’intero insieme delle cose” e non meno i conflitti in corso nel nostro martoriato pianeta. Poiché il cambiamento di delicati equilibri nella ricerca di prolungare la vita sul nostro bel pianeta, potrebbe al contrario costringere alla morte violenta migliaia di persone. O addirittura accorciarla drasticamente – se non si tiene conto degli interessi specifici di super potenze che con un first e second strike nucleare potrebbe riportarci alla preistoria in una manciata di ore.