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Bosnia Documenti Segreti

La scorsa settimana ricorreva l’anniversario dell’intervento Nato nell’ex Jugoslavia (24 marzo 1999), che si può considerare il primo passo di quella guerra mondiale fatta a pezzi denunciata da tempo da papa Francesco, che ora ha il suo focus in Ucraina.

Tante le motivazioni di quell’intervento, ad esempio quella di rilanciare l’immagine della presidenza Clinton, appannata dallo scandalo Lewinsky. Ma il proposito di dar vita a un’intervento Nato nella ex Jugoslavia partiva da lontano, come anche l’idea di colpire la Serbia.

Ultimo residuo dell’ex impero sovietico conficcato nel cuore dell’Occidente, la Serbia era per la Nato una sfida che doveva essere affrontata. Il redde rationem contro Belgrado ha i suoi prodromi nella guerra bosniaca, nella quale, tra il 1992 e il 1995, si confrontarono gli eserciti croati, serbi e bosniaci e che si concluse con l’accordo di Dayton.

Una guerra che, secondo la narrativa ufficiale, era riconducibile all’intenzione di Belgrado di dar vita a una “Grande Serbia”, annettendo parte della Bosnia (la stessa motivazione avrebbe innescato nel ’99 l’intervento Nato, asserendo che la Serbia voleva annettere il Kosovo).

Kit Klaremberg e Tom Seker hanno avuto accesso ai documenti segreti delle forze di pace canadesi presenti in Bosnia nei primi anni ’90, le UNPROFOR, rivelando la faccia nascosta di quel conflitto.

Felipe González, Bill Clinton, Jacques Chirac, Helmut Kohl, John Major e Viktor Chernomyrdin osservano la firma dell’accordo di Dayton da parte di Slobodan Miloševic (Serbia), Franjo Tucman (Croazia) e Alija Izetbegovic (Bosnia Erzegovina).

Quando gli Usa sabotarono la pace

“È un fatto poco noto – scrivono i due cronisti su ZeroHedge – ma alquanto riconosciuto che gli Stati Uniti hanno gettato le basi per la guerra in Bosnia, sabotando l’accordo di pace negoziato dalla Comunità Europea all’inizio del 1992 [Accordo di Lisbona, artefici Lord Carrington e José Cutileiro ndr]”.

“In base all’accordo, la Bosnia sarebbe diventata una confederazione composta da tre regioni autonome divise lungo linee etniche”. Non era perfetto, scrivono i cronisti, ma le parti avrebbero ottenuto quanto poi più o meno stabilito a Dayton e avrebbe evitato la guerra.

“Ma, il 28 marzo 1992, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Jugoslavia Warren Zimmerman incontrò il presidente bosniaco musulmano Alija Izetbegovic per offrire al suo Paese il riconoscimento di Washington come stato indipendente. E promettendo un supporto incondizionato nell’inevitabile guerra successiva, se avesse respinto la proposta della Comunità europea. Alcune ore dopo, Izetbegovic si avviò verso un sentiero di guerra” (Doug Bandow, sul National Interest, aveva già denunciata tale nefasta ingerenza, riportando anche le accuse in tal senso dello stesso Cutileiro).

Tanti analisti spiegano l’ingerenza Usa come un modo per contrastare un piano di pace che avrebbe reso più forte l’Europa grazie al ruolo di mediazione. Ma “i cablogrammi UNPROFOR rivelano che c’era al lavoro un’agenda molto più oscura. Washington voleva che la Jugoslavia fosse ridotta in macerie e progettava di mettere in ginocchio i serbi prolungando la guerra il più a lungo possibile“.

Secondo la versione ufficiale a far saltare l’Accordo di Lisbona furono i serbi, ma “i documenti dell’UNPROFOR chiariscono più volte che non è andata così”, dal momento che l’ostacolo “insormontabile” per gli accordi di pace furono le richieste degli “islamici” (così venivano identificati nei cablo i bosniaci guidati da Izetbegovic).

Altri passaggi dei documenti, poi, rivelano come “le interferenze esterne nel processo di pace” “non hanno aiutato la situazione” e “nessun accordo di pace” può essere raggiunto “se le parti esterne continuano a incoraggiare gli islamici a essere esigenti e inflessibili”. I cronisti chiariscono che tali interferenze venivano da Washington.

“Incoraggiare Izetbegovic a resistere a ulteriori concessioni” e “il chiaro desiderio degli Stati Uniti di revocare l’embargo sulle armi nei confronti dei musulmani [bosniaci ndr] e di bombardare i serbi costituiscono dei seri ostacoli per la fine dei combattimenti”, registrano le forze di pace canadesi il 7 settembre 1993.

Il giorno successivo, le forze canadesi riferiscono che “i serbi sono stati i più conformi al cessate il fuoco”. Mentre Izetbegovic  basava la sua posizione negoziale sulla “‘immagine largamente diffusa dei serbi bosniaci come cattivi“. Consolidare tale falsità ha avuto come esito quello di innescare “gli attacchi aerei della NATO sui territori serbi“.

Così su un cablogramma della UNPROFOR: “Non ci saranno colloqui seri a Ginevra finché Izetbegovic crederà che i serbi subiranno attacchi aerei [Nato ndr]. I raid aerei rafforzeranno notevolmente la sua posizione e probabilmente lo renderanno meno collaborativo nei negoziati”.

La Jihad della Nato

Allo stesso tempo, i combattenti islamici “non stavano dando una possibilità ai colloqui di pace”, portando attacchi a tutto campo e “aiutando  Izetbegovic nel raggiungere il suo obiettivo”, annotano i cronisti di ZeroHedege, infatti, per tutto il ’93, le milizie islamiche hanno condotto “innumerevoli incursioni in territorio serbo in tutta la Bosnia, in violazione del cessate il fuoco”.

I cablogrammi dell’UNPROFOR illustrano ampiamente tali azioni, e come gli attacchi serbi, denunciati come attacchi proditori e in violazione al cessate il fuoco, fossero, in realtà, “azioni difensive o in risposta alla provocazioni”.

Infatti, complicare le cose, il fatto che miliziani “islamisti provenienti da tutto il mondo si sono riversati nel paese a partire dalla seconda metà del 1992, dando vita a una jihad contro croati e serbi. Molti di questi avevano già acquisito esperienza nel teatro di guerra afghano”, altri venivano reclutati altrove, inizialmente da turchi e iraniani, con i finanziamenti sauditi, per poi essere gestiti direttamente dall’America, che ne scaricò a migliaia con i suoi Hercules C-130.

“Le stime sul numero dei mujaheddin bosniaci variano notevolmente, ma il loro contributo fondamentale alla guerra è chiaro. Il negoziatore statunitense per i Balcani Richard Holbrooke nel 2001 dichiarò che i bosniaci ‘non sarebbero sopravvissuti’ senza il loro aiuto, e definì il loro ruolo nel conflitto un ‘patto con il diavolo‘ da cui Sarajevo doveva ancora riprendersi”.

Tali miliziani erano usi a creare false flag per incolpare i serbi di atrocità o di aver violato il cessate il fuoco. Così su un cablogramma dell’UNPROFOR: “Le milizie islamiche non disdegnano di sparare contro la loro stessa gente o contro obiettivi delle Nazioni Unite per poi dare la colpa ai serbi in modo da attrarre ulteriore simpatia presso l’opinione pubblica occidentale. Spesso posizionano la loro artiglieria in prossimità di edifici delle Nazioni Unite e aree sensibili come gli ospedali nella speranza che i serbi, rispondendo al fuoco, colpiscano tali siti sotto gli occhi dei media internazionali”.

In un altro cablogramma si ipotizzava che tali milizie avrebbero colpito l’aeroporto di Sarajevo, dove atterravano gli aiuti umanitari, perché i serbi sarebbero stati indicati come “ovvi” responsabili dell’attacco.

Così un altro cablo: “Sappiamo che in passato i musulmani hanno sparato sui loro stessi civili e sull’aeroporto per attirare l’attenzione dei media”. E un successivo: “Le forze islamiche al di fuori di Sarajevo, in passato, hanno piazzato esplosivi ad alto potenziale presso le loro stesse posizioni per poi farli esplodere sotto gli occhi dei media e accusare i serbi di averli bombardati”.

IUGOSLAVIA

La NATO in Jugoslavia: dalla guerra al colpo di Stato

L’intervento Nato si spiegava con l’imperativo di porre fine ad una deliberata campagna di oppressione, pulizia etnica e violenze intrapresa nella regione del Kosovo dal regime jugoslavo contro i propri cittadini di origine albanese.

A Belgrado scoppia la bufera dopo la firma dell’Accordo con la NATO per il passaggio dei suoi militari sul territorio della Serbia e Montenegro. Il settimanale Vreme mette a nudo le strumentalizzazioni politiche su un accordo che a suo tempo aveva firmato anche Milosevic

Il contrasto che è scoppiato due settimane fa, dopo la visita del segretario generale del Patto nord atlantico Jaap de Hop Scheffer a Belgrado, non si è ancora placato. Durante la visita Scheffer si è incontrato separatamente col presidente federale Svetozar Marovic, col presidente della Serbia Boris Tadic, col premier Vojislav Kostunica e col ministro degli esteri Vuk Draskovic. Ovviamente, si è parlato soprattutto del generale latitante Ratko Mladic la cui l’assenza è tuttora di ostacolo per l’ingresso della SCG (Serbia e Montenegro, ndt.) nella Partnership per la pace e nella NATO. Nella stessa occasione Draskovic e Scheffer hanno firmato un accordo con il quale si permette ai soldati della NATO la libera circolazione sulle strade della Serbia, prima di tutto nel caso ci siano dei seri disordini in Kosovo. Ma, mentre per alcuni un tale accordo rappresenta un passo in più verso l’integrazione della SCG nella più forte alleanza militare, per gli altri rappresenta un atto di tradimento, o quantomeno una violazione della procedura e dell’autorizzazione del ministro federale. Il blocco patriotico, con a capo il Partito radicale serbo, ha già iniziato la procedura per la revoca di Draskovic, con l’appoggio dei socialisti che minacciano il rovesciamento del governo se il ministro non dovesse essere sostituito. E mentre Draskovic e il ministro della difesa Prvoslav Davinic cercano costantemente di spiegare i lati positivi dell’accordo, il Governo non mostra alcuna intenzione di difenderli; anzi, dalle dichiarazioni di alcuni ministri si potrebbe concludere che siano inclini ad essere d’accordo con i patrioti. Sebbene per adesso non ci siano segni che il Governo si stia preparando ad annullare l’accordo, sembra che Draskovic per l’ennesima volta si sia trovato in un vortice politico, al centro di un affaire pompato e, stando agli indizi, montato.

Nonostante l’accordo sia stato firmato il 18 luglio, c’era bisogno che passassero alcuni giorni per sollevare la bufera. E’ successo soltanto quando alcuni giornali belgradesi hanno iniziato a pubblicare alcune parti dell’accordo, spesso accompagnate da libere interpretazioni e da una forte dose di sensazionalismo. Ciò che è risultato più evidente per una parte dell’opinione pubblica locale sono le disposizioni secondo le quali i soldati della NATO possono, senza pagare, usare le strade, le ferrovie e gli aeroporti sul territorio della SCG; che non saranno sottoposti ai controlli doganali e di polizia; e infine, che godranno dell’immunità rispetto agli organi della polizia locale e degli organi legali, il che vuol dire, per esempio, che se provocassero un incidente stradale, non potranno essere messi in prigione né i tribunali della SCG potranno fargli un processo.

Cosa ci faranno

La stampa del boulevard (tabloid, ndt.), che durante la siccità estiva è sempre assetata di scandali e di affaire, non ha esitato un attimo a qualificare l’accordo “vergognoso”, persino traditore, con sensuali descrizioni sulla prepotenza alla quale si stanno preparando i soldati della NATO, in modo impunibile, nei confronti della popolazione impotente. La deputata della SCG Gordana Pop-Lazic ha previsto che “In Serbia presto passeggeranno i soldati della NATO senza uniformi, ma con le armi, che potranno ucciderci dietro ogni angolo”. Alcuni si sono “ricordati” che la motivazione per i bombardamenti nel 1999 era il rifiuto della nostra delegazione di firmare l’accordo di Ramboullet, apparentemente proprio perché vi erano contenute alcune decisioni simili all’accordo firmato da Draskovic (Milosevic nella sua difesa all’Aia ha sottolineato spesso che l’accettazione di tali condizioni avrebbe significato concedere un’occupazione della Serbia). Invano il vice del ministro della difesa Pavle Jankovic ha spiegato che i soldati della NATO dovranno annunciare ogni loro passaggio sul territorio della SCG, e che la decisione sull’immunità non li proteggerà dal fatto che nei loro Paesi potranno essere processati per i crimini che eventualmente commetteranno qua: la parola “tradimento”, per l’ennesima volta messa in circolazione, di nuovo ha diviso l’opinione pubblica in patrioti e gli altri, spostando la discussione oltre i limiti della buona educazione e della sanità mentale.

L’opinione pubblica, invece, è stata maggiormente confusa dalle reazioni del Governo, che per l’ennesima volta si è mostrato non informato. Dopo le reazioni sommesse sotto forma di dichiarazioni che di questo accordo sono venuti a conoscenza solo a firma avvenuta, il Governo in modo categorico ha smentito di aver mai deciso sull’accordo: “Nessun ministero, né il Ministero della giustizia, né il Ministero delle finanza né il Ministero degli affari interni, ha fornito un parere positivo sull’accordo con la NATO, né ha visto la versione definitiva di tale accordo”, ha detto il 22 luglio Srdjan Djuric, il capo dell’Ufficio del Governo per la collaborazione con i media. Il ministro Davinic, invece, ha affermato il contrario: “La bozza dell’accordo è stata inviata ai ministeri competenti dei due stati membri della federazione statale, dunque alla Serbia e al Montenegro, al Ministero della giustizia, al Ministero delle finanze e alla Dogana, visto che si trattava di alcuni privilegi dell’immunità coi quali tali ministeri debbono essere d’accordo. Sono state ricevute anche le risposte positive da parte di tali ministeri. In base a ciò il Ministero degli esteri ha proposto di approvare la piattaforma per le trattative con la NATO”, ha detto Davinic. Dal gabinetto di Draskovic è arrivata una nota per rammentare che il giorno dopo la firma dell’accordo, alla riunione dedicata alla situazione del Kosovo, Marovic, Tadic, Kostunica e il presidente del Centro di coordinamento Nebojsa Covic hanno appoggiato l’accordo. Il Governo ha smentito anche questo, lo stesso ha fatto anche Covic, che all’inizio affermava come Draskovic avesse violato la procedura, per dire poi che il capo della diplomazia della SCG “è una vittima politica di qualcuno”.

Documenti segreti canadesi svelano come gli Usa innescarono la guerra in Bosnia

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