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GUERRE DIMENTICATE

Siria, Congo, Yemen e Corno d’Africa. Sono tanti i conflitti dimenticati offuscati dalla guerra in Ucraina. Eppure nel mondo si continua a combattere. Oggi si contano oltre 20 conflitti attivi, buchi neri che generano instabilità e che possono ingrandirsi con conseguenze devastanti

Conflitti ad alta o bassa intensità, lotte al terrorismo, colpi di stato e guerre civili. I riflettori sono puntanti sulla guerra che si combatte in Ucraina, distratti, per appena qualche settimana, dall’annosa questione di Taiwan: dove caccia e navi da battaglia continuano ad essere mobilitati in attesa di una grande invasione cinese che forse non avverrà mai. Eppure in Etiopia, Yemen, Sahel, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia e Myanmar si combatte. Tutti i giorni.

Sono le guerre dimenticate. Quelle che da Noi non fanno o non fanno più notizia ma sono egualmente importanti da ricordare nella visione d’insieme di uno scacchiere geopolitico sempre più intricato e complesso. Perché ovunque si combatta un guerra, si trovano interessi e sfere d’influenza, obiettivi strategici e finanziatori occulti, vendite o traffici di armi e materie prime o terre rare da privare o nazionalizzare; e in fine future black operation e future missioni di peacekeeping dove contingenti internazionali rischiano di rimanere “impantanati” fino al punto di trascinare un intero Paese, o peggio un’intera alleanza, in una guerra che nessuno potrebbe più dimenticare.

Secondo i dati più aggiornati, attualmente sono 23 i conflitti ad alta intensità “attivi” nel mondo. A questi vanno sommate centinaia di tensioni che posso esplodere in una guerra civile o insurrezione da un momento all’altro. Armed Conflict Location & Event Data Project, organizzazione no-profit americana che vanta tra i suoi sostenitori il dipartimento di Stato degli Stati Uniti e diversi governi europei, le principali “dispute” territoriali che sono sfociate o rischiano di sfociare in conflitti convenzionali ad alta intensità riguardano: l’Ucraina e le repubbliche auto-proclamate di Donbass e Lugansk dopo l’invasione voluta da Mosca; il Nagorno Karabakh dove Armenia e Azerbaijan stanno raggiungendo una pericolosa escalation; la Turchia nella “fascia cuscinetto” dove è presente l’etnia Curda e l’infinito scontro tra israeliani e palestinesi lungo la Striscia di Gaza e nei territori contesi della Cisgiordania (anche noti come West-bank,ndr). Lo scontro che si sta consumando in Etiopia tra il governo etiope e i combattenti affiliati al Fronte popolare di liberazione del Tigray per ottenere il controllo dell’omonima regione.

Il colpo di coda dei talebani in Afghanistan, la prosecuzione della guerra civile in Siria per sovvertire il governo presieduto a Assad figlio, l’interminabile conflitto libico tra i governi posti di Tobruk e Tripoli sono considerate guerre civili ancora attive. Anch’essi passate in secondo o terzo piano nonostante il delicato scenario che ha visto coinvolte spedizioni militari statunitensi, britanniche, francesi, e russe. Senza contare l’impiego di contractors, consulenti militari di vario genere e semplici addestratori (anche se apparteniti alle forze speciali, ndr). Ma come dimenticare la guerra civile in Yemen? Scoppiata all’inizio nel 2015 tra la coalizione governativa appoggiata dall’Arabia Saudita e i ribelli Houthi, filo-iraniani.

Se in Iraq, dopo due guerre del Golfo e un’occupazione militare più che duratura, si registra ancora un’instabilità politica animata da sporadici attentati mossi dagli estremisti islamici, è nella fascia del Sahel che una guerra dimenticata con la costellazione di movimenti paramilitari fondamentalisti rischia di gonfiarsi fino a trascinare interi eserciti occidentali in una guerra che ricorderebbe il dramma dell’Afghanistan. Particolarmente critico il teatro del Mali, ex-colonia francese.

Preoccupanti e abbandonate al tetro dimenticatoi, sono gli scontri etnici che si consumano in Burkina Faso e nella Repubblica Democratica del Congo; le guerre o guerriglia condotte contri i militanti islamici di al-Shabaab in Somalia e Kenya; la guerriglia condotta contro Boko Haram in Nigeria; la guerra civile nel Sudan e nel Sud del Sud, dove i gruppi ribelli sono particolarmente attivi nel Darfur. E poi ancora scrontri in Angola, Mozambico, Congo. Sopressioni dei movimenti ribelli e militanti islamisti ancora in Egitto, nel Myanmar, in Daghestan e Cecenia come nelle Filippine. La guerra tra bande armate ad Haiti e quelle mosse ai cartelli della droga in Sud America. Guerre veramente dimenticate. Dove vecchie potenze e nuovi fermenti si incrociano nella salvaguardia di nuove e vecchie sfere d’influenza, religioni arcaiche e riti tribali, giacimenti di diamanti e terre rare che troveranno nuove rotte commerciali. E ancora territori da contendersi, dove la guerra non può neanche essere immaginata considerato il calibro dei belligeranti che vi prederebbero parte: Alaska o Mar Cinese Meridionale. Altri teatri che per guardare all’Ucraina, abbiamo momentaneamente accantonato.

Sono forse quelli i punti caldi più pericolosi e temibili di tutti. Punti geografici e remoti come la regione del Kashmir. Che vede contrapposte a causa delle delle tensioni mai sopite India e Pakistan. Entrambe potenze nucleari pronte e premere il dito sul bottone. È eccessivamente caustica eppure adeguata infatti, la conclusione potremmo rivolgere a coloro che fin troppo spesso, nel considerare esclusivamente minacce vicine e sulla bocca di tutti come ad esempio il climate-change, ribadendo come ogni decisione debba considerare “l’intero insieme delle cose” e non meno i conflitti in corso nel nostro martoriato pianeta. Poiché il cambiamento di delicati equilibri nella ricerca di prolungare la vita sul nostro bel pianeta, potrebbe al contrario costringere alla morte violenta migliaia di persone. O addirittura accorciarla drasticamente – se non si tiene conto degli interessi specifici di super potenze che con un first e second strike nucleare potrebbe riportarci alla preistoria in una manciata di ore.

DIVERSI

COME MASSACRIAMO IL CONGO

Alto Congo confine RWANDA

Le multinazionali Europee Russe, Americane e Cinesi hanno sede in RWANDA. CREANO LE BANDE GUERRIGLIERE NELLE MINIERE a confine del Congo. per il controllo dei loro siti. LE BANDE assumono una sigla terroristica. Requisicono i bambini nei villaggi se si rifiutano ammazzano le madri. ILCOLTAN è ISTANTANEAMENTE radioattivo, I bambini si ammalano in pochi mesi

Transizione Ecologica… Gli stronzi che comprano auto a batteria sono gli stessi che piangono le morti in mare di questi poveri cristi

Coltan Congo

Queste sono le condizioni di estrazione del coltan nella RDC. È così che l’Africa viene derubata alla cieca.

CLOTAN CONGO

DELTA DEL NIGER

peggio dei campi di fuoco milioni di ettari di un Paradiso terrestre autentico. LI abbiamo fatti diventare un inferno. Con la popolazione costretta a fuggire a causa di tutte le malattie, dal tumore ai polmoni a tutto quello che si puà immaginare. Dei veri e propri crimini umanitari

Che cosa è l’OPL245

Nigeria – Il caso ENI/OPL 245. La dimensione dell’Affare. La dimensione della presunta tangente. La dimensione dei territori Grande 3 volte la SICILIA. IL PROCESSO PER CORRUZIONE SI COMPLETA CON ASSOLUZIONE AGIP

Lo scorso fine luglio, la Procura della Repubblica di Milano e il governo nigeriano hanno fatto appello alla sentenza di assoluzione con formula piena di tutti gli imputati della vicenda Opl 245 pronunciata dal settimo collegio del tribunale il 17 marzo 2021. Fra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, quindi, si celebrerà un processo d’appello sempre a Milano.

In attesa che anche i procedimenti in Nigeria e in Olanda seguano il loro corso, abbiamo provato a fare un po’ d’ordine sulla complessa vicenda di presunta corruzione che vedeva coinvolti l’Eni, il gigante petrolifero anglo-olandese Shell e loro top manager. Partendo dalla lontana genesi di questa storia, mettiamo in fila i fatti. è l’immenso blocco petrolifero acquisito nel 2011 dalle oil major Eni e Shell, una sorta di Eldorado offshore dell’oro nero.

OPL245 è il più grande blocco petrolifero della Nigeria, situato nel Golfo di Guinea, a 150 chilometri al largo della costa. Consta di due campi petroliferi, Etan e Zabazaba, con riserve stimate e mai provate fino a 9 miliardi di barili di petrolio. Secondo la multinazionale anglo-olandese Shell le riserve accertate e i gas condensati associati ammontano a meno di un miliardo di barili equivalenti, ma l’esplorazione dei due campi non è stata ancora completata.

Una vicenda giudiziaria nata per caso

Subito dopo la firma dell’accordo nell’aprile 2011, il mediatore russo Ednan Agaev si rivolge a un tribunale di New York per richiedere il pagamento di 65 milioni di dollari di commissione dalla Malabu per l’intermediazione svolta. Il giudice lo rimanda alla Corte di Londra, ma la citazione viene pubblicata. Quindi anche il mediatore nigeriano Emeka Obi a Londra fa causa alla Malabu chiedendo ben 215 milioni di dollari, che un giudice congela sul conto fiduciario del governo nigeriano alla JPMorgan di Londra, dove Eni aveva versato 1,1 miliardi di dollari. Dopo due tentativi falliti di spostare i soldi pagati per la licenza in Svizzera e poi in Libano su un conto di una società diversa dalla Malabu, ma collegata al console italiano in Nigeria Gianfranco Falcioni, alla fine 801 milioni di dollari ancora liberi sono trasferiti alla Malabu in Nigeria.

Alla fine del 2012, si svolge la causa tra la Energy Venture Partners  di Obi e la Malabu di Etete e i verbali del processo vengono resi noti. Nel 2013, ReCommon e alcuni suoi partner inglesi presentano un esposto alla Procura di Milano, alla Metropolitan Police di Londra, al dipartimento di Giustizia e alla Security and Exchange Commission negli Usa. Da questi esposti partono varie indagini. Obi vince la causa in via definitiva e sorprendentemente gli vengono assegnati 110 milioni di dollari di commissione, denaro che sposta subito in Svizzera. Nel 2014, la Procura di Milano riesce a sequestrare la rimanenza sul conto di Londra e anche i soldi in Svizzera. Le indagini vanno avanti e l’FBI riesce a tracciare tutti gli spostamenti di denaro in dollari. Nel 2015, le autorità inglesi chiudono il caso, ma in Nigeria cambia il governo e così parte una valida cooperazione con l’Italia sul caso. Sono tracciati tutti gli spostamenti degli 801 milioni di dollari arrivati nel Paese: più di mezzo miliardo era finito alle società dell’imprenditore Aliyu Abubakar, vicino al governo Jonathan. Il resto ad Etete, che si lancia in spese smodate e salda debiti passati. Nel 2015, sempre da un esposto di ReCommon e dei suoi partner, nasce un’inchiesta su Shell e i suoi manager anche in Olanda. Nel febbraio del 2016, un raid congiunto della polizia olandese e della guardia di finanza italiana nella sede centrale della società all’Aja porta al sequestro di numerose prove. Allo stesso tempo il governo nigeriano muove un’azione civile di asset recovery contro la Malabu a Londra e riesce a farsi assegnare gli 85 milioni di dollari sequestrati. Nel 2017 Adoke Bello fa causa contro il nuovo ministro della giustizia per fermare l’indagine penale in Nigeria, che però continua. Nel dicembre del 2017 si materializza il rinvio a giudizio con l’accusa di corruzione internazionale da parte della Procura della Repubblica di Milano. Corruzione internazionale è una tipologia di reato diverso da corruzione “domestica”, in quanto emana dal dettato della Convenzione OCSE contro la corruzione di pubblici ufficiali stranieri, recepito nel nostro codice penale.

Il video è Molto esplicativo

NIGER OPL245

LA GRANDE EROINA ADAMA AFRICA

AFGHANISTAN DOPO LA CIVILIZZAZIONE

Afghanistan

FESTA PRIMAVERA AFRICANA DURA 30 Giorni

FESTA DELLA PRIMAVERA AFRICANA

AFRICA 2043

Accordi 1991

La “promessa tradita” della NATO alla Russia. Dal mito alla realtà

Eltsin, Clinton, Nato

«La NATO è il meccanismo per garantire la presenza degli Stati Uniti in Europa. Se la NATO viene liquidata, non ci sarà tale meccanismo in Europa. Comprendiamo che non solo per l’Unione Sovietica ma anche per altri Paesi europei è importante avere garanzie che se gli Stati Uniti mantengono la loro presenza in Germania nel quadro della NATO, l’attuale giurisdizione militare della NATO non avanzerà di un pollice verso est».

Questo passaggio del discorso del segretario di Stato americano James Baker, tenuto durante un incontro con Mikhail Gorbachev nel febbraio 1990, è all’origine del mito della “promessa tradita” della NATO nei confronti della Russia, di cui tanto si è parlato sia nei mesi immediatamente precedenti che in quelli successivi al 24 febbraio. Nel tempo il mito della broken promise è divenuto uno dei pilastri polemici del Cremlino nei confronti delle potenze occidentali. È stato usato, infatti, dal presidente russo come cornice generale all’interno della quale iscrivere le mosse compiute in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014 nonché la guerra in corso contro l’Ucraina. Non a caso, Vladimir Putin lo aveva citato anche lo scorso 23 dicembre nella tradizionale conferenza stampa di fine anno: «ricordiamo come negli anni Novanta ci avete promesso che [la Nato] non si sarebbe spostata di un pollice a est». 

Nel settembre 1993, il presidente russo Boris Eltsin scrisse una lunga lettera al presidente americano Bill Clinton. “Caro Bill”, E poi Eltsin si lasciò andare.

Naturalmente, ha notato Eltsin, ogni paese può decidere da solo di quale alleanza vorrebbe far parte. Ma l’opinione pubblica russa, ha continuato, vede l’espansione orientale della NATO come “una sorta di neo-isolamento” della Russia, un fattore, ha insistito, che deve essere preso in considerazione.

Eltsin ha anche fatto un riferimento al trattato Due più Quattro relativo alla riunificazione della Germania nel 1990. “Lo spirito del trattato”, ha scritto, “preclude l’opzione di espandere la zona NATO all’est”. Quella lettera ha segnato la prima volta che la Russia ha accusato l’Occidente di non aver mantenuto la parola data.

SUBITO DOPO la NATO ha accettato 14 paesi dell’Europa orientale e sud-orientale nell’alleanza. E il Cremlino si è lamentato di essere stato ingannato ad ogni passo. Proprio di recente, l’attuale presidente russo Vladimir Putin si è lamentato: “Ci avete imbrogliato senza vergogna”.

Una questione Estremamente Controversa

Fortunatamente, ci sono molti documenti disponibili dai vari paesi che hanno preso parte ai colloqui, tra cui promemoria di conversazioni, trascrizioni di negoziati e rapporti. Secondo questi documenti, gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania segnalarono al Cremlino che un’adesione alla NATO di paesi come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca era fuori questione.

E nonostante il fatto che gli americani respinsero l’accusa, non è mai stata trovata una risoluzione al conflitto – una situazione che ha avuto conseguenze di vasta portata fino ai giorni nostri. Non c’è essenzialmente nessun’altra questione storica che ha avvelenato le relazioni tra Mosca e l’Occidente tanto negli ultimi tre decenni quanto il disaccordo su ciò che, precisamente, è stato concordato nel 1990. “Ci avete imbrogliato spudoratamente”

Negli anni da quando Eltsin ha inviato la sua lettera, la NATO ha accettato 14 paesi dell’Europa orientale e sud-orientale nell’alleanza. E il Cremlino si è lamentato di essere stato ingannato ad ogni passo. Proprio di recente, l’attuale presidente russo Vladimir Putin si è lamentato: “Ci avete imbrogliato senza vergogna

”. Il centro dell’ira del Cremlino non è più esclusivamente sull’accordo Due più Quattro, ma essenzialmente su tutti gli accordi negoziati dalla caduta del muro di Berlino. “Ci avete promesso negli anni ’90 che (la NATO) non si sarebbe mossa di un centimetro verso est”, ha detto Putin a fine gennaio. E sta usando quella storia per giustificare le sue attuali richieste di garanzie scritte che l’Ucraina non sarà mai accettata nell’alleanza occidentale.

Ma non è tutto. Alla fine di gennaio, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha scritto una lettera aperta alle sue controparti occidentali in cui ha citato ulteriori intese. In particolare, si è concentrato sulla Carta per la sicurezza europea, radicata negli accordi raggiunti nel 1990. Est e Ovest avevano concordato all’epoca che ogni paese ha il diritto di scegliere liberamente l’alleanza di cui vuole far parte, sottolineando anche “l’indivisibilità della sicurezza”.

Più tardi, questo è diventato “l’obbligo di ogni Stato di non rafforzare la propria sicurezza a spese della sicurezza di altri Stati”, come Lavrov menziona esplicitamente nella sua lettera. Quindi, ha ragione Putin nel sentire che la Russia è stata ingannata dall’espansione verso est della NATO?

VERBALE SCOMPARSO 1991

Dunque, tutte panzane di un senescente vecchietto e/o propaganda del Cremlino? Sembra di no. Poiché il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, qualcosa rimane sempre negli archivi ed ecco che, nel numero in edicola, l’autorevole settimanale tedesco Der Spiegel pubblica un documento quantomeno imbarazzante.

Si tratta del verbale – rinvenuto nei British National Archives dal politologo americano Joshua Shifrinson – della riunione dei Direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, tenutasi a Bonn, il 6 marzo 1991. Il tema del colloquio era la sicurezza nell’Europa centrale e orientale e i rapporti con la Russia vinta, avvilita ma ancora capace, secondo i convenuti, di una forte reazione se si fosse attentato alla sua sicurezza, senza tentare di stipulare con essa un duraturo patto di amicizia e collaborazione economica e politica.

Davanti all’ipotesi di una richiesta di alcuni Paesi del blocco ex sovietico (Polonia in primis) di entrare a far parte della Nato, inglesi, americani, tedeschi e francesi furono concordi nel ritenerle semplicemente “inaccettabili”. A nome di Berlino, Jurgen Hrobog, affermò: “Abbiamo chiarito durante il ‘negoziato 2 più 4’ sulla riunificazione della Germania, con la partecipazione della Repubblica federale di Germania, della Repubblica democratica tedesca, di Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia, che non intendiamo far avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. E pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre Nazioni dell’Europa centrale e orientale la possibilità di aderirvi”». Secondo Hrobog, questa posizione era stata concordata con il Cancelliere federale Helmut Kohl e il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher.

Come riporta Der Spiegel, in quella stessa occasione, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: “Abbiamo ufficialmente promesso all’Unione Sovietica – nei ‘colloqui 2 più 4’, così come in altri contatti bilaterali intercorsi tra Washington e Mosca – che non intendiamo sfruttare, sul piano strategico, il ritiro delle truppe sovietiche dall’ Europa centro-orientale e che l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente”. Insomma, l’accordo c’era ed era condiviso dai principali soci dell’Alleanza atlantica. Poi “qualcuno” ha deciso che era meglio dimenticare ogni promessa per inghiottire negli anni l’intera Europa orientale, poi i Paesi baltici e, in prospettiva, l’Ucraina. I risultati sono sotto gli occhi del mondo.

“Varviere, Salassi, Cavatore di denti”

Mi incamminavo in una giornata di scirocco nei vicoli di un paesino deserto dell’interno dell’agrigentino, il vento mi soffocava sommergendomi di polvere africana che si appiccicava addosso come talco di pomice.
Cercavo un barbiere, ma in giro non c’era anima viva; finalmente da lontano scorsi una insegna slavata, dipinta a mano. “Varviere Salassi, Cavatore di denti”.

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Non sapevo se sentirmi fortunato o no, però dovevo rasarmi; la porta riparata da una tenda di plastica sfrangiata a protezione delle zanzare , ma forse anche dei volatili, era socchiusa; con qualche esitazione entrai. L’ambiente era tetro illuminato da due lampadine ingiallite dal tempo.
Fui avvolto subito da un odore olezzante di sudore antico e di muffa, la poltrona da barbiere era una sedia di legno e paglia bassa a fronte di uno specchio frantumato e arruginito.

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Stavo per uscire quando una voce profonda e ferma mi disse , <Si accomodasse.> nn era un invito, era un ordine. Non lo vidi subito ma stava dietro di me e con le mani ferme sulle spalle mi spinse rapacemente sulla sedia.
Dallo specchio scorsi la figura di un uomo con baffi antichi e capelli impomatati di età incerta sulla sessantina.  Vestiva una divisa a righe lisa e sporca di grassi vegetali. Si rassicutò che stavo seduto alla sua altezza e dopo avermi bloccato con uno
sguardo indagatore, profondo quasi assassino, immerse un pennello sfrangiato in un contenitore di rame da dove riemerse con una schiuma liquida grigiastra.

 

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Con decisione lo spalmò sul mio viso con gesti veloci e sguaiati.
L’impiastro appiccicoso tentava di rimanere incollato disperatamente sulla mia pelle ma invece colava da tutti i lati lasciando righe umide fuligionose che gocciolavano
giù fino al mio collo. Si allontanò per un momento ma non ci fu il tempo per scapparmene, ritornò sciabolando un rasoio vintage molto vintage, con una lama
simile ad una baionetta. Agguantò il mo viso con una mano e con l’altra con un movimento circolare fece transumare il rasoio da una basetta all’altra senza interruzione.

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Tutta la mia pelle scartavetrata, tentava con uno sforzo immane di resistere, ed ogni pelo del mio volto strapazzato ed asportato, uno ad uno, urlava con la voce stridula
di un agnello giovane al macello. Poi si fermò un attimo, e con la lama che sfiorava quasi la mia gola mi chiese ” com’è, faccio bene???”
Mi girai u poco per guardarlo negli occhi e quasi con senso di sfida,
“”LEI FACISSI BONO A CANCIARE MESTIERE”” risposi, alzandomi finalmente con uno strappo deciso, sfuggendo alla sua morsa e senza nemmeno pulirmi il volto dalla schiuma. M’incamminai di nuovo per i vicoli contorti del paesino. Ancora tremavo per lo scampato pericolo, quando una voce mi disse, “Sal, svegliati è ora di andare a scuola.”